M – La minchiata del secolo; Angelo Duro e la fine del mondo, oltre che del buon gusto e dell’intelligenza

Mi chiedete di commentare la serie televisiva M – Il figlio del secolo e il film “campione d’incassi” Io sono la fine del mondo dello pseudo-comico Angelo Duro. Per me sono forse le cose più brutte che abbia mai visto su uno schermo e probabilmente rappresentano in maniera perfetta il declino del mainstream sinistroide, che continua però a monopolizzare il dibattito pubblico, anche a causa nostra che non ci rassegniamo a lasciarlo al suo destino.

M – Il figlio del secolo trae ispirazione dal noto romanzaccio di Antonio Scurati, amplificandone addirittura i difetti: già di per sé l’indigeribile mattone era colmo di errori e anacronismi, ma la tendenza alla caricatura e al cliché era talmente insopportabile da renderlo illeggibile dopo qualche pagina. La fiction non ha fatto altro che portare il macchiettismo all’estremo, obbligando anche i rarissimi attori non raccattati nei bassifondi dello spettacolo (come Gaetano Bruno che fa Matteotti e Paolo Pierobon nelle vesti di d’Annunzio) ad atteggiarsi a comparse di qualche sketch stile Maurizio Crozza.

Nel 2018, quando era uscito il primo volume di quella che poi sarebbe diventata l’inutile saga di M, sul “Corriere” Galli Della Loggia aveva giustamente evidenziato (oltre alle sviste che avrebbero a suo parere comportato una bocciatura a un esame di maturità liceale) questa smania di “contraffare, fino a caricaturizzarli, i tratti di importanti protagonisti storici realmente esistiti”. Della Loggia era stato poi particolarmente spietato nell’osservare come Scurati fosse incapace di “orientarsi nella storia culturale italiana della prima metà del Novecento”, presentando una galleria degli orrori dello storico improvvisato:

«[Scurati ha] sbagliato la data di Caporetto, [ha] detto che Antonio Salandra, presidente del Consiglio che decise l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale, “porta sulla coscienza sei milioni di morti” (un antesignano pugliese di Hitler insomma), [ha] definito Antonio Gramsci “un politologo”, [ha] scritto che alla Scala nel 1846 lavoravano degli “elettricisti” e che nel 1922 al Viminale ticchettavano “le telescriventi”, e poi ancora, come se non bastasse, a commento della marcia su Roma [ha] riportato alcune righe attribuendole a “Monsignor Borgongini Duca, ambasciatore inglese presso la Santa Sede” (!!), e a commento della seduta della Camera sulla fiducia al governo Mussolini [ha] citato una lettera di Francesco De Sanctis datandola 17 novembre 1922 (quando l’autore avrebbe avuto 105 anni!)».

A tale scempio si aggiungono gli sghiribizzi di regista e sceneggiatori, che tra le altre cose alla quarta puntata fanno dire a Mussolini in favore di telecamera (sempre sbavante e incapace di esprimersi senza smorfie) un “Make Italy Great Again”. La recitazione di Luca Marinelli, che interpreta il futuro Duce, è un caso (psicologico) a parte: truccato come un porco (o forse è proprio la sua faccia?), smascella, sbraita e ammicca continuamente agli spettatori.

L’attore stesso, del resto, ha ammesso bellamente di essere un incapace, in una patetica captatio benevolentiae antifascista, affermando di aver sofferto tanto nell’interpretare il più cattivo tra i cattivi. Sarà per questo che sembra un pagliaccio, un saltimbanco, la parodia di una parodia. Personalmente questo turbinio di ghigni e tic mi ha ricordato qualche caratterista da commedia anni ’70 stile Gianfranco Barra, che ovviamente essendo un vero attore eseguiva alla perfezione l’ingrato compito di interpretare macchiette, a differenza di Marinelli che invece sembra costretto in questa forma cristallizzata dalle sue scarse doti di recitazione.

Marinelli impara dai maestri…

In altre sequenze (come quelle in cui tromba o è camuffato da aviatore), invece, il Duce-Marinelli sembrava un misto tra Cetto La Qualunque e Maccio Capatonda. Eppure tutti rivendicano questa ridicolizzazione, dagli autori ai giornalisti agli spettattori: come se in ottant’anni di monopolio antifascista ci fosse qualcosa da “demistificare” del regime. In un’epoca di meme e post-ironia la fazione degli intelligenti ritorna all’avanspettacolo e allo sberleffo plebeo. A questo punto si rimpianga pure Fascisti su Marte più per recitazione e sceneggiatura che per altro.

Dopo M, veniamo al peggio del peggio: un coglione di nome Angelo Duro che ha sbancato i botteghini con Io sono la fine del mondo, un’ora e mezza di un quarantenne sociopatico che martirizza i suoi anziani genitori perché -letteralmente- “lo hanno fatto soffrire da piccolo”. Non c’è una battuta che faccia ridere, è un susseguirsi di sproloqui di un tizio che recita da cani, ha un accento insopportabile e semplicemente si limita a piagnucolare sul fatto che i genitori non gli facevano bere la coca cola o non gli hanno comprato il cane da ragazzino.

Trovo incredibile che su “Repubblica” si sia potuto definire Angelo Duro “faro artistico” della destra e “piede di porco dell’egemonia culturale”: certo, questo figuro si è beccato i fondo del Ministero della Cultura, ma un governo serio (di destra o sinistra, a questo punto) piuttosto che finanziarlo avrebbe dovuto proibire e censurare questo oltraggio al buon gusto.

Si parla di politicamente scorretto: ma qui non c’è alcuna comicità, c’è solo un individuo affetto da qualche patologia mentale (tipo sindrome di Tourette) che offende un handicappato dicendogli “ne riparliamo quando torni normale”, insulta un ciccione suggerendogli di “andare a piedi fino a Palermo”, se la prende con una neonata che piagnucola definendola “puttana”, accusa un prete di averlo violentato da ragazzino per fare un dispetto ai genitori e sfotte un’ambientalista dicendole “non parlare che non si sciolgono i ghiacciai”. Stronzate del genere che a quanto pare hanno grande presa sui ragazzini, i quali vanno al cinema, riprendono spezzoni dell’opera e li mettono su TikTok con buona pace dell’eterno stillicidio sulla “pirateria”.

Non riesco a considerarlo nemmeno un film, questo ininterrotto sproloquio di un personaggio che alla fine conduce i propri genitori in Svizzera per sottoporli a eutanasia mentre si produce in un bel dito medio rivolto agli spettatori. Non si può nemmeno parlare di humour nero perché non c’è alcun umorismo in queste scene: è tipo una barzelletta di Pierino raccontata da uno psicopatico che attraverso di essa vorrebbe esprimere un presunto malessere verso dei genitori “tiranni”.

La sinistra lo critica appunto paragonandolo al Pierino di Alvaro Vitali: avercene! Non bestemmiamo: Vitali divertiva solo con una mossa o un’esclamazione in romanesco, Angelo Duro non riuscirebbe a strappare un sorriso a una persona normodotata o che abbia superato i dieci anni (minimo). Alla fine della pellicola ci si domanda “Ma cosa ho visto?”.

Mi fanno dunque pietà quelli che si consolano pensando che questa roba sia “di destra”: dopo Pierino, aridatece anche “Il Bagaglino”. A parte che nel dopoguerra una certa comicità “reazionaria” si è soprattutto espressa nella dissacrazione dei dissacratori, ma se fosse possibile rintracciare una morale in questo “film” ne risulterebbe una fantasia da sessantottino fallito.

Escludendo che l’attore in sé abbia una qualche “coscienza”, penso che il primo responsabile di questo strazio debba essere identificato nel regista/sceneggiatore Gennaro Nunziante, che col senno di poi sembra aver fatto una carriera immeritata prosciugando completamente un talento come Checco Zalone e inserendolo in un contesto parapiddino in virtù del quale risultava strombazzata in ogni sequenza la rassicurazione di fondo che non si stesse facendo satira politicamente scorretta, ma semmai si stesse mettendo alla berlina chi si permette di fare certe battutacce (l’omofobo, il qualunquista, il razzista il maschilista ecc…).

Mi rattrista che qualche ragazzino possa identificarsi nella pseudo-comicità di Angelo Duro perché persino un tredicenne qualsiasi, al di là di certe battute che meriterebbero una cinghiata, potrebbe far di meglio qualora si affidasse alla propria causticità spontanea e non a questa espressione di disagio mentale.

Non capisco cosa c’entri la “destra” con tutto ciò, se non per il fatto che alla “sinistra” potrebbe effettivamente risultare scomodo intestarsi un prodotto del genere, che tuttavia è pura espressione del loro programma artistico-politico, dalla vendetta verso la famiglia e le varie istituzione “reazionarie” fino alla messa in scena di un carattere “politicamente scorretto” che è una meta-parodia dell’ignorante, del bigotto, del “fascista” eccetera.

I paragoni con Vannacci poi sono da escludere, perché non era evidentemente intenzione del generale prodursi in una parodia del “populista” di turno (se non involontariamente). Una qualche “destra” dovrebbe rispedire al mittente tali accuse, ma è prevedibile che al contrario il Ministero sia già pronto a finanziare altre porcherie di tal fatta.

Parlare di queste cose in effetti insozza, fa calare il gusto estetico fino a rimpiangere i Fichi d’India o Giovanni Vernia. L’unica cosa che mi risolleva è non aver mai riso, se non pensando a come si sarebbe potuto far risultare divertenti le “battute” di questo cazzone: per esempio, quando dà della “puttana” a una neonata (col suo solito tono nasale, monocorde e piagnucolante), mi è tornato in mente il commento che faceva sempre un mio lontano parente terrone di fronte a un fiocco rosa o azzurro: “Se è nata femmina, è una puttana; se è nato maschio, è un figlio di puttana”. Al confronto di Angelo Duro, un fine ragionamento dai tratti pirandelliani sulla condizione umana.

Penso infine con raccapriccio a chi davvero ha pensato per un istante di fare di Angelo Duro il simbolo di qualche “riscossa” culturale: questo non serve nemmeno per i meme, al pari d’altronde del Mussolini di Marinelli che è immemabile per l’intrinseca goffaggine delle sue espressioni. Forse anch’io sono colpevole per essermi dilungato troppo sul nulla a cui si è ridotto il mainstream, che va ricacciato nell’ambito dell’incommentabile e lasciato, come si diceva, al proprio destino di dannazione.

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4 thoughts on “M – La minchiata del secolo; Angelo Duro e la fine del mondo, oltre che del buon gusto e dell’intelligenza

  1. Alla fine Angelo Duro è un degno figlio di Pannella, e lo fanno passare per un fascista… In pratica i radicali-boomer hanno distrutto ogni forma di decenza, dall’amor patrio all’amore filiale, e adesso che hanno paura dei figli-mostri che hanno generato li chiamano fascisti, quando invece sono solo loro stessi, ma più giovani.

  2. Mi compiaccio di non aver mai sentito nominare prima d’ora in vita mia questo sedicente attore comico.

    1. E non dimentichiamo una valanga di contributi pubblici a fondo perduto. Che sono proprio la causa della morte del cinema italiano, perché se puoi permetterti di girare film senza degnarti di soddisfare un pubblico pagante, allora produrrai solo immonde schifezze.

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