Mark Zuckerberg è il nuovo Hitler

La veemenza degli attacchi verso il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg comincia diventare sospetta: già il suo auto da fé di fronte al Senato statunitense dell’aprile scorso ha rappresentato un sintomo preoccupante della riduzione artefatta di un simbolo del successo imprenditoriale, mediatico e anche politico dell’America, a un “cattivo” da fumetto, una creatura a metà strada tra un addetto della Stasi e un alieno (o cyborg) nascosto sotto le sembianze di un nerd.

È singolare che nessuno abbia riflettuto sull’eccezionalità di questo trattamento nei confronti di un entrepreneur da parte dell’opinione pubblica d’oltreoceano, in genere disposta a decretare il Vae victis solo a chi dichiara bancarotta: solitamente gli intrallazzi e le malefatte si trasformano in capi d’accusa un attimo dopo la catastrofe finanziaria, non prima (qualcuno ricorderà il caso Enron).

Ciò che tuttavia rende lo scenario ancora più inquietante è l’enorme macchina delle “proteste spontanee” messa in moto dall’organizzazione non governativa Avaaz, talmente sospetta da venire denunciata come “creazione di Soros” anche da quelli che ne condividono l’ispirazione.

Come prima mossa, la Avaaz ha “movimentato” l’audizione al senato americano del caro vecchio ZUCC, “installando” cento sagome di cartone davanti al Campidoglio:

In seguito, l’Ong ha continuato a tenere alta l’attenzione sull’affaire Facebook (che non sarebbe mai scoppiato se avesse vinto Hillary Clinton, ça va sans dire), organizzando flash mob (sempre spontanei) a Londra e Bruxelles, proprio in concomitanza con la seconda autoflagellazione di Zucc al Parlamento Europeo, e rendendo immediatamente riconoscibile la propria macchina del fango attraverso il “brand” Fix Fakebook.

Proprio riguardo l’audizione al Parlamento Ue, è il caso di stendere un velo pietoso sulle domande dei commissari, i quali peraltro sono riusciti a strappare al CEO in cattive acque la promessa di “non interferire nelle elezioni dell’Unione”: altro che reductio ad hitlerum, ora Zuckerberg è diventato nientedimeno che un “hacker russo”!

Come detto, questo accanimento non si spiega se non con la profonda irritazione di alcuni potentati in seguito alla vittoria di Trump. Lo stesso Soros aveva decretatola fine di Facebook nel suo discorso a Davos di inizio anno, condannando il “monopolio statunitense” nel campo dei social network, e pontificando con toni apocalittici sulla pericolosità sociale di Zucc (qui una trattazione approfondita del sermone):

«Potrebbe esserci un’alleanza le nuove ambizioni nazionalistiche [degli stati] e questi grandi monopoli tecnologici, ricchi di dati che potrebbero creare strumenti di sorveglianza che farebbero comodo ad alcuni. Potremmo essere vicini ad una una rete di controllo totalitario, di cui nemmeno Aldous Huxley e George Orwell avrebbero potuto immaginare»

Certo, Soros che evoca Huxley e Orwell contro Zuckerberg è un po’ come il bue che dà del cornuto all’asino, ma lasciamo andare. Ricordiamo invece che quando Facebook era la punta di diamante della propaganda su rivoluzioni colorate e primavere arabe, lo stesso “filantropo” era tra gli entusiasti del nuovo medium: questo a riprova che nessuna tirata moralistica/luddista può nascondere la vera entità del problema, riguardante non tanti i mezzi quanto i fini.

Dunque, solidarietà al “camerata” Zuckerberg? Sicuramente è triste vederlo crollare dopo aver passato anni a modellare la propria creatura secondo i desiderata del mondo liberal, attraverso la cancellazione preventiva e selettiva di pagine “scomode” e l’ideazione di algoritmi in grado di valorizzare i contenuti di “sinistra” e far passare in secondo piano tutto quel che suonasse “populista”. La censura di Facebook è talmente rinomata da essersi meritata un neologismo (to get zucced) e in ogni caso non ha mai accennato a fermarsi né prima né dopo l’ascesa di Trump, come dimostra la puntuale scomparsa di decine di pagine orientate a “destra”, perlopiù d’ispirazione goliardica e demenziale (l’ultima vittima “eccellente” è God Emperor Trump).

È tale impostazione che, tra l’altro, ha contribuito al “dissanguamento” progressivo di utenti, il quale ha portato all’esito paradossale di un numero superiore di iscritti a Facebook in Europa rispetto agli Stati Uniti. Alla luce di tali considerazioni, una mossa intelligente da parte di Zucc sarebbe  quella di consentire a chiunque di esprimere la propria opinione e recuperare finalmente “dal basso” tutto ciò che sta perdendo “dall’alto”: ma in tal caso forse gli si prospetterebbe una fine peggiore di un semplice tracollo finanziario…

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