L’Ambasciata italiana di Bangkok in occasione della morte «dell’amatissimo Re di Thailandia», Bhumibol Adulyadej, venuto a mancare pochi giorni fa, ha raccomandato a residenti e viaggiatori «generale cautela e osservanza dei divieti di ordine pubblico che dovessero essere emessi; massimo rispetto per i sentimenti del popolo thailandese; un abbigliamento consono al particolare momento; pazienza ed educazione in caso di chiusura di siti di interesse turistico; evitare fotografie, video e selfie in occasione delle manifestazioni di lutto», ricordando infine che «in Thailandia è in vigore la Legge sulla Lesa Maestà».
Sono consigli molto saggi, perché in effetti la Thailandia, benché sia entrata nell’immaginario occidentale come luogo di perdizione, è un Paese attaccatissimo alle sue tradizioni religiose e nazionali, che difende e tramanda con un formalismo tipicamente “asiatico”. Per fare un esempio, un’usanza tipica degli impiegati statali (quindi alle dirette dipendenze del Re) è avvisare Sua Maestà prima di morire:
“Nowadays in Thailand, there are practices that indicate that the idea of seeing the king as divine god is very much alive. Thais worship the king’s portrait at home. Buddha amulets are sometimes made with the king’s emblems. Royal customs regarding the birth, marriage, and cremation of the king and royal families indicate strong divine god tradition. Dissatisfied with elected politician bosses, Thai bureaucrats will identify themselves as karachakarn [ข้าราชการ] (royal bureaucrats) of the king, not of the elected minister. When a bureaucrat passes away, it is a tradition for his relatives to inform the king of his death (“To ask for his majesty’s permission to die”)”
“Ancora oggi in Thailandia esistono rituali che indicano la vitalità dell’idea che il re rappresenti una divinità. I thailandesi venerano il ritratto del monarca nelle loro case e gli emblemi reali compaiono spesso sugli amuleti buddisti. Le usanze reali riguardanti la nascita, il matrimonio e la cremazione del Re e della sua famiglia indicano forti tradizioni di divinizzazione. Insoddisfatti dei politici di turno, i burocrati thailandesi si identificano come karachakarn (burocrati reali), dipendenti direttamente dal Re e non dal Presidente eletto. Quando un burocrate muore, è tradizione che i parenti informino il Re della sua dipartita (‘Chiedo a Sua Altezza il permesso di morire’)”
(Evan M. Berman, Public Administration in Southeast Asia, CRC Press, 2011, pp. 31-32)
Sempre pensando alle idee che un occidentale medio può avere su questa nazione, vi invito anche a considerare che, a conti fatti, la “deboscia” promessa da Bangkok è di molto inferiore a quella che possono offrire Zurigo o Berlino. Pensiamo solo al fatto che, per dirne una, mentre nelle città del Nord Europa puoi comprare praticamente qualsiasi cosa (sesso, droga, surrogati del rock&roll) senza risvolti penali, al contrario le leggi thailandesi prevedono la pena capitale per il traffico di stupefacenti. Tuttavia, per parlarci chiaro, nessun quarantenne sfigato che dicesse “Amici, vado in Isvizzera”, susciterebbe il minimo sospetto: andrà sicuramente a fare passeggiate in montagna e degustazioni di piatti tipici… e in effetti poi va a fare proprio quello! (Ecco il segreto: concederti tutto per farti passare la voglia). Invece lo scapolo che si fa il viaggetto in Thailandia, magari solo per convincersi che il “patrimonio culturale mondiale” non è situato esclusivamente in Italia, viene sempre visto come un maniaco sessuale che non vede l’ora di sputtanarsi (è proprio il caso di dirlo) tutti i risparmi in “massaggi”.
In ogni caso, passando a cose più serie, in questi giorni le bacheche Facebook di alcuni dei miei contatti sono listate a lutto (e penso lo resteranno a lungo):
Devo ammettere però che tutto questo profluvio di patriottismo e monarchismo non mi ha fatto tornare la voglia di riprendere in mano il thailandese. Chi non ha mai approcciato questa lingua difficilmente può immaginare quanto sia complessa: il fatto che il thailandese non contempli l’utilizzo della punteggiatura ne rende ancora più complicata l’interpretazione, poiché alcuni caratteri cambiano senso e suono a seconda delle combinazioni e della posizione (sebbene l’alfabeto thailandese sia generalmente considerato il più difficile del mondo, c’è chi sostiene che il tibetano sia ancora più complicato).
Nonostante sia consapevole dell’importanza dell’appello al “massimo rispetto” di cui sopra, non posso far a meno di segnalare uno dei sistemi migliori (trovato su YouTube) per imparare almeno i caratteri, che potrebbe forse sembrare un po’ offensivo, perché tira in mezzo i trans (ma tanto qui in Italia la lesa maestà vale solo per i tecnocrati).
Il metodo utilizza i classici trucchi mnemonici, come quello dell’associazione con immagini insolite e colorite, forse abusando un po’ di certi stereotipi della fantasia occidentale (come appunto i rinomati esponenti del “terzo genere”). Chi preferisse però qualcosa di meno esuberante, senza risalire al Dictionarium Linguae Thai. Sive Siamensis. Interpretatione Latina, Gallica et Anglica (1854), può sempre rifarsi all’ottima introduzione interattiva curata da Gianni Maiani.
Meglio comunque tagliar corto sulla questione, perché nei periodi di interregno i nervi sono notoriamente tesi. Del resto, i thailandesi che ho conosciuto mi sono sempre sembrati profondamente devoti al Re e al Buddha; è vero che in genere io attiro soprattutto un certo tipo di personalità bigotta e retriva: infatti alla fine l’unica frase che mi si è impressa nella mente in thailandese è “A che ora inizia la cerimonia?” (ทำพิธีกี่โมงครับ), che può essere utilizzato per qualsiasi tipo di rito. Sì, meglio chiuderla qui con una bella foto del Papa e del Re (erano tempi più semplici, in cui i pontifices si limitavano a costruire ponti tra l’uomo e Dio):