Lo Zimbabwe ha annunciato che rimborserà i contadini bianchi per l’esproprio delle loro terre avvenuto oltre vent’anni fa nell’ambito di una politica “anti-coloniale” che ha disastrato la nazione africana.
Nel 2000 Robert Mugabe sottrasse infatti con la violenza (omicidi e stupri) case e appezzamenti di terra a circa 4.000 contadini bianchi: adesso che però lo “scimmione” (in senso metaforico) è morto e sepolto (e con lui qualsiasi eredità politica), ecco che l’attuale ministro delle Finanze Mthuli Ncube, nonostante il nome aggressivo, ha appena approvato 441 richieste di risarcimento per un valore di 351,6 milioni di dollari da parte di agricoltori bianchi locali e 94 richieste da parte di stranieri per un valore di 196,6 milioni di dollari, che ovviamente verrà per la maggior parte pagato con emissione di titoli del tesoro perché è noto che lo Zimbabwe non ha spicci.
Gli stranieri riceveranno un importo iniziale di 20 milioni di dollari da suddividere equamente tra i 94 richiedenti provenienti da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Svizzera e diversi paesi dell’Europa orientale. L’iniziativa è solo l’ultima di una serie di misure “controrivoluzionarie” con le quali si è tentato di risollevare quello che prima del periodo mugabiano era considerato il “granaio d’Africa”, e che oggi è ridotto alla carestia.
Nel 2018 c’era già stata un’apertura verso i bianchi, la quale aveva portato l’opinione pubblica anglofona ad assistere a scene incredibili, come il ritorno della famiglia Smart nella propria tenuta accolta con gaudio dalla popolazione nera. I loro possedimenti, giusto per ricordare, erano finiti nelle mani di un sacerdote pentecostale amico di Mugabe che nel giro di pochi mesi aveva trasformato in un deserto l’oasi di prosperità creata da decenni di duro lavoro bianco.
Il presidente Emmerson Mnangagwa, che ha preso il potere nel 2017 dopo che Mugabe è stato costretto ad abdicare in seguito a un colpo di stato, ha lavorato al piano di compensazione proprio con Darren Smart, che ora è un suo grande sostenitore.
Per troppo tempo la stampa internazionale ha sistematicamente insabbiato le notizie riguardanti il “regno del terrore” (così lo definisce oggi) di Robert Mugabe (addirittura accolto per anni a braccia aperte in Vaticano nonostante l’Unione Europea lo avesse dichiarato persona non grata dal 2002), allo scopo di mantenere in piedi la rigida dicotomia tra bianchi cattivi e neri buoni.
Vorrei ricordare solo a titolo d’esempio la surreale polemica che nel 2014 coinvolse il povero Jeremiah Heaton, un americano che “fondò” il Regno del Nord Sudan “occupando” una striscia di terra tra Egitto e Sudan non rivendicata da nessuno, per proclamarne la figlia Emily “principessa” nel giorno del suo compleanno.
Dopo l’entusiasmo iniziale dei media, che la presentarono come una fiaba disneyana, giunse improvvisamente la gogna: nonostante il signor Heaton si fosse impegnato a fare del suo “regno” un hub della filantropia (come nella migliore tradizione colonialista anglosassone), la grande stampa infine si accorse del colore della sua pelle e proclamò che “i bianchi non sono autorizzati a fare queste cose nel [inserire anno corrente]”!
Anche se tutti ricordando l’esempio del Sudafrica, in realtà l’ex colonia britannica della Rhodesia subì un genocidio bianco forse ancor più violento e con conseguenze decisamente più tragiche, le quali hanno infine convinto la maggioranza nera a voltare pagina. Del resto, non è che il razzismo anti-bianchi stia scomparendo, anzi per certi versi si assiste a una carsica recrudescenza, tuttavia il fatto che di fronte a una notizia così importante la maggior parte degli opinionisti abbia preferito tacere piuttosto che “dare di matto” rappresenta un dato da non sottovalutare.
Sarà forse grazie ai meme? Solo a titolo informativo, da tempo ormai la Rhodesia fa parte dell’apparato memetico dell’alt-right e su Youtube si possono ripescare i rinnegati inni goliardici anni ’70 delle sparute forze di Sua Maestà assediate dai guerriglieri neri.