L’assassinio di Sharon Verzeni è un omicidio rituale?

Nel suo ultimo video Progetto Razzia sostiene che l’assassinio di Sharon Verzeni perpetrato da Terno d’Isola da parte di Moussa Sangare possa essere configurato come un “omicidio rituale” o addirittura un “sacrificio umano”.

La tesi è provocatoria ma non è totalmente campata in aria (né tanto meno “schizo”) come potrebbe apparire di primo acchito: il commentatore parte dal background etnico e culturale” dell’accoltellatore, che proviene da un continente, quello africano, dove, egli afferma, “l’omicidio rituale a fini di sacrificio” è ancora piuttosto diffuso (anche perché altrimenti non esisterebbero leggi specifiche atti a contrastarlo nei vari Stati africani).

Progetto Razzia a tal proposito ricorda giustamente i rituali praticati dalla mafia nigeriana come parte di quei “pezzi di antropologia” che stiamo importando tramite l’immigrazione di massa. Mi stupisce tuttavia che il Nostro non abbia trovato modo di rievocare il caso di Pamela Mastropietro (stuprata e fatta pezzi da Innocent Oseghale, un nigeriano che non fece in tempo a diventare italiano), il quale servì, almeno per un istante, ad aprire nel mainstream uno spiraglio sulla piaga degli omicidi rituali nella nazione subsahariana (all’epoca una certa Giorgia Meloni scrisse addirittura un libro sull’argomento!).

La piaga degli omicidi rituali in Nigeria

In ogni caso, Progetto Razzia prosegue notando che “l’assassino rituale a fine di sacrificio per ottenere qualcosa è una struttura antropologica magica non necessariamente confinata nell’ecosistema africano”, ma che anzi potrebbe trovare un terreno persino più fertile in uno scenario di “capitalismo post-consumista” come quello in cui sono invischiate le società occidentali, in cui si continua a indurre in masse plebeizzate lo stimolo alla moltiplicazione dei consumi in un contesto di impoverimento collettivo.

Nel caso di Sangare, il fatto che non sia riuscito a “sfondare” nel mondo della musica potrebbe aver messo in atto “dispostivi antropologici” proposti dalla sua cultura d’origine: Progetto Razzia fa particolare riferimento al fatto di aver chiesto “scusa” alla vittima prima di ucciderla (un tipico comportamento “ritualistico”, che contrasta qualsiasi ipotesi di “raptus improvviso”) e alla conservazione del coltello insanguinato come se fosse un feticcio, “un oggetto magico carico di mana, carico di magia”.

Sono in parte d’accordo con queste osservazioni, ma considero necessaria qualche rettifica: in primo luogo, l’idea di poter attribuire una compulsione al sacrificio a una “antropologia africana” è controversa se non azzardata, seppur bisogna avere l’onestà intellettuale di ammettere che anche in Mali è diffusissima la pratica dei sacrifici rituali.

Un millennio di islam e oltre un secolo di influenza francese non hanno scalfito l’antico costume, in segreto ancora praticato anche da politici e imprenditori che si rivolgono agli stregoni per ottenere talismani “potenziati” da un “ingrediente umano”, generalmente estratto dagli organi prelevati da prede “facili” (come donne e bambini) o “ritualmente” più ambite (come gli albini).

Nella cultura popolare maliana la magia è considerata un elemento normale della vita quotidiana, tanto che nei mercati locali si possono acquistare ingredienti per amuleti (naturalmente la legge consente solo di vendere feticci da animali selvatici) e una delle riviste più vendute è dedicata appunto a tematiche di questo genere.

Tuttavia, è possibile che Moussa Sangare, essendo nato e cresciuto in Italia, non sia mai entrato direttamente in contatto con tali elementi della sua cultura di origine (a meno di non ipotizzare una “memoria del sangue”, ma non vorrei finire in galera al posto suo!). Certo, è innegabile che qualcosa abbia influito, ma del resto anche Progetto Razzia sembra individuare il catalizzatore di eventuali condizionamenti culturali nel contesto in cui Sangare si è trovato a vivere.

La stampa ha parlato fino allo sfinimento della sua “bella voce” e dei suoi sogni d’arte infranti, dunque da questo punto di vista sappiamo praticamente tutto: non può stupire la coincidenza che la sua frase “rituale” (o quella che lui sostiene di aver detto), cioè “scusa”, coincida con il titolo del pezzo che gli ha regalato un quarto d’ora di celebrità nel 2016, dove egli per l’appunto ripete la stessa parola nel ritornello delle canzone. Forse lo psicanalista junghiano Luigi Zoja non ha sbagliato nel chiamare in causa (in un’intervista al “Messaggero”) il “mito di Erostrato”, dal nome del pastore dell’Antica Grecia che nel 356 a.C incendiò il Tempio di Artemide a Efeso affinché il suo nome fosse ricordato per sempre.

Compiere un gesto che lo avrebbe portato sulle prime pagine dei giornali come antidoto alla frustrazione per non essere diventato famoso? Un altro dettaglio forse utile a consolidare questa suggestione è il ritrovamento nelle tasche dell’assassino di un foglietto in cui aveva preso degli appunti su un caso di cronaca avvenuto nel 2021 nel veneziano, l’omicidio della consorte a coltellate da parte di un nigeriano di nome Moses. Durante l’interrogatorio Sangare avrebbe giustificato la presenza di quegli appunti in tal modo: «Non so perché avessi quel biglietto, ero interessato a questa notizia. Guardo polizieschi e sono interessato a casi dove l’assassino utilizza coltelli».

È strano però che abbia assunto come “modello” proprio un africano, ma inutile speculare oltre. Alla fine non resta che lo sconcerto per un gesto tanto crudele quanto insensato, che siamo già obbligati a dimenticare anche a fronte dell’assoluta mancanza non tanto di soluzioni, quanto proprio di interpretazioni, da parte del mondo politico, di quello dell’informazione e financo delle autorità giudiziaria, la cui unica raccomandazione rimane quella di non trovarsi “al posto sbagliato nel momento sbagliato”.

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7 thoughts on “L’assassinio di Sharon Verzeni è un omicidio rituale?

  1. Consiglio: quando si parla della povera Pamela mettere sempre una foto di Innocent Oseghale.

    Effetto foto Innocent >> Effetto governo Meloni

  2. Dal secolo breve al secolo africano il trafitto è greve: e se Cristo non torna, lo saremo tutti. Non credo sia un assoluto caso che la vittima si chiamasse nientemeno che Sharon, addirittura con un cognome decisamente del cavolo. Il contesto ha raggiunto il vertice dell’avvertimento.

  3. Gli eccellentissimi investigatori hanno fatto luce sui viaggi del nostro provetto nuovo italiano in USA, a seguito dei i quali i suoi conoscenti hanno affermato che egli fosse “cambiato”?
    Chissà in che ambientini ha girato…

  4. Di questa “cultura” ne sentiremo molto parlare in futuro, dato i 2 miliardi di questi signori che abitano quel Continente color merda e che tra pochi anni saranno la maggioranza di questo sciagurato pianeta. Il capolavoro della democrazia liberale e umanista (quella che dà un immeritato valore sacrale all’individuo) con il suo perenne senso di colpa verso il Continente nero, che ha riempito di soldi e aiuti che hanno fatto esplodere la loro demografia, oltre naturalmente alle porte spalancate che gli abbiamo offerto, ha consegnato il futuro nelle mani di costoro.
    Poi è bene notare, che in questo episodio di cronaca si sono scontrati i due corpi sacri del nostro tempo, il negro e il corpo della donna. In questo caso non si è tirato in ballo il “patriarcato” e altre stronzate – nonostante il Moussa fosse stato denunciato per violenza alla madre e alla sorella -, anzi lo sì è presentato, come detto nel mio precedente commento, come un “bravo ragazzo”, un “artista” e per finire un povero “malato mentale”.
    Il silenzio delle femministe è eloquente. Quelle pronte a sbraitare per una virgola fuori posto, il silenzio di fronte a un “femminicidio” del genere, fa capire che il femminismo oltre alla feroce misandria è profondamente intriso di un odio razziale vendicativo verso l’uomo bianco.
    Detto fuori dei detti, oggi la donna occidentale media PERDONEREBBE uno stupro da un africano, da “un migrante” in nome della lotta che loro amano definire “intersezionale”, il cui il negro è meno colpevole, è meno mostro – anzi, non lo è affatto – in quanto vittima anche lui di “sofferenze millenarie” di traumi “colonialisti”, “razzismo sistematico”.
    https://www.google.it/url?sa=t&source=web&rct=j&opi=89978449&url=https://www.ilsussidiario.net/news/gloria-cuminetti-picchiata-da-extracomunitario-haters-attaccano-lattrice-sui-social/1926243/&ved=2ahUKEwjkv7fZ_LOIAxU-8AIHHQixJasQxfQBKAB6BAgNEAE&usg=AOvVaw0GuMBfDwKFVSfVSFp-ieck
    Tutto questo nella lotta verso “il nemico comune”, ovviamente l’uomo bianco.
    Una visione paranoica che pervade molte donne occidentali, molto di più di quanto si crede, e questo spiega il balbettio delle suffragette, quando i due corpi sacri si scontrano.
    Francamente ormai quando sento storie di violenza di neri e “migranti” verso certe donne non provo più nessun tipo di indignazione e anzi candidamente ammetto che gli sta bene, visto che sono le prime sono le prime a giustificare questa feccia.
    Che subiscano le conseguenze della loro ipocrisia, del loro odio, delle loro contraddizioni, delle loro paranoie.

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