La tomba di Raffaele Mattioli

Questa estate “Repubblica” se ne è uscita con un bizzarro “reportage fotografico” dedicato alla tomba di Raffaele Mattioli situata nell’abbazia di Chiaravalle, nello stesso luogo in cui venne seppellita l’eretica medievale Guglielmina la Boema (La santa-eretica di Chiaravalle venerata dal banchiere Mattioli, 31 luglio 2018).

Da “Repubblica“. Didascalia: «La tomba del banchiere-umanista Raffaele Mattioli, la stessa – pare – dove nel 1281 fu sepolta Guglielma la Boema »

A esser sinceri non si capisce come si possa parlare con tono così giulivo e scanzonato di una vicenda talmente inquietante e oscura da essere classificata fino a un attimo prima come “delirio complottista”. È noto infatti che la storia venne portata alla luce da un giornalista innominabile (in un volume altrettanto innominabile), e proprio a tal cagione la stampa snobbò completamente un vero e proprio “scoop” continuando ad alimentare la fama del “banchiere umanista” (senza fornire indicazione di luogo per le “commemorazioni” annuali del gotha finanziario italiano).

Ben due lustri or sono (un’era geologica per il web) l’animatore dello storico portale “Del Visibile” riuscì a scattare di straforo una foto del “sacrario” mattioliano ponendola a corredo di un pezzo sull’altrettanto inquietante statua di Giacomo Manzù sita all’ingresso del cimiterino e raffigurante un angelo androgino (L’inno della perla scolpito da Manzù, “Del Visibile”, 21 settembre 2008):

«Raffaele Mattioli (1895-1973), a lungo amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana, se non cattolico certamente attento cultore di studi religiosi, si fece seppellire nel cimiterino di Chiaravalle.
Nei secoli scorsi il cimitero abbaziale aveva accolto membri delle famiglie più illustri di Milano, famiglie di “mecenati”, donatrici di beni e di terre. Iscrizioni, stemmi dipinti, documenti ricordano che lì sono stati sepolti membri della famiglie Archinto, Armonico, Crespi, Della Torre, Novati, Palazzi, Piora, Pirovano, Terzaghi.
Da molto tempo, invece, quel cimitero era riservato ai soli monaci dell’Abbazia. Con Mattioli, fecero quasi un’eccezione: del resto era stato uno tra i maggiori sostenitori e contributori per il ripristino dell’Abbazia dopo la spoliazione e lo scempio compiuti durante tutto l’800 (per inciso, l’Abbazia di Chiaravalle oggi appartiene parte al Demanio e parte al Comune di Milano).
Raffaele Mattioli dispose tutto: con tanto di sopralluogo, indicò il pezzo di terra che avrebbe accolto le sue spoglie mortali. E scelse proprio la terra davanti all’edicola dove era stata sepolta, molti secoli prima, Guglielmina.
Qualche tempo dopo, lì vicino alla tomba fu collocata la statua di Manzù (e spostata solo in seguito nel transetto sinistro per essere vista da chi giunge all’Abbazia)».

Lentamente l’oggetto misterioso cominciò a farsi strada anche nel mainstream, seppur le immagini continuavano a latitare: in compenso si iniziava a parlarne senza alcuna remora. Per esempio, nel dicembre 2012 Barbara Palombelli (!) per “Il Foglio”, prendendo spunto da un libro-intervista di Cesare Geronzi, considerato uno degli ultimi pezzi grossi italiani della finanza “cattolica” (l’ultimo ambito in cui l’etichetta pare avere ancora un senso, o forse no), scrisse quanto segue:

«Gli esegeti si stanno interrogando – in particolare – su una frase sibillina che allude alla divisione fra le varie tribù bancarie italiane. Il messaggio è in codice: “Non sono mai andato alle commemorazioni di Raffaele Mattioli a Chiaravalle” . E come mai Geronzi, cattolico praticante di rito andreottiano, vuole prendere le distanze dal mitico banchiere della Comit e dai suoi eredi? La storia dell’Abbazia di Chiaravalle – e qui ci vorrebbe un Dan Brown, non un’umile cronista – inizia nel 1100. È lì che, alla fine del 1200, riparerà la regina Guglielmina di Boemia – figura molto studiata dalle femministe, in quanto eretica poi santificata e infine rinnegata – le cui ossa furono poi bruciate vent’anni dopo la sua morte. Nella sua vita, Guglielmina aveva mandato messaggi di pace, di unificazione fra ebrei, musulmani e cristiani, delegittimando il potere temporale dei pontefici del suo tempo. Torniamo alle banche e al gioiello del Novecento, la Comit, banca commerciale italiana, e al suo leader Raffaele Mattioli.
[…] Mattioli – secondo la leggenda – volle fare una donazione straordinaria a Chiaravalle ed essere seppellito proprio là. Qualcuno dice che comprò il sepolcro della santa eretica (vuotato dall’Inquisizione, che aveva messo al rogo lo scheletro di Guglielmina) come sua ultima dimora. Dunque, Geronzi non andava alle messe in suffragio dell’anima di Don Raffaele. Non faceva parte del gruppo nutrito di allievi ed eredi, piuttosto in odore di massoneria».

Finalmente le foto “ufficiali” arrivarono: due anni fa il blog “Passi per Milano” gli dedicò uno “speciale” (Il Cammino dei Monaci, 5 luglio 2016), dandogli il solito tranquillizzante taglio “danbrowniano” ma non esagerando con la “disinvoltura” (senza quindi fingere che si trattasse del proverbiale “segreto di Pulcinella”).

(“Passi per Milano“)

 

Negli ultimi anni, prima dell’exploit di “Repubblica”, il tag “Mattioli Guglielmina” è diventato un leit motiv in quei blog che hanno voluto occuparsi della “santa” boema: citiamo a titolo di esempio (ma anche per la qualità) Guglielma la Boema e la Milano medievale (Café Bohème, 4 ottobre 2013); I misteri dell’Abbazia di Chiaravalle… (“Gli Stati Generali”, 16 dicembre 2014); Il diavolo probabilmente? (“I Viaggiatori Ignoranti”, 17 dicembre 2014); Guglielma la Boema: la domina eretica (“Milano Platinum”, 24 giugno 2016).

Non ci interessa qui discutere dei risvolti esoterici, politici o esoterico-politici di tutta la faccenda, non solo perché è pericoloso ma perché, tutto sommato, chi vuol capire ha capito. Più che altro, ci piacerebbe comprendere come quelli di “Repubblica” intendano “giustificarla”, poiché fingere di parlarne con tutta la naturalezza del mondo evidentemente non può bastare. Non è infatti plausibile la riproposizione del giochetto “razionalizzante” (che ha funzionato, per esempio, con un Giordano Bruno) per un personaggio storico che nel middlebrow non troverebbe alcuno spazio se non fosse proprio per Mattioli; a meno che non si tenti di ridurre la Guglielmina alla proto-femminista di cui parla Luisa Muraro, spacciando così la scelta di Mattioli come testimonianza di una devozione tutta laica ed erudita. In tal caso però almeno la questione se gli iniziati credano davvero alle loro “macumbe” o se si tratti soltanto di una questione di sangue-sesso-soldi rimarrebbe comunque aperta.

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