Le città italiane in occasione del 25 novembre (giornata internazionale della violenza sulle donne, o contro la violenza ecc) sono state riempite con rappresentazioni giganti di una scarpa rossa col tacco, che presumibilmente rimarranno lì in eterno. Tuttavia, questi strani oggetti invece di indicare l’apertura di nuovi centri vendita di uno degli oggetti più ambiti dalle donne, dovrebbero al contrario farci ragionare sul femminicidio.
Un simbolo quanto meno ridicolo, la cui responsabilità va però attribuita tutta al gentil sesso: a stabilire infatti la sacra pantofola come monito universale antipatriarcale è stata la femminista messicana Elina Chauvet, che pur non avendo mai indossato scarpe col tacco in vita sua (si vede che è un tipo più da sneakers, ciabatte o mocassini), ha ben pensato di organizzare nel 2009 una “installazione” dal titolo Zapatos Rojos posizionando delle scarpe rosse in giro per la sua città.
I media internazionali hanno dato enorme risalto all’iniziativa, obbligando l’artista a improvvisare un messaggio profondo dietro alla trovata, invocando nell’ordine: i “femminicidi” di massa Ciudad Juárez (una bufala colossale, visto che tutti gli assassini avvenuti in quella località sono stati provocati da faide mafiose tra narcotrafficanti e non da cause di divorzio o rotture di fidanzamenti), le scarpe rosse portate in piazza dalle mamme delle vittime di Ciudad Juárez, le scarpe rosse che indossava sua sorella prima di essere uccisa dal marito, e infine le scarpe accatastate di Auschwitz (paragone immortalato in un cortometraggio del regista ucraino Costa Fam).
Ora, ma vi pare veramente il caso? Già noi maschi siamo purtroppo costretti a considerare le donne delle stupide perché pensano tutto il giorno alle scarpe (appunto), al sushi, a Netflix, ai trucchi e allo shopping. Adesso, siccome si sono verificati un paio di casi di cronaca classificati come “femminicidio” (perché bene o male nel 2024 si è parlato solo dell’affaire Turetta), bisogna replicare le tattiche del viral marketing in forma di “pubblicità progresso”: