Sembra che Vittorio Sgarbi si sta lentamente riprendendo dalla depressione che lo ha costretto a un lungo ricovero: da quel che ho letto è già stata messa in programma la partecipazione a dei prossimi eventi, perciò mi auguro che le cose per lui possano progressivamente migliorare.
Vorrei cogliere ancora l’occasione per rievocare qualche altra discussione che ebbi con lui parecchi lustri addietro: non ne avevo mai parlato finora perché in fondo chiunque può godersi la propria dose di Sgarbi ormai su qualsiasi mezzo, tuttavia proprio leggendo della sua attuale condizione psico-fisica mi sono sentito di rivelare qualcuna delle nostre chiacchierate per illudermi che certi pettegolezzi sanboviani potessero risultare di buon auspicio.
Come ho già ricordato, l’unico aggancio che avevo con Sgarbi era uno dei suoi numeri di telefono tramite il quale ci siamo sentiti con cadenza quadrimestrale tra il 2009 e il 2011, perdendoci per strada nel momento in cui egli dismise il contatto per motivi ignoti (probabilmente avrà perso l’intero apparecchio).
Si discuteva di tante cose, sicuramente troppe, ma un argomento che ci accomunava era l’ammirazione per la monarchia come valore in sé, il quale ha animato innumerevoli colloqui tra noi due. Se io mi definivo un “legittimista notturno”, Sgarbi invece amava fregiarsi del titolo di “monarchico individualista”, prendendo spunto dall’idea che gli aveva dato l’eclettico Filippo Martinez (regista della sua storica trasmissione Sgarbi Quotidiani) di una “confederazione di regni individuali” che egli intrecciava col personalismo cristiano e l’anarchismo conservatore.
Mi suggestiona sapere che molti dei nostri scambi siano poi confluiti in un suo memorabile intervento di fine 2012 al XII Congresso Nazionale dell’Unione Monarchica Italiana, dove il Nostro avrebbe proclamato la sua volontà di “morire monarchico”.
Noterete il braccio ingessato: a quei tempi il critico era infatti stato vittima di un misterioso incidente nel frusinate, che lasciò in coma il suo autista personale, sul quale gli balenava qualche sospetto di “attentato” che, almeno a me, aveva comunicato in maniera piuttosto vaga. Non è però di questo che voglio discutere, ma della dignità più grande dopo quella pontificale che Iddio ha dato agli uomini.
Riprenderò quindi qui qualche spunto sulla mia concezione di “legittimismo notturno” e cercherò di ricordare le modalità con cui Sgarbi provò, a quanto pare senza successo, a farla sua. In primo luogo, la formula da me coniata deriva da un decretale di Innocenzo III, Solitae Benignitatis (1200) per l’Imperatore bizantino, in cui Papa Lotario collegava l’autorità pontificale al Sole (in quanto dedicata alle cose spirituale, dunque diurna) e quella regale alla Luna (poiché essa presiede alle “notti”, cioè alla materialità, ai “corpi” di cui poi parlerà Foucault quasi mille anni dopo).
Se avete letto il mio intervento precedente, ricorderete che Sgarbi aveva elaborato una dicotomia non troppo rigida tra i tipi umani, che banalmente si potrebbero distinguere in “apollinei” e “dionisiaci”: anche negli scambi sulla monarchia lo schema si esprimeva, per esempio, nel nostro reciproco leopardismo il quale tuttavia si rifaceva a numi diversi, io Monaldo e lui -ovviamente- Giacomo, che tra i vari punti dolenti del loro rapporto filiale nel 1827 trovarono modo di battibeccare anche sull’Impero Ottomano, con il Figlio tutto coinvolto nel mito romantico-byroniano dell’insurrezione ellenica e il Patriarca invece disposto a considerare il Sultano naturaliter cristiano nel momento in cui obbligava i popoli sottomessi alla Sublime Porta a “rendere a Cesare quel che è di Cesare” (e il Cesare dei Greci, indiretto rappresentante del mandato divino, all’epoca, era il “Gran-Turco”).
Il monarchismo di Sgarbi, anche da tale prospettiva, prende senza dubbio spunto dalle famose dichiarazioni di Salvador Dalì in favore di Juan Carlos, quando per l’appunto il genio volle definirsi provocatoriamente “anarchico-monarchico”, ma ha anche una sua qualche base teorica, che i filosofi contemporanei potrebbero ricollegare alla contrapposizione fra l’istituto regale e le “nuove tecnologie di potere” biopolitiche elaborata da Michel Foucault, ma che il critico, in modo forse intellettualmente più onesto, rimandava a Giovannino Guareschi e all’idea di “monarchia incostituzionale” (non sono mai risalito alla fonte specifica ma mi stupisce che anche Tolkien abbia parlato di unconstitutional monarchy, peraltro quasi negli stessi termini dello scrittore parmense, cioè in contrapposizione alla politica delle “pianificazioni” che nel pensiero conservatore rappresenta un errore speculare al liberalismo occidentale).
Non ricordo se parlammo esplicitamente di Umberto II (giusto per non stare sempre sulle nuvole), ma so per certo che Sgarbi è un grande ammiratore del Re di Maggio e ha stretti rapporti con alcuni dei suoi discendenti. L’ultimo sovrano d’Italia, nei noti colloqui con Luigi Barzini, jr., esprimeva una malinconica consapevolezza sia su un impossibile ritorno dell’istituto (“Le monarchie sono come i sogni, o si ricordano subito oppure non si ricordano più”) sia sul destino della novella Repubblica (“Otterrà essa nei momenti decisivi quella dedizione istintiva, primordiale, che un monarchia amata riesce ad ottenere dal suo popolo come istituto radiato nei secoli, nella coscienza degli antenati?”).
Un punto a mio parere essenziale sulla “Questione Savoia”, con il quale mi pare di aver discusso con Vittorio (che comunque fa Umberto di secondo nome), è l’accusa contro il padre di Umberto II di essere “scappato come un ladro” da Roma l’8 settembre 1943. Si dà il caso che l’accanimento si verifichi, naturalmente, solo sui regnanti dei Paesi vinti, perché numerosi sovrani d’Europa durante la Seconda guerra mondiale si trasferirono addirittura in altre nazioni (per esempio la regina d’Olanda e il re di Norvegia in Inghilterra, dove peraltro il monarca aveva già predisposto di spostarsi in Canada in caso di invasione nemica).
Il fatto essenziale, tuttavia, è che il re non è solamente il suo “corpo naturale”: oggi molti che si riempiono la bocca con l’interpretazione di Kantorowicz si rifiutano però di comprendere che il “corpo politico” dei Savoia in quel momento obbligava Vittorio Emanuele III a sottrarsi al dominio di una podestà straniera per impedire che la sovranità dell’intero popolo venisse violata.
Tuttavia, c’è dell’altro: se questo “vizio” fosse presente nei geni dei Savoia, come del resto è stato sostenuto, Umberto II avrebbe potuto benissimo ritirarsi nelle terre che avevano difeso la monarchia nel referendum e proclamare l’illegalità della votazione (sarebbe stato facile visti gli innumerevoli brogli), ma il motivo per cui lo fece è riconducibile a una responsabilità spesso sconosciuta dai politici democratici, grazie alla quale il Paese evitò un’altra guerra civile.
Questo si doveva alla verità storica, di cui Sgarbi del resto è sempre stato consapevole. Nel suo “regno individuale” la presenza di un sovrano gerarchicamente superiore è l’unico elemento in grado di garantire all’individuo la possibilità di esercitare la propria libertà. Egli dunque è già Re e sarebbe ridicolo proporre un referendum per proclamarlo iniziatore di una nuova dinastia, dato che l’idea di una legittimazione democratica in questo contesto suonerebbe blasfema, se non come intima corrispondenza tra la vox populi e una singolare, irripetibile, e direi quasi sacrale, vocazione.
Buona Pasqua, Mister. Innanzitutto grazie per la bella cover di Ufo Robot cantata da RoboGuccini: vero manifesto, secondo me, nella sua scostanza e inattualità, di questi tuoi esperimenti con l’IA. In seconda istanza: ma secondo te Sgarbi era veramente depresso? Non era solo una trovata per mascherare un tumorello? Spero che non lo conoscessi davvero così tanto bene da irritarti per la mia insinuazione. Rinnovo la stima, cordiali saluti.