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Le prime reazioni della stampa internazionale al rapimento di Moro

Da “La Stampa” di venerdì 17 marzo 1978, alcune reazioni della stampa internazionale.

In Francia i commenti sono da campagna elettorale, particolarmente duri quelli di Chirac:

«Sono preoccupato per lo spettacolo che l’Italia ci offre. Sul piano dell’insicurezza e della violenza la nostra vicina tende a sempre meglio caratterizzare le democrazie. Bisogna far ben capire ai nostri dirigenti che l’autorità dello Stato deve anzitutto garantire la sicurezza delle persone, e questo esige una precisa politica da attuare in Francia in maniera del tutto speciale».

Secondo l’inviato a Parigi (V. Gorresio),

«Per la Francia, la nostra situazione è scandalosa, e non da oggi. Qui si guarda all’Italia con un senso di meraviglia che in parte è di compatimento –nel migliore dei casi– ma per il resto, e più frequentemente, di innegabile disprezzo. In un Paese come la Francia dove lo Stato esiste ancora e dove le forze di polizia conservano un’efficienza da prendere a modello, l’Italia appare come il piccolo dominio dell’incredibile: sfascio delle istituzioni, irresponsabilità della classe politica, permissivismo disastroso a tutti i livelli. Qui il cosiddetto senso dello Stato resta il fondamento insostituibile della vita pubblica. Alle scalmane studentesche del maggio parigino del ’68 fece seguito una reazione collettiva di ritorno all’ordine ed alla disciplina che ancora oggi fa sentire i suoi effetti determinanti. Per mesi e mesi fu instaurato un regime di vita che parve prossimo allo stato d’assedio, con grandi esibizioni di forza da parte delle autorità costituite (carri armati dell’esercito ed autoblindo della polizia ad ogni angolo di strada) ma con dimostrazioni di consenso da parte della cittadinanza. Si ricorderà che le elezioni di quell’estate furono un trionfo per il governo gollista di Pompidou»,

Nell’articolo si riporta anche un commento del corrispondente di “Le Monde” Jacques Nobécourt:

«Come si può giustificare la politica del silenzio che la democrazia cristiana ha applicato con perseveranza per dieci anni per quanto riguarda gli attentati terroristici? […] Numerosi episodi sono stati teleguidati dai servizi segreti e dalla polizia politica, grazie alla manipolazione di adolescenti perduti nelle loro utopie rosse o nere. In tutti questi anni il ministero dell’Interno è stato retto da un democratico cristiano, e si stenta a capire come mai, in questo e in altri campi, il partito ha solidarizzato con alti funzionari della pubblica amministrazione. A meno che questi ultimi sapessero cose inconfessabili».

In Germania, «mai una notizia proveniente dall’Italia ha suscitato emozione e indignazione come quella del sequestro di Aldo Moro». Così scrive il corrispondente da Bonn (T. Sansa):

«Quasi naturale viene il parallelo con il sanguinoso rapimento di Hanns Martin Schleyer: identica la collocazione politica degli autori (la sinistra anarchica), identica la scena (la scorta assassinata, l’ostaggio risparmiato), forse uguale la richiesta di riscatto (la liberazione dei compagni incarcerati). Sembra quasi che le Brigate rosse abbiano studiato il rapimento di Schleyer e lo abbiano imitato. […] Era il 5 settembre, un caldo pomeriggio di sole, un lunedì, l’unico giorno della settimana in cui Schleyer era solito venire a Colonia. Alle 17,30, come sempre, rincasa sulla sua automobile scortata da una seconda vettura con a bordo tre agenti di scorta. A poche centinaia di metri dall’abitazione una macchina in manovra obbliga il convoglio a fermarsi. Immediatamente cinque giovani, tra cui una ragazza, aprono il fuoco con armi automatiche, l’autista di Schleyer e i tre agenti vengono crivellati di colpi ancor prima che possano reagire, Schleyer incolume viene tirato a forza a bordo di un furgoncino che si allontana verso l’autostrada. Poche ore dopo il furgone viene trovato abbandonato, la “Frazione Armata Rossa” chiede la liberazione di Andreas Baader e di altri diciassette estremisti rinchiusi in carcere. A Bonn si riunisce lo “stato maggiore di crisi”, comincia un estenuante periodo di negoziati con i terroristi, per il tramite dell’avvocato ginevrino Payot. I criminali si fanno vivi ogni due tre giorni, con ultimatum, messaggi, minacce, ma il governo non cede. Nel frattempo la polizia compie una serie di errori imperdonabili, trascurando diverse denunce di cittadini. L’agonia del prigioniero dura sei settimane. Il 18 ottobre, dopo il raid di Mogadiscio con il quale vengono liberati passeggeri di un aereo sequestrato da terroristi palestinesi, Hanns Martin Schleyer viene trovato assassinato in Alsazia. Se la polizia tedesca avesse funzionato si sarebbe potuto salvarlo».

Non poco significativo il fatto che la stampa sovietica insista molto sulla “strategia della tensione”, come riporta il corrispondente da Mosca L. Zanotti:

«La prima notizia, del tragico rapimento di Moro è giunta ai giornali sovietici con un breve dispaccio della “Tass” da Roma, rilanciato dall’agenzia poco dopo le ore 14. Riferiva il comunicato del ministero dell’Interno italiano. In serata è l’agenzia “Novosti” a diffondere un commento. Dice tra l’altro: “Non è la prima volta che l’Italia e la sua capitale sono arena di azioni dovute a quelle forze che ricorrono al terrore sanguinoso, strumento provato della cosiddetta ‘strategia della tensione’. E’ pure noto a chi giova tale strategia, che ha molti precedenti storici non soltanto in Italia”.
L’agenzia rileva quindi che il crimine “è stato consumato solo pochi giorni dopo che –a conclusione di una trattativa lunga ed ardua–, le principali forze politiche erano approdate ad un accordo, circa il programma del governo Andreotti e circa l’atteggiamento da tenere in Parlamento verso il governo stesso”.
“Tale accordo – aggiunge la nota –, ha significato un nuovo accresciuto ruolo delle sinistre e in parte del Pci, nel quadro della soluzione dei problemi attuali dell’Italia”. Per contro – si rileva – è noto che “sono stati proprio i fautori della ‘strategia della tensione’ a contrastare la realizzazione di tale accordo”.
Da Roma, in serata, la “Tass” trasmette un nuovo servizio, più ampio. Riassume i fatti della mattinata e pone in rilievo l’indignazione popolare seguita alla grande emozione».

Per Londra, invece, la “macchina giudiziaria” italiana sarebbe “troppo lenta” (a scrivere è l’inviato M. Ciriello):

«La parola che meglio descrive la reazione inglese al rapimento di Moro, è proprio una parola di questa lingua: shock. Anche in quest’isola dove i fatti italiani sono seguiti distrattamente e sporadicamente (un annunciatore televisivo ha chiesto a un commentatore se le Brigate rosse fossero formazione di “estrema destra”) la tremenda gravità del fatto ha lasciato tutti allibiti. Si parla di “sfida allo Stato”, si avverte che tale sfida sottoporrà tutte le nostre istituzioni a una prova vitale, si spera che l’Italia superi indenne, anzi più forte, questa pericolosa avversità.
In una dichiarazione emessa questo pomeriggio il Foreign Office ha detto che il governo di Sua Maestà è “shocked and horrified”. E ha già aggiunto: “E’ dovere di tutti condannare questo assurdo rapimento e sperare in una rapida liberazione dell’onorevole Moro”. I giornali londinesi del pomeriggio danno ampio spazio alla notizia, che occupa le prime pagine. L’Italia – dicono gli inglesi – deve apprestarsi ad un lungo periodo di ansie, di tensioni e forse di laceranti decisioni. Quale che sarà l’esito della vicenda (e in questi casi è assai rischioso fare previsioni) i nervi della nazione e dei suoi leaders devono dimostrarsi capaci di sostenere una sfibrante guerra di attrito. Non basta. Il rapimento confermar con brutale evidenza, l’urgentissima necessità di snellire e accelerare il lavoro della magistratura italiana. Gli inglesi, sensibilissimi ai problemi della giustizia, ci ricordano ora che se Curcio e compagni fossero già stati processati, Moro non sarebbe stato forse rapito.
Secondo gli inglesi – che hanno sofferto e soffrono tuttora il dramma nordirlandese – vi è un limite alle misure di sicurezza in una società democratica. Bisogna invece perfezionare al massimo il deterrente della punizione. Nell’Irlanda del Nord i terroristi vengono processati senza giurie».

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