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Mario Monti vale meno di una Troika

A commento del discorso del premier Giuseppe Conte, il senatore a vita Mario Monti (a proposito: un plauso a Mattarella per non aver fatto la stessa “napolitanata” con Cottarelli), ha evocato l’apocalisse finanziarie nelle vesti della famigerata Troika:

«Noi abbiamo fatto di tutto per risparmiare all’Italia la Troika, che è stata evitata con uno sforzo del paese e grazie ad un lungo braccio di ferro con la Germania. Non è escluso che l’Italia possa poter subire l’umiliazione che è stata evitata con l’arrivo della Troika. Evitata grazie alle misure prese dal governo da me guidato».

Ora, io non sono il biografo di Monti (del resto bisognerebbe avere una specializzazione in arti esoteriche e negromanzia per comprendere pienamente le vicende esistenziali del “tecnico”), tuttavia l’ho seguito dalla giusta distanza anche dopo che tutti se lo sono dimenticato, e ho notato un cambio di registro avvenuto negli ultimi anni: in particolare, questa storia della Troika come “male assoluto” (nel discorso dell’altro giorno addirittura l’ha definita “entità disgustosa e semi-coloniale”) è saltata fuori molto tempo dopo la fine del suo mandato.

Lanciato ufficialmente il 15 febbraio 2015 in un’intervista al “Corriere” («Parliamoci chiaro: la troika è una forma di neocolonialismo»), il nuovo paradigma è stato ripreso sullo stesso quotidiano in un intervento dello scorso novembre, con cui il Senatore a vita rispondeva tempestivamente a una critica di Aldo Cazzullo (che anche nel ribattere ebbe il tempismo dell’orologio rotto, nel senso che talvolta ci azzecca pure lui):

«Caro Cazzullo,
mi ha colpito quanto lei ha scritto nel Corriere a proposito di CasaPound. Condivido le sue valutazioni sulla “crisi di credibilità dei partiti tradizionali”, sia di sinistra che di destra. Perciò trovo singolare che lei, messa in luce l’incapacità di governo dimostrata ripetutamente dagli uni e dagli altri, dichiari “fallimentare” proprio quel governo che, chiamato a rimediare alla situazione prefallimentare dello Stato provocata dalla politica, è riuscito a evitare il fallimento e ad avviare un processo di riforme. Lei chiama questo “il fallimento di Monti (o almeno questo è il sentimento prevalente nell’opinione pubblica)”. Non dice se questa è (anche) la Sua opinione e per quali motivi; né indica da quale sondaggio abbia tratto che questo sarebbe “il sentimento prevalente nell’opinione pubblica”. Che poi il “fallimento di Monti” abbia “rappresentato un colpo durissimo per l’establishment europeista e globalista”, è un altro passaggio per me oscuro. Immagino che nel novembre 2011 il presidente Napolitano e il Parlamento abbiano chiamato me pensando che in quel frangente solo qualcuno considerato credibile in Europa e nei mercati sarebbe, forse, riuscito a condurre l’Italia fuori dalla crisi finanziaria. Questo è avvenuto. Non solo, di tutti i Paesi dell’Europa del Sud l’Italia è stato l’unico a superare quella crisi senza ricorrere ad aiuti esterni e perciò l’unico a non aver subito l’onta e i danni di quel governo neocoloniale che si chiama “troika”, mantenendo così intatta la propria sovranità.
Mario Monti»

«Caro professore, nell’opinione pubblica – non tutta, ma questa almeno è la mia impressione – quell’esperienza che certo salvò l’Italia dal baratro finanziario è associata all’inasprirsi della crisi economica. Può essere un giudizio ingeneroso, che non tiene conto delle condizioni drammatiche in cui lei ereditò il governo del Paese; ma tagli e sacrifici ebbero una dura ricaduta. Forse l’aiuto finanziario era meglio accettarlo, come fece la Spagna che salvò le banche e rilanciò la sua economia».

Qualcuno ricorderà che all’inizio Monti non usò mai questa retorica “anti-colonalista” (quasi “sovranista”!), anche perché sarebbe apparsa a dir poco ridicola: la sua reggenza, al contrario, fu perlopiù regolata sul motivo della “cessione di sovranità”, giustificata dal fatto che gli italiani fossero inevitabilmente portati a “vivere al di sopra delle proprie possibilità”, dunque incapaci di governarsi da sé. Lo spin del “Salvatore della Patria” era rimasto sottotono rispetto alla necessità di sobillare un osceno Selbsthass nell’opinione pubblica, ed è emerso prima per esigenze di propaganda elettorale, e poi per avere ancora voce in capitolo durante la nuova stagione “populista”.

Col senno di poi, l’obiezione di Cazzullo, per quanto improvvisata, è condivisibile, anche perché non si capisce in che modo la Troika avrebbe potuto fare peggio di Monti, che ci ha resi ugualmente schiavi di istituzioni sovranazionali senza neppure darci il contentino di un “Papa straniero” (tutt’al più un “maggiordomo”, absit iniura verbis…).

La verità è che l’apparente cambio di pelle operato da Monti da una parte è solo la riproposizione dell’ideologia del vincolo esterno per palati più “sovranisti” (che in tale versione nemmeno prevede la “solidarietà” del padrone verso il suo schiavo!) e dall’altra lo rende ancora totalmente complementare all’esigenza di una Unione a trazione tedesca di privatizzare gli utili e socializzare le perdite: non a caso l’insistenza sull'”orgoglio nazionale” (parallela all’anti-italianità implicita della “dottrina Monti”) è identica (come già osservato) a quella espressa dall’articolista dello “Spiegel” che, dopo averci definiti tra le altre cose “scrocconi” ed “evasori”, ci invita a difendere la nostra reputazione “aiutandoci da soli”, concludendo però amaramente che «gli italiani, a quanto pare, hanno già superato questa forma di orgoglio nazionale [scil. che esclude il vergognarsi di essere “scrocconi”]».

E’ difficile credere che il terrorismo psicologico possa ancora funzionare con gli italiani (e  abbiamo visto che anche l’arma dello spread si è spuntata di molto): tuttavia, come dicevamo all’inizio, l’eventualità di essere commissionati da organismi sovranazionali toglierebbe qualsiasi paravento all’idea che i sacrifici fatti finora siano stati compiuti “per la patria” e non appunto per anonime e inafferrabili entità, i cui interessi e obiettivi hanno evidentemente poco a che fare con la vita dei comuni mortali.

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