Non si sa nemmeno da dove cominciare ad affrontare lo scandalo Epstein, una vicenda giudiziaria ormai ultradecennale ma che sta esplodendo in questi giorni sulla stampa internazionale (stendiamo un velo pietoso sull’imbarazzante indifferenza di quella italiana): in pratica stiamo scoprendo che tutte le paranoie complottiste sul famigerato pedo ring, sulla pedofilia come “peccato” delle élite e sul labirintico intreccio di ricatti su cui si basa la politica ai “piani alti”, avevano forse un fondo di verità.
La storia, in due parole: Jeffrey Epstein è un insegnante di matematica (non laureato) che, dopo aver lavorato per due anni in una scuola privata, entra di punto in bianco nel mondo della finanza e si ritrova in poco tempo a gestire un patrimonio miliardario. A un certo punto si compra un’isola caraibica dove imbastisce una vera e propria “tratta delle bianche”, organizzando incontri a luci rosse tra ragazzine minorenni e pezzi grossi della politica, della finanza, della nobiltà e dello spettacolo. Nel 2005 viene scoperto e nel 2007 patteggia per una condanna ridicola (circa un anno in prigione letteralmente “a mezza giornata”) grazie a un accordo con Alexander Acosta (una sorta di boiardo repubblicano), all’epoca procuratore e oggi ministro del lavoro sotto Trump, il quale si è appena dimesso proprio in concomitanza con il nuovo arresto di Epstein e il clamore mediatico che ne è scaturito.
Nella sua principesca magione di New York (quaranta stanze distribuite su sette piani), l’FBI ha trovato oltre a materiale pedopornografico (e altra robaccia inquietante, come il manichino di una donna appeso a un lampadario e un ritratto dello stesso padrone di casa in una prigione di massima sicurezza), una sterminata collezione di video degli incontri di cui sopra, evidentemente ripresi e conservati a scopo ricattatorio. È stata confermata anche l’esistenza del famigerato rolodex, il “libretto nero” dei contatti del miliardario sul quale la stampa sta pesantemente speculando in questi giorni, aggiungendo una caterva di nuovi nomi a quelli già noti (Bill Clinton, Tony Blair, Donald Trump, il principe Andrea, Harvey Weinstein, Woody Allen, Alan Dershowitz eccetera). A quanto pare Epstein conosceva davvero mezzo mondo, se sulla sua isola è riuscito a portare persino una sfilza di accademici, tra i quali Stephen Hawking e Steven Pinker: quest’ultimo ha voluto giustificarsi ricordando, non a torto, l’enorme influenza che il magnate, grazie alle sue generose elargizioni, aveva ottenuto anche in ambito universitario.
La lista dei contatti italiani di Epstein, tra nobiltà nera, imprenditoria rampante, ebraismo d’alto bordo e volti noti assortiti, non è meno impressionante: tuttavia sarebbe ovviamente sbagliato ipotizzare che chiunque abbia conosciuto questo tizio debba per forza avere tendenze pedofile. L’unica cosa certa è che il suo elenco di “amicizie” va ben oltre il jet set, se lo stesso Acosta per discolparsi di aver usato la “mano leggera” con Epstein ha alluso a una sua appartenenza all’intelligence: altro “dettaglio” a cui la stampa si sta timidamente interessando, soprattutto alla luce del fatto che l’ex compagna del miliardario pedofilo (la quale gli procurava pure le “prede”), Ghislaine Maxwell, è nientedimeno che la figlia di Robert Maxwell, un altro maggiorente inglese di origine ebraica morto in circostanze misteriose a causa del suo ruolo di doppio (o addirittura triplo) agente segreto al servizio di Sua Maestà, del Mossad e del KGB.
Legami pesanti, che fanno ipotizzare ben altri scopi, libidine a parte, dietro le inimmaginabili orge messe in piedi da Epstein nella sua isola privata (o a bordo del cosiddetto Lolita Express, il jet privato con cui Epstein scarrozzava gli “ospiti”): che il materiale raccolto potesse servire a qualche agenzia, magari non americana (o russa…) per tenere in pugno i politici del momento?
Per scavare ancora più nel profondo, dobbiamo considerare il misterioso tempietto che il “filantropo” ha fatto costruire in una parte isolata della sua pedophile island: un monumento, dal punto di vista esoterico, di così cattivo gusto che nemmeno il più perverso complottista avrebbe potuto concepirlo. Al bianco e azzurro stile sinagoga si uniscono infatti una cupola d’oro, alcune statue raffiguranti -probabilmente- Poseidone e qualche specie di uccello (magari una civetta uscita dal Bohemian Grove?) – e, last but not least, delle porte rinforzate dall’esterno per impedire la fuga di chi si trova nell’edificio.
Ditemi voi se non ci sono tutti gli elementi per mettere in piedi la “madre di tutti i complotti”: perché, anche a voler ridurre questa storia “ai minimi termini”, resta comunque una faccenda di pedofilia ad altissimi livelli. Cioè uno dei topoi più diffusi in qualsiasi “teoria del complotto” che si rispetti degli ultimi trent’anni, la cui origine va probabilmente rintracciata nelle ricerche dell’ex agente dell’FBI Ted Gunderson e nel primo scandalo mediatico del genere, il Caso Franklin, diventato esempio da manuale della cosiddetta “isteria da abuso rituale satanico” (la prima famiglia politica a occupare il posto d’onore in tali fantasmagoriche ricostruzioni non fu peraltro quella dei Clinton, ma i Bush, identificati non solo come rapitori e violentatori di bambini ma anche come cannibali e sacerdoti di Moloch).
Volendo, come dicevamo, “purificare” tutta la vicenda da qualsiasi risvolto complottista, rimane in ogni caso un quesito al quale non si può rispondere se non rivolgendosi proprio a quelli col cappello di carta stagnola in testa; ovvero se, al di là della pura e semplice “libidine” che può aver coinvolto qualche parvenu in vena di porcherie (su Trump, almeno da questo punto di vista, non metterei la mano sul fuoco, anche perché se fosse stato totalmente “pulito” la questione sarebbe già stata insabbiata come la prima volta, per evitare di impensierire pesci ben più grossi, Clinton compresi); dicevo, se al di là delle perversioni personali, qualcuno sia stato “costretto” a praticare certi atti contro la sua volontà (quasi fossero un “lasciapassare” per i circoli più esclusivi), come dovremmo interpretare tale eventualità? Come un atto di sottomissione ai veri padroni nella forma della ricattabilità, oppure come una sorta di “sacramento invertito” attraverso il quale si accede ai livelli più alti del potere opaco? Sappiamo che la domanda rimarrà senza risposta; in compenso, se la giustizia e i media americani decideranno di andare fino in fondo, riusciremo forse a ottenerne molte altre, di risposte.