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La Turchia è il partner ideale dell’Italia nel Mediterraneo

Dice bene Giuseppe Mancini, nell’articolo sulla turcofobia della stampa italiana che lo ha fatto incappare in una shitstorm col gotha del giornalismo di destra (Feltri, Porro e Nirenstein): la propaganda anti-turca danneggia gli interessi del nostro Paese a livello internazionale, poiché “la Turchia sarebbe il partner ideale per l’Italia – culturale, politico, commerciale – nel Mediterraneo”.

Non si sa come le pacate obiezioni di Mancini espresse sul portale “La Luce” abbiano potuto trasformarsi in una fatwa: Francesco Giubilei, commentatore ospitato sul sito di Porro, dopo aver collegato l’attentato di Nizza al Presidente turco senza addure una sola ipotesi credibile al riguardo, tra le righe lo ha accusato di averlo come minimo additato a qualche volenteroso jihadista. Nella polemica è poi intervenuto anche il vicesegretario della Lega Lorenzo Fontana e Fausto Biloslavo (“Il Giornale”), naturalmente sempre per stigmatizzare l’attacco “islamico”.

Non intendo entrare nello specifico perché Mancini non ha bisogno di avvocati (o forse sì, se questi iperliberali decideranno che le sue opinioni debbano essere censurate): tuttavia, bisogna ammettere che autoproclamarsi “voci indipendenti” perché si dipinge Erdoğan come la versione cattiva di Bin Laden, seguendo la lezione del 99% del giornalismo mainstream, è a dir poco imbarazzante. In effetti forse l’unico errore del giornalista de “La Luce” è stato quello di concentrarsi un po’ troppo sul lato destrorso della turcofobia, sottovalutando il vittimismo di quest’area perennemente afflitta da provincialismo, complessi di inferiorità e mentalità sottoculturale nei confronti di chi detiene la fatidica egemonia culturale (o i brandelli di essa).

In ogni caso, facciamo pure finta che abbiano ragione i turcofobi: ma qual è la loro posizione? Al pacifico giudizio da cui siamo partiti sulla Turchia come partner ideale dell’Italia, Giubilei oppone una curiosa alternativa: “Se proprio dovessimo individuare dei partner culturali, sarebbero la Grecia o l’Armenia cristiane“. Posizione disarmante nei confronti della quale Mancini (questa volta dal suo blog personale) ha gioco facile nel rispondere: “Trovo frutto di infantilismo del pensiero considerare partner dell’Italia nel Mediterraneo l’Armenia e la Grecia, e non la Turchia, solo perché le prime due sono ‘cristiane‘. Questa è comunque la prova autografa dei propri pregiudizi”. E chiude la polemica, a mio parere definitivamente, rimarcando la necessità di un appeasement verso Ankara nella infosfera italiana:

«Queste accuse azzardate – senza che venga fornito un qualsiasi elemento concreto per spiegarle – contribuiscono a creare un clima di profonda ostilità nei confronti del mondo islamico e specificamente della Turchia: che è da decenni alleato dell’Italia nella Nato, che è un rilevante partner industriale e commerciale del nostro Paese (con oltre mille aziende italiane attive in Turchia), che con noi condivide esempi di cooperazione culturale di altissimo livello, che per l’Italia esprime continuamente ammirazione e amicizia. Vale la pena ignorare questa realtà, pur di autoimporsi una visione del mondo basata sull’opposizione dei “buoni” (i cristiani) ai “cattivi” (i musulmani, per di più turchi)?»

Sorvolo totalmente sulle posizioni di Fiamma Nirenstein (“Erdoğan è il migliore punto di riferimento del mondo terrorista”), perché come dice il noto detto, Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi.

Veniamo invece a questa strana idea che l’Italia dovrebbe sviluppare intese su base confessionale: essa non ha alcun fondamento né politico né tanto meno storico. Il nostro Paese si è sempre mosso spregiudicatamente sul piano internazionale e non c’è mai stata alcuna pregiudiziale religiosa (né ideologica tout court) nei confronti delle altre nazioni. Questo ovviamente fino a quando non abbiamo deciso di entrare in un contesto post-nazionale (o ultra-nazionale), convincendoci che l’interesse italiano coincidesse con quello europeo: certo fa specie che proprio la nostra destra, così euroscettica e fumantina verso Bruxelles, sia disposta da abbracciare in toto la linea di Macron non appena gli si faccia baluginare davanti agli occhi un barlume di “scontro di civiltà”.

Se almeno all’Eliseo oggi ci fosse una Le Pen, potrei pure capire i toni così concitati e forse finirei per giustificare il tutto in nome di una convergenza ideologica. Ma in questi frangenti, che cosa mi significano questi piagnistei contro il Sultano cattivo? Peraltro da parte di gente che -ammettiamolo!- deve tutta la sua carriera a Berluscone e non a un Salvini qualsiasi. Capisco che il povero Silvio abbia avuto dei problemi di salute, ma almeno Feltri invece di sbraitare contro “Erdoğan nuovo Bin Laden” avrebbe potuto ricordarsi cosa dice ancora oggi il suo ex benefattore nei confronti del Gran Turco:

«La Turchia resta un Paese cruciale sia per le relazioni dirette con l’Italia, visto l’interscambio tra i due Paesi e le attività dei nostri imprenditori lì, sia per la lotta al terrorismo, sia per l’operazione di controllo dei flussi migratori per la quale la Ue ha già destinato 3 miliardi di euro. Se la Turchia apre le porte, l’invasione da Est diventa un problema enorme per l’Italia. E se lasciamo che in Turchia, dopo la Libia e i Balcani, agiscano solo gli altri, diventiamo sempre più ininfluenti» .

E poi il rincoglionito sarebbe lui: dalle cene eleganti di Arcore al lockdown parigino con la nonna? Ma torniamo al punto: può avere un senso che i conservatori italiani si lascino trascinare nello “scontro di civiltà” dagli omologhi di altre nazioni (anche se persino ai tempi dell’intervento in Libia si dimostrarono molto più sottili di ora), ma che adesso si aggreghino spensieratamente dietro un Macron per puro sentimentalismo, no.

Perché la morale della favola è questa: Macron ha fatto il passo più lungo della gamba. Egli si è illuso di poter riportare contemporaneamente un minimo di ordine negli affari francesi a livello interno e internazionale: ma da entrambe le prospettive la situazione è compromessa, da una parte a causa del parricidio gollista consumato da Sarkozy con il ritorno nella NATO e la partecipazione alla demolizione controllata del Medio Oriente, dall’altra con la decadenza e il lassismo delle istituzioni transalpine dovuto a diversi fattori (non solo il politicamente corretto e il tramonto dell’occidente, ma anche l’aver abdicato alle responsabilità nazionali in nome della “armonizzazione” europea).

Con tutto questo, Erdoğan non ha nulla a che fare, a meno che la destra italiana ora non voglia insegnarci che chi difende il proprio interesse nazionale è un “terrorista” o, addirittura, un “fascista”. Perché la maschera europeista è una delle tante con cui Macron vorrebbe nascondere il fallimento del proprio progetto: l’idea che l’attrito tra interessi politici (ma anche energetici) fra turchi e francesi nel Mediterraneo abbia qualcosa a che fare con un superiore “interesse europeo”. Illudersi che ciò sia vero significa appunto “lasciare che in Turchia agiscano solo gli altri”. E allora aridatece er Biscione.

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