Elliot Rodger era un universitario californiano che nel maggio 2014 uccise sei persone in una tipica strage all’americana. Anche se la stampa lo ha accreditato come “capostipite” del “movimento” degli incel (“celibi involontari”), egli non si è mai definito tale né ha mai fatto parte delle varie comunità virtuali della cosiddetta manosphere, al di là dello “storico” forum bodybuilding.com (frequentato da milioni di utenti e dove comunque venne abbondantemente sbeffeggiato dopo un paio di post) e PUAHate (un forum nato per criticare la cosiddetta “arte del rimorchio“, dunque non apertamente “maschilista”, e che comunque venne chiuso non appena i grandi giornali indebitamente lo associarono tout court con l’assassino). Questo non ha impedito al mainstream di costruire un mondo parallelo in cui questo Rdoger sarebbe il «il corrispettivo degli ispiratori del Califatto, un punto di riferimento» (per citare un giornalista del Corriere che sostiene di “aver studiato il caso”).
La decisione di farne un “simbolo” da parte di alcune fazioni della comunità maschile nasce a posteriori, come provocazione verso il sensazionalismo mediatico, peraltro sempre orientato al pinkwashing («La promozione di un prodotto o di un ente attraverso un apparente atteggiamento di apertura nei confronti dell’emancipazione femminile»). È dunque da una prospettiva post-ironica che va letta la trasformazione di uno stragista in un meme, anche se naturalmente è difficile negare che la frustrazione espressa da Rodger non abbia nulla a che fare con quella vissuta da milioni di maschi americani.
Per fare un esempio del contesto in cui ci muoviamo, prendiamo un noto pezzo di Lil Peep (celebre rapper americano morto di overdose a 21 anni), Beamer Boy, che racconta le tribolazioni di un giovane artista alle prese con un successo inaspettato: il beamer è propriamente il possessore di una BMW, uno stereotipo attraverso il quale il rapper rinverdisce la tradizione del poète maudit, incastonando in due versi memorabili il paradosso di una felicità che svanisce non appena la si afferra, «But they don’t wanna hear that, they want that real shit | They want that drug talk, that I can’t feel shit», intendendo che chi gli ha regalato la fama non vorrebbe sentirlo soddisfatto né capace di godere di un effimero istante di gioia, ma lo preferirebbe strafatto e incompreso.
La canzone è stata rifatta in versione garage rock da un artista dichiaramente incel, un giovane americano di origine asiatica che che si presenta sotto vari pseudonimi ma attualmente come Negative XP (abbiamo tradotto qualche suo capolavoro), il quale ha voluto idealmente collegarla all’impresa sanguinaria di Rodger (perché ha effettivamente perpetrato gli omicidi a bordo di una BMW Serie 3).
Come si può notare, il video che accompagna il pezzo (parliamo di quello appena censurato, non più disponibile) è introdotto da una delle tante auto-presentazioni che l’assassino amava fare di sé («Un bellissimo panorama può diventare l’inferno più tetro se devi godertelo da solo, e purtroppo io sono solo ormai da tanto…»).
È difficile che sfugga il senso dell’accostamento tra l’americano più figo e quello più sfigato dell’evo contemporaneo: in tal caso il fraintendimento sembra voluto, quasi a sfogare l’impulso alle “accuse collettive” che i giornalisti non posso esprimere nei confronti del terrorismo islamico (formula che non può più nemmeno essere usata dalla stampa conservatrice).
Nell’equivoco cade anche l’immarcescibile Franco “Bifo” Berardi, che nel suo feudo digitale cortesemente offertogli dalle edizioni Not/Nero, dopo aver elogiato l’intervento di uno degli autori del sito ospitante come “il primo pezzo interessante” sulla questione incel (in realtà uno “sfogo” piuttosto sconclusionato che abbiamo già commentato – per inciso, le cose più interessanti sul tema le hanno scritte autrici femministe sui generis, come Mary Harrington o Jessa Crispin), ci tiene a chiamare in causa non solo Elliot Rodger, ma persino Anders Breivik (che a dirla tutta sarebbe più figlio del “matriarcato” che non del “patriarcato”).
Quando si parla di incel, la contro-cultura scende ai livello non tanto del Foglio o di Marie Claire, ma dei Bastardi Islamici di Belpietro. E persino nei spazi apparentemente più adatti alla riflessione, si adotta la stessa forma mentis considerata “blasfema” se adottata dagli avversari ideologici. Del resto, il problema dei “celibi involontari” ha fatto irruzione nella sfera mediatica nazionale con l’esaltante superficialità delle novità d’oltreoceano (ne ha parlato persino la Rai, che pur confezionando il solito servizio sui “casi umani” ha perlomeno fornito un minimo di coordinate).
Uno dei motivi per cui il termine stesso è motivo di controversia riguarda il fatto che non esiste sostanzialmente un vero e proprio lessico per descrivere l’enorme complessità dell’interazione tra il maschile e il femminile ai tempi del “liberismo sessuale”. L’antropologia ha passato decenni a classificare le strutture sociali di fantasmagoriche tribù congolesi ma si è dimenticata di forgiare uno straccio di termine per indicare un friendzonato al di fuori dell’anglosfera. Eppure gli esempi sarebbe infiniti: tanto per dire, quale espressione migliore di orbiter si potrebbe trovare per descrivere «un uomo che vuole andare a letto con una sua amica e continua a orbitargli attorno nella speranza di ottenere qualcosina»? E, si badi bene, un orbiter non è un simp e nemmeno un cuck, semmai ha più affinità con un sub-7 friendzonato dalla propria oneitis.
Una terminologia di riferimento potrebbe perlomeno conferire alla questione una dimensione non più squisitamente individuale, ma sociale, e quindi politica (se non culturale e morale). Perché al momento sono i sedicenti “marxisti” che spendono la lacrimuccia per qualsiasi caso pietoso incasellabile nei loro schemi (stupratore immigrato, spacciatore col reddito di cittadinanza, dipendente comunale che gioca a volano in orario di lavoro, trans che spacca le vetrine perché gli uomini non vogliono uscire con lui/lei/issa, omosessuale che chiede di togliere i figli ai genitori “omofobi” per darli in affido a lui eccetera eccetera), ma non appena gli si sussurra la parola incel sono immediatamente disposti, per citare Ulrich Beck, a «offrire soluzioni biografiche alle contraddizioni sistemiche»: vai al bar, vai a puttane, fatti una doccia, fatti una sega, vestiti meglio, non fare il frocio (sic) eccetera eccetera. Pur di negare qualsiasi dignità al problema, sono disposti a rivalutare l’omofobia da caserma e il bieco consumismo.
Detto questo, riconosco che nel momento stesso in cui una condizione si trasforma in “identità” (deriva che andrebbe letta anch’essa dalla prospettiva post-ironica, come scimmiottatura della identity politics declinata al maschile), essa potrebbe effettivamente rappresentare un problema non solo politico ma anche sociale. La natura di un movimento che parte da premesse simili risulterebbe talmente ircocervica da farne un non-movimento, una delle ideologie potenzialmente più monolitiche e vincolanti che siano mai apparse all’orizzonte del pensiero occidentale, dal momento che contempla la tipica dialettica Bewegung/Partito solo a livello individuale (per farla breve: chi trova una fidanzatina se ne chiama fuori), rendendola paradossalmente impossibile a livello “istituzionale”. In tal senso l’inceldom risulta incomprensibile per i suoi stessi “militanti” (una volta lo si sarebbe definito Gespenst – se afferrate la citazione metapolitica), poiché li vincola nella misura in cui li sfida a violare tale vincolo: potenzialmente, sarebbe l’unica militanza nella storia a rispettare infine il principio di falsificabilità.
Battute a parte, vale la pena riportare le conclusioni di Jessa Crispin nell’ottimo articolo -Bifo vada a leggerselo- appena citato (tradotto dalle Edizioni Sur, Gli Incel non sono soltanto dei giovani maschi arrabbiati, 14 Giugno 2018):
«Le preferenze sentimentali sono un fatto politico. Chi scegliamo di corteggiare, chi giudichiamo degno di amore e di attenzione spesso ricade entro categorie che esprimono altre forme di potere. […] L’amore non è solo un bel sentimento, è la struttura su cui si fonda la nostra società. La famiglia, la proprietà, il denaro, il senso di appartenenza, la comunità passano tutti attraverso il filtro del matrimonio. […] Molte persone sono escluse dal mercato sentimentale e sessuale, cosa che da alcuni può essere vissuta come un’esclusione dalla società tout court.
[…] In India, data la preferenza delle famiglie e della società per i figli maschi, esiste attualmente un deficit di circa 63 milioni di donne. Da quando questa tendenza è stata messa in luce per la prima volta, nel 2001, hanno iniziato a venire fuori storie dell’orrore: casi di singole donne costrette a fare da moglie per un uomo e per tutti i suoi fratelli, un aumento della percentuale di stupri e aggressioni sessuali, donne rapite e obbligate al matrimonio contro la loro volontà. Gli sbocchi che tradizionalmente erano a disposizione degli uomini celibi e delle donne nubili – i monasteri e i conventi erano la tipica soluzione per chi aveva un figlio o una figlia di troppo da sistemare – sono scomparsi dalla nostra cultura, lasciando il single a vita con poche alternative rispetto a tutti i benefici che può offrire un partner.
[…] Se si parte dal presupposto che la società dovrebbe essere organizzata in maniera da dare la maggior quantità possibile di felicità al maggior numero possibile di persone (ed è questa la mia idea), allora l’amore e il sesso dovrebbero essere ripensati e riorganizzati, e sì, anche redistribuiti. Non nel senso che intendono i commentatori più retrivi, cioè di costringere le donne a relazioni con gli uomini nella speranza di tenere a freno la violenza maschile. Ma se si separassero l’amore e il sesso dallo status e dal privilegio, se si reimmaginassero gli standard che rendono desiderabile un partner, se si offrisse un’alternativa stabile alla vita matrimoniale che non sia la solitudine, allora si potrebbe alleviare la sofferenza. Non soltanto per i giovani maschi arrabbiati di internet, ma per tutti quelli, uomini e donne, che si sentono esclusi e soli».
Questa è una “signora conclusione” (altro che mansplaining), non quella proposta da Not: «Se ogni persona rifletterà sul proprio desiderio sono certo che le bislacche teorie incel inizieranno a far ridere tutt*». Quel sorriso sarà un rictus o nel migliore dei casi un cachinno imbarazzato: perché da una parte i media dovranno assumersi l’onere di dimostrare che l’inceldom è solo una paranoia partorita da menti malate (ovviamente maschili) e dall’altra si troveranno costretti a proclamare l’inesistenza di un “diritto al sesso” (come fanno da tempo) nemmeno in base al grado di “femminismo”, “personalità” o altre astruserie di cui il soggetto è tenuto a dotarsi per avere una chance di accoppiamento. Lose-lose situation.
Svegliare il can che dorme, si diceva una volta. Ebbene, se non fosse per la fottutissima mediocrità di tutti i nostri nemici, anche noi potremmo ammettere che la faccenda sta prendendo una brutta piega. Rifacendosi alle opinioni di Mishima sul nazismo come “trasformazione politica dell’arte” e “metamorfosi artistica della politica” («Esiste la tendenza a proiettare nel mondo dell’azione concreta aspirazioni che andrebbero rivolte all’arte»), è possibile osservare come anche l’arte incel (i meme) attraverso l’appropriazione post-ironica dei vari modelli proposti dal mainstream, stia facilitando una qualche “proiezione” extra-artistica.
Per fare esempi concreti (perché a noi piace 4chan, non le supercazzole anni ’70), prendiamo Eggman/Egg White, un fenomeno da baraccone che dopo qualche tentativo di suicido e una carriera da “meme vivente”, ha iniziato a sfornare pezzi trap di una ferocia e una “bruttezza” (in senso lato) talmente mirabile da diventare anche materia di documentari (oltre che di indagini giudiziarie). In particolare, ci riferiamo a un suo “classico”, Alek Minassian, oscena cantilena dedicata a uno dei tanti assassini psicopatici che la stampa ha etichettato come “terroristi incel”.
«Investo queste troie come se fossi Alek Minassian | Salto nel furgone e le schiaccio tutte | Sopra il marciapiede come se fossi Alek Minassian | troie succhiatemi il cazzo mentre travolgo i pedoni»: lo stile è identico a quello dei trapper anche nell’ispirazione “para-terroristica”, se pensiamo per esempio al “capolavoro” del rapper franco-senegalese Booba, che per affinità etnico-religiosa invece di un incel canadese di origine armena ha preferito dedicare il ritornello al franco-algerino Mohammed Merah, un inculacapre nel 2012 entrò in una scuola ebraica e uccise un rabbino e i suoi due figli di tre e sei anni: «Porsche Panamera | Cieco o no, chi vivrà vedrà | Porsche Panamera | Spariamo a tutti per una causa: Mohammed Merah!».
Per lo stesso “ticchio” bispensante dei media (esiste il terrorismo maschilista ma non quello islamico), nonostante entrambi i pezzi ispirino disgusto e indignazione, solo quello di Egg White è stato oggetto di denuncia e viene regolarmente censurato su Youtube; al contrario, l’artistone Booba è ancora portato in palmo di mano dalla stampa e le uniche proteste ufficiali alla sua sortita sono giunte dalla comunità ebraica (altro indice della radicalizzazione dell’identitarismo, ma cosa vuoi che ne capiscano i Bifos).
Peraltro vogliamo far notare en passant che questo Egg White è riuscito quasi alla perfezione a immedesimarsi in un vero rapper (si veda il video sotto, dove per l’appunto descrive i motivi per cui ha voluto comporre un pezzo così indecente), dimostrando indirettamente la validità di uno dei “teoremi” incel, ovvero che la personalità per una donna conta meno dell’aspetto: se egli infatti avesse avuto folti capelli e mascella scolpita sicuramente sarebbe stato preso sul serio come artista, invece di essere considerato al di sotto di una macchietta. Con una certa malizia aggiungiamo che ciò si sarebbe forse verificato anche se la sua pelle fosse stata più scuretta, ché anzi in tal caso avrebbe aumentato la propria credibility conformandosi a uno dei modelli propagandati dai media, quello dell’afro-americano violento e misogino.
Da un punto di vista puramente “estetico”, si potrebbe fare lo stesso discorso per Saint Hamudi (anche lui censurato ininterrottamente da Youtube), un immigrato siriano in Germania che nei suoi video-messaggi imita le movenze delle fantasmatiche “palandrane” del Califatto. Ora, se la famosa tesi dell’analista francese Oliver Roy che gli attentati terroristici che hanno colpito l’Europa siano dovuti non a una “radicalizzazione dell’islamismo”, ma a una “islamizzazione del radicalismo” avesse un briciolo di attendibilità, dovrebbe valere anche per il fenomeno incel: eppure sappiamo che l’effimero successo che essa ha incontrato era perlopiù dettato dalla possibilità di servirsene per tacciare qualsiasi critica alla “religione di pace” come islamofobica. È scontato che gli stessi che l’hanno ripetuta fino allo sfinimento non avranno uguale clemenza nei confronti degli incel (soprattutto nel caso che nulla di tutto ciò si traduca in “azione”): no, non sarà “maschilizzazione del radicalismo”, sarà il solito sporco lurido eterno patriarcato del maschio bianco etero occidentale.
In conclusione, è chiaro che non c’è alcuna volontà di integrare la generazione di barbari verticali che si prospetta all’orizzonte: la sinistra promette “diritti sessuali” a chiunque (prossimamente pure pedofili e zoofili?) tranne che ai (maschi) brutti; i giornalisti hanno bisogno di un capro espiatorio su cui sfogare tutta la frustrazione per gli innumerevoli tabù imposti dal politicamente corretto (“finalmente una categoria non protetta, via alla sassaiola!”); la destra pare incapace di offrire modelli positivi atti a stemperare la rabbia maschile alternativi a quelli del bulletto di periferia o del “bamboccione mannaro”.
A questo punto, se come accennavamo sopra, l’emergenza passerà dal politico al sociale (o viceversa), non rimarrà che la repressione nuda e cruda come residuo diaframma tra civiltà e barbarie. Altro che seminari sulla questione maschile, riflessioni sul proprio desiderio o egualitarismo sessuale: ci sarà solo galera, ospedale e cimitero. Paradossalmente, saranno gli incel, gli “uomini in eccesso”, i “rami spogli”, gli “sfigati che non scopano” a farsi carico della salvezza dell’occidente attraverso il martirio: ecco perché dico che sarà un destino da abreki, da nečaevisti, e non da morti di figa.