In questa quarantena ho avuto occasione di leggere le Memorie di un legionario (Amintirile unui legionar) di Chirila Ciuntu, uno dei capi della Guardia di Ferro: Din Bucovina pe Oder, “Dalla Bucovina all”Oder”. Possiedo l’edizione limitata del volume autografata dall’Autore (comprata in una libreria di Milano per due euri, ai tempi in cui si poteva ancora uscire di casa).
Oltre all’eccezionalità della testimonianza in sé, mi aveva incuriosito appunto il riferimento alla Bucovina, regione che da sempre rappresenta una spina nel fianco nelle relazioni tra Bucarest e Kiev.
In verità il buon Ciuntu non si dedica molto all’irredentismo e piuttosto che con gli ucraini ha problemi con altre minoranze: ricorda infatti quando i legionari venivano aggrediti da “folle di ebrei armati di fucili e pistole” che aspettavano solo l’arrivo dei “liberatori” russi, ma nella testimonianza ci tiene comunque a passare per un antisemita moderato:
“Mi chiedo perché così tanto odio contro noi legionari, quando non abbiamo mai torto un capello agli ebrei e quello che volevamo era solo il bene per il nostro Stato, quello che loro vogliono oggi per il loro Stato di Israele. Il nazionalismo in questo mondo è consentito solo agli ebrei? Nel nostro movimento, basato sulla morale cristiana, non c’era spazio per l’odio nei confronti del prossimo, né individuale né umano. Molte volte, da individuo a individuo, non solo il romeno ma persino il legionario andavano d’accordo con l’ebreo. Io stesso ho vissuto in perfetta armonia con un ebreo: era un uomo benestante di nome Moscuna, proprietario di numerosi negozi a Bucarest. Tuttavia, suo figlio era un comunista ed era fuggito quando i legionari salirono al potere in Bulgaria. Per questo il vecchio non ha avuto alcun problema con noi. Nella minoranza ebraica, tuttavia, questa strana situazione era piuttosto diffusa: i vecchi ebrei finanziava i partiti politici al potere, che sparavano ai legionari, mentre i giovani ebrei si arruolavano o simpatizzarono con il partito comunista, in cui vedevano la classe dirigente del futuro”.
Durante il suo breve esilio a Sofia, il legionario afferma di poter capire i discorsi dei bulgari grazie alla frequentazione delle lingue slave nella regione natia e nell’attuale Moldavia, qualità che tuttavia non gli rende la vita facile: “Dal momento che riuscivo a comprenderli, i bulgari inizialmente pensarono che fossi una spia, un disertore o un ebreo“.
Alla fine Ciuntu riesce ad arrivare in Germania, ma l’accoglienza non è delle migliori e la sua simpatia per i tedeschi va scemando repentinamente, soprattutto quando assieme ad altri legionari gli fanno fare il tour dei campi di concentramento fino a Bunchenwald, “nei pressi della città natale di Goethe, Weimar, in Turingia”:
“Accanto ai luoghi di meditazione e creazione del grande genio della Germania, i nazionalsocialisti avevano eretto uno dei luoghi più terribili di tortura“.
Il regime di semi-libertà (Hitler si teneva buoni i legionari come arma di ricatto nei confronti della Romania di Antonescu, per costringerla a partecipare alla crociata anti-sovietica) non scalfisce la volontà di Ciuntu: “Per noi legionari tutto il mondo è una prigione”.
I suoi ricordi della Seconda guerra mondiale non sono poi così memorabili:
“Nella città di Eberswalde mi sono imbattuto in alcuni ufficiali della Wehrmacht ubriachi che saltellavano accompagnati da italiani coi mandolini”.
Allargando la testimonianza di Ciuntu a quella di altri legionari della sua stessa “frontiera” (nonché dell’intero Paese), emerge che tra i diversi motivi di attrito coi nazisti, oltre al fatto che la Germania avesse “concesso” la Bucovina settentrionale all’Unione Sovietica nel 1940, c’è soprattutto il fatto che i tedeschi considerino segretamente i legionari alla stregua di slavi.
Un dato “di colore” è che anche gli ucraini vengono percepiti tra le righe come “allogeni”, elementi estranei di ceppo slavo rispetto alla purezza della românitate: del resto sono note le politiche di “romanizzazione” condotte dopo il crollo dell’Impero austro-ungarico, che trasformarono gli ucraini presenti da secoli in quei territori in “rusini”, “ruteni” o “rusnaci” (nu în sens peiorativ!, precisa la Wikipedia romena).
Non è una faccenda da sottovalutare, sia da una prospettiva storica che da quella attuale: in primo luogo perché simboleggia bene il contrasto tra anima “latina” e “slava” all’interno del nazionalismo romeno, che si tentò di risolvere con un classico espediente identitario, cioè quello di riferirsi a una “razza romena” che condividerebbe entrambe le caratteristiche (ovviamente migliorandole).
In secondo luogo, per i risvolti politico-diplomatici che ancora oggi possiamo osservare. L’impossibilità un “fronte orientale” compatto, sia esso filo-occidentale, europeista o slavofilo, è una questione fin troppo sottovalutata. Nel caso di Romania e Ucraina le dispute territoriali sono ovviamente le più pressanti: non sono la Bucovina di cui sopra, ma anche la famigerata Isola dei Serpenti e soprattutto la Bessarabia.
Nonostante l’interventismo russo nel Mar Nero abbia portato a un lieve disgelo diplomatico, bisogna osservare che le autorità romene hanno usato le stesse motivazioni di Mosca nei riguardi della “questione linguistica”. anche se i russi l’hanno posta soprattutto in termini di “ucrainizzazione”, mentre Bucarest ha mostrato irritazione per il fatto che Kiev consideri moldavo e romeno come due lingue distinte (a suo dire un goffo tentativo “alla sovietica” di divide et impera dell’unica e indivisibile comunità romena).
Ricordiamo che la Romania è diventa membro della NATO nel 2004, tre anni prima di entrare nell’Unione Europea: un percorso quasi scontato, ma col senno di poi l’annessionismo atlantico all’apparenza così forsennato e privo di logica pare invece tenere regolarmente in considerazione l’Ucraina come “sacrificabile”, paradossalmente nello stesso modo in cui Hitler considerò la Romania nei confronti dell’Unione Sovietica (ma forse è meglio evitare parallelismi storici).
Sì, comunque tutto questo per dirvi che ho provato a disegnare Codreanu ma siccome sono un po’ esaurito e arrugginito non mi è venuto un granché. Il “ritratto” del fondatore della Guardia di Ferro non era in effetti un pregevole profilo biografico ma, come specificato nel titolo, letteralmente un ritratto fatto da me con le matitine.