Desidero finalmente affrontare L’Epoca delle rivoluzioni nazionali in Europa di Michele Rallo, un’opera che cito spesso (soprattutto per le indicazioni bibliografiche), divisa in cinque volumi (più un sesto a parte dedicato alla Grecia), nella quale viene affrontato in modo magistrale un tema talvolta trascurato dalla storiografia.
Nel primo volume, pubblicato nel 1987 dalla Settimo Sigillo, l’Autore affronta la “Rivoluzioni Nazionali” (=fascismi) in Austria, Cecoslovacchia e Ungheria. È notevole l’approfondimento delle varie correnti, scissioni e lotte intestine all’interno degli schieramenti conservatori, nazionalisti e socialisti orientati a destra, analizzati sia da una prospettiva “locale” che internazionale, ovviamente tenendo sempre conto delle due potenze che si spartivano lo scacchiere reazionario in Europa (Italia e Germania).
Parlando dell’Austria, viene subito alla mente l’affaire Dolfuss, che Rallo affronta in modo originale, con la convinzione che il regime del Cancelliere
«non era tanto o soltanto, come da più parti si sostiene, un tentativo di adattare il fascismo alle caratteristiche nazionali austriache, quanto piuttosto il tentativo di realizzare uno Stato e una società cristiani in un’epoca che, soprattutto in Europa, condizionava in senso fascista pressoché tutti i tentativi di varare nuovi sistemi di governo» (p. 33).
Ipotesi interessante (in effetti già adottata da altri studiosi), quella del fascismo come “contenitore”, o addirittura “moda”, nella quale erano obbligate a confluire le tendenze più disparate.
La Cecoslovacchia, da tale punto di vista, è forse un “campo” meno ricco di sorprese, dato che sia per la composizione etnica (tedeschi dei Sudeti, slovacchi, ungheresi, ucraini, polacchi) che per la posizione politica (divisa tra le potenze occidentali, l’influenza germanica e la minaccia sovietica), ha avuto una ricezione piuttosto “passiva” delle nuove dottrine ideologiche. Nel libro infatti la nazione trova meno spazio delle altre, perlopiù dedicato alla vicenda slovacca di monsignor Tiso, nonché a qualche “pillola” di revisionismo sulla figura di Reinhard Heydrich.
Più denso invece il capitolo dedicato all’Ungheria, che analizza il panorama politico diviso fra monarchici anti-asburgici, legittimisti filo-tedeschi, “ungaristi”, società segrete di ispirazione tribale e fanatici turanisti. La posizione della nazione magiara si può sintetizzare con una confessione di László Bárdossy (primo ministro dal 1941 al 1942) all’ambasciatore Filippo Anfuso: «Quando i tedeschi mi chiedono qualcosa, io do sempre un quarto di quello che domandano: se rifiuto recisamente, vengono a prendersi tutto lo stesso, il che è peggio».
Con un approccio del genere, bisogna sottolineare che gli ungheresi riuscirono comunque a conseguire, seguendo le avanzate tedesche, un’espansione territoriale incredibile (seppur effimera), dalla Cechia alla Vojvodina e dalla Rutenia alla Transilvania. Poi è noto come andò a finire: lo stesso Bárdossy, catturato assieme ad altri rappresentati del governo ungherese in esilio a Vienna, venne consegnato dagli americani ai sovietici e impiccato nell’aprile del 1946 sulle rive del Danubio, lasciando come suo testamento la speranza «che Dio possa un giorno liberare la Patria da questa canaglia».
Un episodio che non conoscevo e che mi ha decisamente sorpreso è la decisione ventilata, da parte dei più fedeli seguaci dell’ammiraglio Horthy, di offrire il trono a un Savoia per scongiurare il ritorno di un Asburgo in Ungheria. Come scrive Rallo, l’idea era quello di affidare la successione del Reggente «allo stesso Vittorio Emanuele III tramite una unione personale sul modello albanese, o a un altro Savoia come nel caso croato». Tuttavia, il Duce lasciò cadere l’offerta, principalmente perché «non era difficile scorgere dietro tutta l’operazione una manovra anti-tedesca, e nemmeno tanto nascosta».
L’indecisione di Horthy, unita anche a una eccessiva fiducia nella lealtà delle potenze occidentali (era infatti convinto che non avrebbero dato persino l’Ungheria in pasto a Stalin), portò infine alla catastrofe e all’annientamento di tutte quelle realtà sorte nell’attrito tra espansione italiana e tedesca.
Complimenti per questo ed il precedente articolo, davvero molto interessanti.
Ha sorpreso anche me l’idea di un Savoia sul trono d’Ungheria: sarebbe un ottimo spunto per un romanzo ucronico…
Grazie, sei ancora su Telegram?