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Maranza ed altre etimologie fantastiche

TikTok ha fatto tornare in auge l’espressione “maranza”, un modo di dire degli anni ’80 passato di moda in quello stesso decennio e sostituito da altri epiteti di origine ugualmente oscura (v. “truzzo”). Ormai lustri or sono con tale ingiuria soleva indicarsi, soprattutto nel milanese (ma sembra fosse in uso anche nel torinese), lo sbruffone, sguaiato nell’atteggiamento e nell’abbigliamento, che si poteva intuire da lontano un miglio avrebbe causato solo guai.

Non esiste tuttavia, almeno al momento, alcuna spiegazione riguardante l’origine del termine; per esempio, nel volume Scialla! di Giacomo Bendotti, acclamatissimo ma, oltre che ormai anacronistico (nonostante sia del 2011), piuttosto “giovanilista” e, in ultima analisi, cringe (voce che peraltro nel libro manca), l’Autore si limita a snocciolare questa definizione: «Tipo vistoso e volgare nei modi, prevalentemente di sesso maschile. Equivale a: coatto, truzzo, tamarro. In uso a Milano e Torino».

Prima di offrire la mia ipotesi sull’etimologia del termine, vorrei rivelare il “Segreto di Pulcinella” riguardo al suo recupero nello slang giovanile: la causa è da ricercare nella sua palese consonanza con “marocchino”, anche se ovviamente i giornalisti non si azzardano nemmeno a formulare un collegamento del genere, seppure siano costretti a parlare nei loro reportage parapiddini con frasi stucchevoli del tipo “il luogo comune ormai diffuso vuole che il maranza abbia anche la tendenza a delinquere e, che tra loro, ci siano molti stranieri. Nordafricani soprattutto” (fonte: “Wired”, che voleva togliere voti alla Meloni parlando di ‘ste stronzate).

In realtà, cliccando sull’hashtag #maranza su qualsiasi social (non solo TikTok), si può osservare come siano in primis i giovani di origine magrebina a utilizzarlo per mostrare le proprie rodomontate, talvolta anche in maniera autoironica (per quanto certi barbari sia orizzontali che verticali – bel casino, con le “seconde generazioni”! – siano capaci di autoironia). Ad ogni modo, che il modello sia quello lo si evince anche dal fatto che persino l’italiano che vuol fare il “maranzino” adotta non solo gli stessi codici culturali, ma addirittura linguistici, ripetendo espressioni gergali in lingue che ignora totalmente come l’arabo o il francese (akha, fils de pute, mitraillette, sacoche, cagoule…).

Però tutto ciò non si può dire, altrimenti si diventa rasisti. Allora torniamo agli anni ’80: per “sentito dire”, cioè da varie testimonianze alle quali tuttavia è impossibile risalire attraverso il web, so quasi per certezza che l’espressione maranza dovrebbe essere una crasi (ma forse sarebbe meglio chiamarlo un “neologismo sincratico”, anche se mi sembra comunque una definizione impropria, ma tant’è) delle parole mediterranean danza, nome con cui un tempo ci si riferiva al genere musicale oggi chiamato “italo-disco”. Beh, effettivamente non so un piffero di ’sta roba dunque parlo solo per sentito dire.

Per non chiudere in tristezza, sia per la mia insipienza, sia per il cringe, se non il trash (la Crusca conferma che non sono la stessa cosa) che l’argomento in sé ispira, allungo la solfa con qualche altra etimologia fantastica: per esempio, “gas”, neologismo creato dal chimico (=mistico & alchimista) Jean Baptiste van Helmont come derivazione dal greco antico chaos e in assonanza con geest (“spirito” in fiammingo) e blasen (“soffiare” in tedesco); minta, termine introdotto nella lingua ungherese dal gesuita János Sajnovics nel XVIII secolo durante il “rinnovamento” (nyelvújítás), una parola di origine lappone (mintâ) derivata a sua volta dal nordico antico (mynt) che l’ha intuibilmente adottata dal latino (“moneta”), la quale però in magiaro ha assunto il significato di “modello” perché un altro gesuita, Ferenc Faludi (1704-1779) la prese da un lessico lappone dove, per un errore di stampa, la giusta traduzione della parola minstar (“modello”, appunto, dall’italiano mostrare attraverso il tedesco Muster) era riportata una linea più in basso accanto a mynta!

Mi piace poi ricordare l’espressione malese jantina, “parola macedonia” tra jantan (“maschio”) e betina (“femmina”) che indica il sesso biologico (cioè il genere, a cui è equivalente per natura e cultura), la quale viene attribuita dal Wiktionary al linguista indonesiano Harimurti Kridalaksana ma che in realtà il Bausani attesta già nella pubblicistica degli anni ’70 del secolo scorso e addirittura fa risalire alla pratica degli “indovinelli” (cangkriman kerasan) in auge a Giava, dalla quale deriverebbe il nome dell’isola stessa, come ngudja-hawa (“prono alle passioni”) o sedja-rowa (“dedito alle stravaganze”), anche se è attestato che il nome risalirebbe al sanscrito yava-dvīpa, “isola dell’orzo”.

Infine, segnalo l’utilizzo della volgarissima espressione inglese arse (“culo”) che nel pidgin melanesiano è diventato sinonimo di “base, fondamento, ragione”, tanto da essere usato persino dai missionari: ancora il Bausani riporta l’esempio di un catechismo in cui Dio è definito arse belong all-[to]gether something, “la base di tutte le cose”, invitando a immaginarne l’origine nell’utilizzo di “qualche rozzo ma inventivo marinaio per spiegare all’indigeno parole come ‘base’, ‘fondo'”.

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