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La visita a sorpresa di Donald Trump in Iraq

Oggi 26 dicembre 2018  Donald Trump ha fatto una visita a sorpresa ai soldati di stanza in Iraq, presso la base al-Asad nell’ovest del Paese. Le truppe hanno accolto il Presidente con entusiasmo e lo hanno acclamato durante tutto il suo discorso, forse apprezzandone in primo luogo la chiarezza: chi è in grado di farlo può ascoltarlo direttamente con le proprie orecchie, evitando di farsi manipolare per l’ennesima volta dai media.

I giudizi espressi da Trump sono stati infatti fin troppo lineari: la presenza in Siria degli Stati Uniti non è mai stata intesa “a tempo indeterminato”, dal momento che la missione era solo quella di neutralizzare l’Isis e nient’altro (quindi né creare un Kurdistan né formare una classe politica per il dopo Assad).

«Gli Stati Uniti non sono “costruttori di nazioni” [nation-builder], per ricostruire la Siria ci vorrà una soluzione politica, e quella soluzione dovrà essere trovata e finanziata dai ricchissimi Paesi vicini, non dagli USA».

Anche i giornalisti “pacifisti” che parlano di “regalo a Putin” (giustificando nemmeno troppo velatamente la legittimità dell’interventismo bushiano) dovrebbero riportare le parole del Presidente sul prosieguo dell’occupazione in Iraq, a un tempo per «proteggere gli interessi americani» e «tenere sotto controllo l’Iran».

Nel suo discorso Trump ha trovato modo di lanciare qualche frecciatina agli avversarsi politici riguardo la questione del “muro” ai confini col Messico («Voi state combattendo per i confini di altre nazioni ma i democratici non vogliono che combattiate per i confini della vostra nazione, non ha senso!») e di regalare un paio di titoli ai giornali con le solite dichiarazioni ad effetto («Non siamo più lo zimbello [sucker] del mondo»); tuttavia alla fine su tutto ha prevalso la classica retorica bellica:

«Avete terrorizzato i nostri nemici e rassicurato i nostri alleati e tutti coloro che desiderano la pace. Perché noi vogliamo la pace e sappiamo che il modo migliore per averla è la forza: quando siamo forti abbiamo la pace, ma se non lo siamo sapete bene cosa può succedere»

«I nostri eroi caduti hanno raggiunto l’immortalità: essi vivranno per sempre nei cuori dei loro compatrioti e nella storia degli Stati Uniti. La dignità e la gloria dei guerrieri americani è testimoniata sui campi di battaglia e negli atti di coraggio che resteranno per sempre nella storia. Voi tutti sarete ricordati per sempre».

Da un lato dunque Trump ha elogiato la capacità dei soldati americani (definendoli a più riprese proprio modern day warriors), dall’altro ha sconfessato vent’anni di interventismo, le illusioni sull’efficacia della “guerra preventiva” («Meglio un’offesa reale che una difesa preventiva») e sull’esportazione della democrazia. Forse la promessa rilanciata da Obama per due elezioni di seguito (Bring our troops back) sta per essere adempiuta (ovviamente da un altro); forse la guerra è davvero finita.

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