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Leonard Hawksley e la zoofilia italica

Le informazioni riguardanti Leonard Hawksley, uno dei primi animalisti “ufficiali” di tutti i tempi, sono generalmente scarse sia in inglese che in italiano: sul sito della Società Anglo-Italiana per la Protezione degli Animali (da lui fondata alla fine del XIX secolo) si può per esempio trovare una breve biografia (sfortunatamente non corredata da alcuna immagine del Nostro).

«Nel 1890, poco più che ventenne, Leonard Hawksley si imbarcò come molti suoi conterranei in un viaggio in Italia, ancora ignaro del ruolo che il futuro gli avrebbe riservato come pioniere della protezione animale nel paese.
Sin dal suo arrivo a Napoli, Hawksley non poté non notare i maltrattamenti agli animali. Cavalli e muli erano spronati senza tregua, costretti da morsi rinforzati con chiodi e percossi incessantemente. Proprio a Napoli decise così di intraprendere i primi passi nella riforma della Società napoletana contro la crudeltà verso gli animali trasformandola nella Società napoletana per la protezione degli animali ed assumendone la guida dal 1909.
Nel 1901 Hawksley si fece carico di organizzare anche un gruppo di 40 ispettori a Roma. In giro per la penisola il suo attivismo destò non pochi problemi e gli costò caro al punto che, avendo sfidato il crimine organizzato, fu aggredito riportando considerevoli traumi e tristemente perse l’uso della vista da un occhio.
Hawksley non era un semplice attivista ma si distinse come brillante riformista e si batté per anni per l’introduzione di leggi a protezione degli animali. Nel 1912 fu testimone della normativa che bandiva gli sport violenti e allo scoppio della prima guerra mondiale ebbe un ruolo fondamentale nella fondazione della Croce blu italiana e di 22 ospedali veterinari, lavorando sul campo per salvare le vita di migliaia di cavalli e muli.
Hawksley pagò un alto prezzo per i lunghi anni di battaglie e nel 1931, all’età di 58 anni, sfiancato dall’impresa decise di tornare in Inghilterra dove si spense nel 1948. In Italia lasciava un’eredità importante: 22 associazioni per la protezione degli animali fondate da lui stesso o attraverso il suo prezioso contributo. Nel corso degli anni, in risposta a chi lo criticava chiedendo come mai uno straniero si interessasse della tutela degli animali in un Paese che non era neppure il suo, era solito rispondere con prontezza: “Perché gli animali non hanno nazionalità”.
Nel 1952 l’allora Hawksley Society for the Protection of animals and birds in Italy divenne la Società Anglo Italiana per la Protezione degli Animali. Le sue parole di ieri sono le nostre parole di oggi e lo spirito del suo lavoro pionieristico vive ancora nella Società Anglo Italiana per la protezione degli animali».

Nonostante Hawksley sia il discendente di una celebre famiglia di ingegneri, e dunque ci si aspetterebbe qualche dettaglio in più nella sua lingua, le fonti inglesi sono ancora più rare: ho trovato giusto un appello del 28 giugno 1919 pubblicato dallo “Spectator”, in cui si ricorda come la Society for the Protection of Animals sia uscita stremata dalla Grande Guerra, impegnandosi tutte le proprie energie per la salute e il benessere dei cavalli:

«It assisted the work for the war-horses, a cause which won universal approval in Italy, and it is satisfactory to know that the animals used in the Italian war were well treated as far as the conditions would admit».

Ormai priva di uomini e risorse, la Società è costretta a chiedere un aiuto ai lettori.

Vediamo quindi di inquadrare meglio l’operato di Hawksley dal punto di vista storico: prima di tutto, essa si sviluppa nel clima culturale (e “spirituale”) di fine Ottocento, che ispirò lo stesso Garibaldi nella creazione della Società Protettrice degli Animali contro i mali trattamenti che subiscono dai guardiani e dai conducenti, la più antica organizzazione zoofila italiana, fondata a Torino nell’aprile 1871 assieme ad Anna Winter e Timoteo Riboli.

Leonard Hawksley, si è detto, giunse a Roma nel 1890 e incominciò subito con le sue “campagne di sensibilizzazione”, in principio anch’esse rivolte contro carrettieri e cocchieri delle grandi città. Durante il suo “apostolato” fu aggredito decine di volte dai rappresentanti di tali categorie, che in più di un’occasione tentarono anche di fargli la pelle: un assalto particolarmente violento, come ricordato più sopra, gli provocò la perdita di un occhio.

In un articolo a lui dedicato (In difesa degli animali di Alexandra Wasiqullah: non sono riuscito a risalire aboriginal, ma la traduzione è apparsa nel “Selezione dal Reader’s Digest” del Maggio 1981), si apprende che

«fra i suoi tanti nemici ci fu anche la Camorra napoletana, che lo minacciò di morte. Ma poi, in un acceso diverbio, Hawksley perse la pazienza e, strappata una frusta dalle mani di un emissario della Camorra, ne spezzò il manico sulla testa dell’incauto. Impressionato dalla decisa reazione dell’inglese, il camorrista dimenticò la sua ira e passò ad un atteggiamento di deferente rispetto, ordinando ai suoi scagnozzi di lasciare per sempre in pace Hawksley
In un’altra occasione, Hawksley, mentre viaggiava a bordo di una nave lungo le coste italiane, notò una mucca che si dibatteva in mare e chiese al capitano di fermare la nave e di salvare la bestia. Il capitano rispose con una scrollata di spalle. Spogliandosi e gettandosi in mare, Hawksley urlò: “Se non vuole salvare una bestia, si sentirà obbligato a salvare un uomo”. Il comandante fermò la nave e, si racconta, trasse in salvo uomo e bovino».

Sarebbe utile e interessante capire se anche Hawksley, al pari di Garibaldi, nella sua “zoofilia” fosse ispirato da credenze esoteriche: un punto in comune tra i due potrebbe essere rappresentato dalla Società Teosofica, con la quale probabilmente entrambi ebbero dei rapporti (per l’Eroe dei due mondi è certo, dato che la Blavatsky sostenne addirittura di aver combattuto nella battaglia di Mentana).

In ogni caso, al di là di convinzioni pseudo- o para-massoniche, è un fatto che pochi anni dopo la nascita di queste “società”, la zoofilia era già stata chiamata ufficialmente a far parte della tradizione culturale italiana, come si evince da un intervento parlamentare del 6 giugno 1913 (riguardante proprio un provvedimento per la protezione degli animali) dell’ex presidente del consiglio Luigi Luzzatti (nel quale viene citata anche la contessa Martinengo Cesaresco, autrice dell’appello dello “Spectator” di cui sopra):

«L’Italia è il paese dove le più nobili, le più grandi, le più umanitarie dottrine, dai tempi antichissimi sino a oggi, si sono svolte. Ma non oserei dire che sia il paese che sempre le abbia applicate, dai combattimenti dei gladiatori agli accecamenti degli uccelli [si ride].
In questo pietosissimo e gravissimo argomento, noi italiani, dopo l’India, siamo quelli che hanno predicato le più dolci, le più sante dottrine, dai greci pitagorici, dai filosofi e poeti romani. Avevo portato tutti i testi qui… [si ride] e non sarebbe male per voi e pel paese parlare a fondo di queste materie.
Avevo portato tutti i testi, che si trovano raccolti in un libro uscito ora. L’autrice è una donna gentile e colta, che scrisse anche cose belle sul risorgimento italiano, la contessa Martinengo; il libro è intitolato: II posto degli animali nel pensiero umano.
Certo, uno degli atti nostri, che ci facevano più torto, e ce lo fanno anche oggi di fronte agli stranieri, è il maltrattamento degli animali.
[…] Per fortuna, non siamo più isolati, ci sono società zoofile a Torino, a Milano, a Napoli, a Roma e altrove, vigilanti e affrontanti le bestemmie di quelli che maltrattano le bestie e le ironie dei magnifici sfaccendati, peggiori spesso persino di coloro che maltrattano le bestie.
[…] Perché ai superbi che mormorano in questa Camera e che credono di avere essi soli un’anima immortale o mortale (non so se credano a Dio), ai superbi che mormorano in questa Camera io dirò che San Francesco d’Assisi coltivava, cosa degna di nota, la stessa dottrina dei nostri grandi uomini del Rinascimento.
Leonardo da Vinci e Giordano Bruno non credevano di avere essi soli un’anima, credevano anche alle anime degli animali e delle piante, e sentivano quest’immensa catena di solidarietà nel bene e nel male che collega tutti gli esseri della creazione e, mentre ci può rendere più modesti, ci deve anche far più buoni e più pietosi. [Vive approvazioni].
Questa è la luminosa tradizione italiana, la tradizione italiana che doveva mirabilmente splendere in quei due grandi fattori della nostra libertà e della nostra unità, quali furono Mazzini e Garibaldi, i due zoofili per eccellenza.
Garibaldi eccitava un suo amico a Torino a fondare la Società per la protezione degli animali con accenti così belli che rivaleggiano, con altra forma e con altro metodo (qui c’è il guerriero redentore, là c’è il santo) colle parole dei Fioretti del Serafico.
In questo libro che ho qui vi sono delle parole di Garibaldi raccolte pietosamente dalla donna insigne, la quale ho ricordato.
Quando Garibaldi combatteva in America e aveva nel solo cavallo l’amico più potente e più fido, ei si angosciava, non trovando per via in quelle immense solitudini che oggi fioriscono di messi biondeggianti, neppure l’orzo per poterlo nutrire. Quando lo vedeva un po’ quieto riposare sull’erba, Garibaldi diceva che egli provava la gentile voluttà di essere pio. Qual bellezza di frase, come è degna di Ugo Foscolo!
E Mazzini ha tutta una storia intorno a questa pietà dei forti verso i deboli animali, mistica e sana. Quando era rifugiato a Genova in casa di un suo amico cospiratore, viveva appartato silenzioso e nascosto; un pittore di stanze, il quale credeva che la casa fosse vuota voleva afferrare un ragno fuori della finestra. Mazzini sentì tanta pietà per l’infelice ragno che sbucò fuori, e impedì al pittore di compiere l’opera nefasta.
Il pittore fuggì, diffuse per la città la notizia che vi era uno spirito in quella casa, e veramente vi era uno spirito, lo spirito animatore dell’Italia! [Vive approvazioni].
Mazzini dovette fuggire perché altrimenti quel ragno l’avrebbe scoperto agli uomini, implacabili verso di lui assai più che non lo fossero verso le bestie. [Approvazioni].
Insomma è tutta una grande tradizione italica che noi richiamiamo qui a nostra gloria per esser un po’ risarciti dai guai, ai quali assistiamo per il mal trattamento degli animali».

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