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Le donne sono le cavaliere della morte

Le cavaliere della morte. Per descrivere le donne contemporanee prendo in prestito l’espressione con cui Bloy ha definito Maria Antonietta nell’omonimo libello (La Chevaliere de la Mort), ma solo per gusto letterario: in verità qui l’unico nume da scomodare sarebbe quello di Freud, poiché aver a che fare con la donna “liberata” ci consente di osservala da una prospettiva inedita, quella di ancelle del Todestrieb, il cupio dissolvi al quale, secondo il padre della psicanalisi, anelerebbe l’intera materia.

Il modello di donna in cui ci si può imbattere nelle società occidentali del XXI secolo, è quello immortalato sull’icastica copertina del New Yorker di fine 2020: una mulatta che vive nella sciatteria più totale, circondata da sporcizia e gatti, con le gambe pelose e un cocktail non ben identificato nella mano, mentre lavora in smart working, attorniata dall’irrinunciabile corredo di mascherine e guanti buttati a terra, con il bonus del tubetto di ansiolitici abbinato a cartoni di cibo cinese d’asporto e scatoloni di Amazon non ancora aperti.

Sembra proprio che, svincolato dal rigido corsetto del patriarcato, l’intero genere femminile sulla lunga distanza si lasci completamente andare e, in veste di “custode della vita”, trascini con sé il resto della creazione. Per fare un esempio, nella donna “liberata”, in colei che, una volta evasa dai sacrosanti paletti imposti dalla civiltà (che coincide tout court col patriarcato) si fa vessillo della pulsione di morte, a quanto pare l’istinto materno non esiste: le femmine “allo stato brado” sono talmente terrorizzate dall’idea di restare incinte da esser pronte a qualsiasi espediente pur di sbarazzarsi della prole (dall’infilarsi una gruccia di ferro nella vagina a scendere – o a salire, infanticidio compreso). Il crollo del tasso di natalità ben al di sotto del limite di sopravvivenza di un popolo è del resto la dimostrazione più lampante di tale tendenza: non appena allentata la stretta sull’altra metà del cielo, essa ci ha condotto dritti alla degenerazione totale.

Allo stato attuale, lasciando da parte un residuo di femmine che in qualche modo hanno potuto godere degli ultimi fuochi dell’educazione patriarcale, tutte le altre paiono esclusivamente attratte da distruzione, morte, annichilimento. La donna liberata è l’antitesi, la nemica naturale, del bon père de famille: quando questi tipi si moltiplicano, qualsiasi società è destinata a crollare, per il semplice motivo che solo i “distruttori di mondi” sono incentivati a proseguire la specie. Tutti gli altri diventano “rami spogli”, maschi che sopravvivono per inerzia conducendo una esistenza insulsa e priva di significato.

Non ha tutti i torti il Redpillatore, a descrivere l’Italia attuale come “una società con tasso di natalità quasi azzerato dove a riprodursi ormai sono solo spacciatori, assassini e feccia varia, la cui prole viene mantenuta dal lavoro dei tutti gli altri coglioni lavoratori e pagatori di tasse perennemente schifati e umiliati dalle donne”. Personalmente constato questa involuzione da anni, dal mio “osservatorio” privilegiato di insegnante: quelli come me non si riproducono quasi più. Difettano di tatuaggi, tossicodipendenza e “un poncho fatto con la propria fedina penale” (cit.).

Tutto questo per dire che sono un po’ stanco di tutto. Nelle ultime settimane mi sono reso conto di esser disposto ad accettare, seppur lentamente e cautamente, la prospettiva di un destino da ramo spoglio, con la residua speranza di rimanere un reietto ad altissimo funzionamento, un componente stimato e integerrimo dell’orrenda società in cui viviamo: discreto stipendio, ottime referenze, nessun vizio illegale, anima quietista e conservatrice, mai un’imprecazione o una bestemmia sul posto di lavoro. Il mio compito sarà dunque proprio quello di mantenere la prole delle donne che hanno preferito accordare il vantaggio evolutivo alla “feccia varia”? Come sempre, abyssus abyssum invocat.

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