Le marocchinate non sono “vulgata fascista”

Monumento alla Mamma Ciociara
(Castro dei Volsci)

In questi giorni il giornalismo italiano è riuscito a dare ancora il peggio di sé: per esser stati costretti a soffermarsi oltre il consentito dal politicamente corretto su un caso di stupro commesso da stranieri, i “professionisti dell’informazione” hanno poi voluto rifarsi sui propri connazionali, etichettandoli non solo come populisti e xenofobi, ma anche come “vermi stupratori” (purtroppo la storia che gli italiani sono i primi violentatori al mondo ha illustri natali).

Si potrebbe (forse) sorvolare su tutto ciò; ma che oggi “Repubblica” si azzardi a definire le marocchinate “vulgata fascista”, è qualcosa di inaccettabile, e segna probabilmente il punto più basso nell’assurda crociata anti-italiana della nostra stampa:

Le marocchinate non furono un’invenzione propagandistica, ma uno dei momenti più tremendi e umilianti per la nostra nazione. E nonostante l’indifferenza e la superficialità con cui ancora oggi lo si affronta, esiste un’ampia bibliografia dedicata all’argomento (ricordiamo, tra i volumi più documentati: M. Lucioli – D. Sabatini, La ciociara e le altre, F. Carloni, Il corpo di spedizione francese in Italia e il Contromemoriale di B. Spampanato). Per farsi un’idea della tragicità degli eventi di cui stiamo parlando, possiamo citare l’efficace ricostruzione che pochi anni fa ne fece Gigi Di Fiore in un capitolo del suo Controstoria della liberazione (Rizzoli, Milano, 2012, pp. 161-196):

«A Cassino, sotto la Linea Gustav, nella battaglia di tutte le battaglie sul fronte italiano, il Corpo di spedizione francese (il Cef) fu determinante. Le truppe di colore erano la maggioranza: marocchini, tunisini, algerini. […] La 4ª divisione di montagna marocchina, con oltre 10.000 goumiers era comandata dal generale Augustin Guillaume. quella definizione, goums o goumiers era la storpiatura in francese del termine arabo: qum. Stava per squadrone o banda.
Erano marocchini di razza berbera […]. Per Pierre Jarry, veterano francese di più guerre e autore di libri, i goumiers concentravano “tutta la poesia del Maghreb”. Erano in prevalenza di religione musulmana, ma alcuni si erano convertiti all’ebraismo.
[…] Per le truppe africane, la razzia di animali e oggetti preziosi era la regola. anche cercare donne veniva considerato un diritto dovuto in caso di vittoria. Eppure, al seguito del Cef c’erano prostitute berbere a disposizione per soddisfare le voglie dei soldati. non bastavano: pastori, montanari o contadini avevano abitudini sessuali che non disdegnavano iniziazioni fisiche con gli animali, soprattutto pecore, e anche violenze e stupri sugli uomini.
[…] A Lenola (Latina), gli stupri accertati furono 282. Compiuti su donne di età compresa tra gli undici e gli ottant’anni. Come in altri luoghi della Ciociaria, non furono risparmiati neancheg li uomini: in diciotto vennero violentati.
[…] Altre testimonianze, a volte anonime, raccontano le violenze che abbracciano un esteso territorio. Eccone un’altra: “A Sant’Andrea le truppe marocchine stuprarono una trentina donne e due uomini. Una maestra di 45 anni dovette sottostare durante un’intera notte ad un plotone di 200 individui. Una vecchia sessantenne fu uccisa dopo essere stata
violentemente stuprata da circa 300 bestie”.
[…] [A Vallecorsa] Vittorio Papa si oppose con tutte le forze alle violenze dei militari francesi, ma non riuscì a far risparmiare la moglie Rosina. Prima di ucciderlo, con ulteriore crudeltà e sottile piacere, i marocchini lo sodomizzarono. Vallecorsa fu luogo di profanazione e orrore: Maria Maddalena Rossi ricordò che neanche le suore dell’ordine del Preziosissimo Sangue furono risparmiate dalle violenze sessuali.
Anche Castro dei Volsci contò le proprie vittime nella marcia delle truppe coloniali: quarantadue uccisi, tra uomini e donne. […] Velia Molinari, di appena diciassette anni, fu violentata sotto gli occhi della mamma e poi uccisa a fucilate; Elisabetta Rossi, cinquant’anni, venne sgozzata dai marocchini nel tentativo di salvale figlie di diciassette e diciotto anni dallo stupro. Non ci fu scampo.
[…] Gli ufficiali francesi, che avrebbero dovuto garantire la legalità e tenere a freno i loro soldati, lasciavano fare: qualcuno fingeva di non vedere, altri giustificavano le violenze. Racconta il primo aviere Amedeo Ferdinandi: “L’11 maggio 1944 una colonna di profughi civili di circa 250 persone, che si spostava da Cerasola Polena per Valle di Spigno, veniva attaccata da truppe marocchine che violentavano tre ragazze di dodici, sedici e diciannove anni. Una banda di marocchini aggrediva un’altra colonna di profughi che si dirigevano su Spigno e violentavano, in presenza di tutti i presenti, quattro giovanette e la loro madre».
[…] Laura Spiriti aveva quattordici anni. Con la mamma Enilia, contadina, fu bloccata a Pico, nei dintorni di Esperia. La violenza le lasciò la lue. Dopo due anni di sofferenze e un ricovero nel manicomio di Aversa, Emilia Spiriti morì. Fu una notte di furia, nessuno scampava. Il parroco, don Alberto Terilli, che abitava in località Serini con la famiglia di Luigi Cappelli, cercò di fermare i soldati. Vide i marocchini gettarsi addosso a Giulia e Cesarina Cappelli. Venne bloccato, fu legato e violentato anche lui. Per una notte intera. Morì due anni dopo, il 17 agosto 1946, dopo aver convissuto per tutto quel tempo con una malattia provocata dalla violenza subita. Dal 17 al 20 maggio, la furia fu inarrestabile. A Esperia, ci fu chi contò novecento donne violentate, il novanta per cento delle case venne distrutto.
[…] La guerra divenne un alibi per abusi ingiustificati: gli stupri furono considerati un necessario corollario dei combattimenti contro i nazifascisti, un diritto per meriti acquisiti. Quei civili non ebbero alcuna protezione: indifferenti gli ufficiali francesi, lontani gli angloamericani. Negli Aurunci, sul Polleca, a Esperia e nei paesi vicini comandavano le truppe marocchine e algerine. Molte chiese furono saccheggiate e devastate. Come quella di Santa Maria Maggiore a Esperia Superiore. […] Il “Secolo d’Italia” pubblicò il 30 agosto 1955 un articolo rievocativo. Raccontò di una ragazzina dodicenne violentata per 42 volte, già morta quando le si era avvicinato il ventesimo soldato marocchino, ma anche di una sessantenne violentata da venti soldati e poi lapidata come una prostituta. Il quotidiano “Roma” scrisse il 25 aprile 1952 che a Pico una ragazza era stata legata in croce, prima di essere stuprata.
[…] Il dottor Giovanni Stirpe, medico condotto di Castro dei Volsci, ricordò: “Tra le tante vittime di turpi brutalità, ho vivo nella memoria il quadro di un signore che si avvicinava alla cinquantina, sfollato da altro comune, costretto in letto per proctite acuta e infiammazioni emorroidarie, provocate da violenza contro natura ad opera di otto-dieci marocchini che lo avevano sorpreso in montagna, dove il malcapitato aveva cercato scampo contro i bombardamenti”.
[…] Il generale medico Alfredo Bucciante visitò 800 donne “marocchinate” Nella sua relazione, annotò che 52 erano di età compresa tra i dodici e i sedici anni, 80 tra i diciassette e i vent’anni; 250 tra i ventuno e i trenta; 199 tra i trentuno e i quaranta; 141 tra i quarantuno e i cinquanta; 52 tra i cinquantuno e i sessanta; 26 tra i sessantuno e gli ottanta. Poi aggiunse ulteriori dati statistici: quasi tutte le donne visitate avevano contratto una malattia venerea, il due per cento era rimasta incinta, il tre per cento aveva preferito uccidersi per la vergogna e le conseguenze psicologiche della violenza”.
[…] Un medico di Pico ricordò che “una vecchia di ottant’anni, abbandonata in un pagliaio da parenti in fuga perché gravemente ammalata e intrasportabile, venne poi ritrovata dai parenti tornati più tardi sul posto; era ancora viva, ma era stata violentata da decine di marocchini”».

A livello “popolare”, la testimonianza più importante resta senza ombra di dubbio La Ciociara di Moravia, portata sullo schermo da De Sica nel 1960. Poco meno di vent’anni fa, Alberto Arbasino già ironizzava sul momento in cui anche quel film sarebbe stato accusato di “fascismo” a causa delle paranoie politicamente corrette (cfr. Paesaggi italiani con zombi, Adelphi, Milano, 1998, pp. 70-71, 366):

«Continuamente constatiamo che larghe masse di veri italiani regolarmente trovano così intollerabile la convivenza coi compatrioti da reclamare e provocare ad ogni costo un’invasione di stranieri possibilmente tremendi per far le peggiori vessazioni all’aborrito vicino di casa guelfo, ghibellino, fascista, comunista, settentrionale, meridionale, tifoso rivale. Benvenuti, via via, si sa i principali e peggiori eserciti europei. Ma ormai in disponibili le milizie e truppe d’occupazione e vendetta (e rimpianto da molti come una chance perduta il mancato arrivo specialmente in Emilia dell’Armata Rossa), benvenuti i gangster e killer sfruttatori. Per sfruttare, a livello nazional-popolare, in un paese già pieno di rabbie, preferibilmente le malavite importate dai paesi più intolleranti e violenti (e meno politicamente corretti: ma pazienza, signora, se intanto provocano qualche decostruzione contro qualche comunità che non possiede ville e barche in Sardegna, non sarete ancora tutti razzisti antimarocchini come ai tempi della Ciociara di Moravia e De Sica!).
[…] I “marocchinamenti” entrati nella memoria collettiva e nel lessico registrato dopo la seconda guerra mondiale dipendono dalla tradizione dei “tre giorni di sac et viol” accordati alle truppe coloniali dopo ogni battaglia dai marescialli francesi come Lyautey. Allora, per il romanzo e poi film La ciociara, si potrebbero accusare Moravia e De Sica di razzismo politicamente scorretto sui diritti umani per aver rappresentato il marocchino stupratore e la Sofia Loren vittima?»

Non credevamo che quel momento sarebbe arrivato così presto; tuttavia, se tante sono le cose che si potrebbero dire sull’incredibile sparata dell’estensore del pezzo, ci limitiamo solamente a ricordare che la prima a portare in Parlamento la questione delle marocchinate fu la deputata comunista Maria Maddalena Rossi (tra le fondatrici dell’Unione Donne Italiane).

Nonostante altri politici (ad esempio il socialista Giovanni Persico o il sindacalista Oreste Lizzadri) avessero tentato di rompere il muro di silenzio eretto per convenienza nell’immediato dopoguerra attorno alle violenze subite dalle donne ciociare, l’intervento della Rossi nella seduta notturna del 7 aprile 1952 (consultabile qui) è riconosciuto dagli storici come determinante affinché il caso venisse portato all’attenzione dell’opinione pubblica e il governo assumesse provvedimenti speciali a favore delle vittime (anche in campo sanitario, visto che le violenze del Corpo di spedizione francese avevano lasciato uno strascico di malattie veneree).

Particolarmente significativo, anche per il momento che stiamo attraversando, è uno scambio di battute tra la deputata e il sottosegretario Tiziano Tessitori: di fronte alla freddezza del politico democristiano, che cercava di minimizzare la gravità degli episodi, la Rossi sbottò in un «come si vede che ella non è una donna!», e insinuò un sospetto che oggi sicuramente le sarebbe costato l’accusa di “populista” (e, perché no, “fascista”):

«Ora, se l’onorevole sottosegretario ritiene che le sevizie inflitte a queste donne dalle truppe marocchine siano in qualche modo paragonabili a qualsiasi altra sventura che la guerra può arrecare, per grande che essa sia (e lo dico avendo qui accanto a me una collega che ha avuto la sventura di perdere il proprio figlio in guerra), se crede che questa sventura sia paragonabile a qualsiasi altro lutto o dolore di cui la guerra sia causa, mostra di non avere un briciolo di sensibilità, mostra di non sapersi nemmeno soffermare un momento a considerare il fatto che il caso e non altro ha voluto che queste donne e non quelle delle sua famiglia, quelle che gli sono più care, avessero a subire questa dura sorte»

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