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Michel Foucault e gli anni tunisini (3): un filosofo sotto stretta sorveglianza?

Riprendiamo l’inchiesta sulle accuse di pedofilia rivolte a Michel Foucault (qui la prima parte e qui la seconda) basata sulla reazione dei media francesi alle dichiarazioni dello scrittore Guy Sorman, che nel marzo 2021 ha accusato il filosofo di essere un pedofilo e di aver praticato turismo sessuale tra i bambini del Paese nordafricano.

Michel Foucault e gli anni tunisini (1): un’inchiesta sulle accuse di pedofilia al filosofo

Michel Foucault e gli anni tunisini (2): “Una Tebaide senza ascetismo”

Cinquant’anni dopo il soggiorno di Foucault a Sidi Bou Said, la città è cambiata anche a causa della sua sempre più accentuata vocazione turistica: tuttavia, entrando nella strada delle vecchie scuderie del Dar Lasram, è ancora possibile osservare la casa dove visse il filosofo, una tipica costruzione bianca e blu accanto alla quale, attraverso un altrettanto caratteristica porticina a griglia (mashrabiyya) si può raggiungere il minuscolo cimitero di Lella Maïmoura, dove riposano i resti delle più antiche famiglie del villaggio. Il luogo fu scoperto da Michèle Bancilhon, moglie del fondatore del Nouvel Observateur Jean Daniel (1920–2020), e documentatrice degli ultimi anni di vita di Foucault, la quale conduceva in visita gli amici nel luogo a suo dire estremamente suggestivo, specie quando una frana aveva spaccato una tomba e fatto emergere uno scheletro.

Nelle foto: la casa di Foucault a Sidi Bou Said (dalla porticina blu a destra si accedeva al famigerato cimitero, teatro dei suoi presunti incontri notturni con i ragazzini del luogo); una ripresa moderna dell’edificio (da Twitter).

Hamadi “Michael” Moutaadi è un cuoco tunisino che lavorò dieci mesi per il filosofo nel 1966 (all’epoca aveva 19 anni) e che attualmente vive a Londra. intervistato da L’Obs, si è detto amareggiato dalle accuse rivolte al suo ex datore di lavoro, ricordando come non avesse mai avuto “atteggiamenti impropri” né con lui né con gli studenti che venivano a trovarlo il venerdì e il sabato pomeriggio: 2Sono stato molto sorpreso di sentire le accuse di questo signor Sorman. Non solo non corrisponde a nulla che io possa testimoniare, ma trovo odioso aggredire un morto, qualcuno che non può difendersi!”.

In realtà i suoi vecchi compaesani, pur conservando affettuosamente memoria della presenza del pensatore dalle loro parti, e ricordando la sua discrezione e la sua cortesia, non nascondono di esser stati al corrente della sua omosessualità e del fatto che avrebbe “mantenuto” dei ragazzi nati tra il 1942 e il 1946. Ma lo stupro di un bambino in cimitero, quello non sarebbe stato accettato da nessuno. C’è chi ricorda un sentiero accanto al cimitero principale in cui un tempo qualche omosessuale andava ad appartarsi (un’usanza comunque tollerata dai mille occhi che sorvegliavano il Paese): l’idea che però ai tempi un ragazzino possa uscire e recarsi in posti del genere viene esclusa oggi come allora.

Alle interviste dei giornali francesi agli ultimi testimoni tunisini del passaggio del filoso francese, che lo “assolverebbero” dalle accuse di Sorman, quest’ultimo ha ribattuto che dopo cinquant’anni non c’è più modo di verificare alcunché. Ad ogni modo, uno degli argomenti più forti a favore della “innocenza” di Foucault è il fatto che si trovasse sotto stretta sorveglianza da parte della polizia tunisina, come ha osservato François Ewald, all’epoca suo assistente al Collège de France. Non per le sue abitudini sessuali, naturalmente, ma per il sostegno alle manifestazioni studentesche, un’esperienza che il filosofo ricordava con entusiasmo anche anni dopo, come riporta un passaggio delle note interviste raccolte da Duccio Trombadori (Colloqui con Foucault, Castelvecchi, Roma, 1999, pp. 90-91):

«Dal tempo della mia adesione al Pcf, passando per tutte le altre vicende seguite nel corso degli anni, […] dell’esperienza politica mi era rimasto un po’ l’amaro in bocca. Mi ero rinserrato in una specie di scetticismo, di tipo speculativo. Non lo nascondo. Al tempo dell’Algeria: anche lì non avevo potuto partecipare direttamente, e se l’avevo fatto, era avvenuto senza mettere a repentaglio la mia sicurezza personale. In Tunisia invece fui spinto a dare in prima persona un sostegno agli studenti, a sperimentare con mano e a prendere atto di qualche cosa di assolutamente diverso da tutto quel borbottio di discorsi e dibattiti politici che avveniva in Europa. Voglio dire: se penso per esempio a ciò che era il marxismo, e come funzionava da noi, studenti negli anni ’50-’52; quando penso a cosa rappresentava per un Paese come la Polonia, dove per la maggior parte dei giovani era divenuto oggetto di un totale disgusto (a prescindere dalle loro condizioni sociali), e dove lo si insegnava un po’ come il catechismo; e poi se mi ricordo ancora di tutte quelle discussioni fredde, accademiche sul marxismo cui avevo partecipato in Francia nei primi anni Sessanta… Bene. In Tunisia, al contrario, tutti si richiamavano al marxismo, con radicale violenza e intensità, e con un impeto impressionante. Per quei giovani, il marxismo non rappresentava solo un modo di analizzare la realtà, ma al tempo stesso era come una specie di energia morale, di atto esistenziale che lasciava stupefatti. E io mi sentivo pieno di amarezza e delusione, pensando a quanto scarto vi fosse tra quella maniera di essere marxisti degli studenti di Tunisi, e ciò che sapevo del funzionamento del marxismo in Europa (Francia, Polonia ecc.). Ecco allora che la Tunisia rappresentò per me in qualche modo l’occasione di reinserirmi nel dibattito politico. Non fu il Maggio in Francia, ma il Marzo 1968, in un Paese del Terzo mondo».

Gli adepti foucaultiani della rivoluzione erano soprannominati “prospettivisti” (perspectivistes), dal nome della rivista “Perspectives” creata nel 1963 da un gruppo di studenti di ispirazione althussero-marxista. Mohamed Salah Fliss, uno dei leader di quel movimento, rievoca il “giro di vite” che seguì all’arrivo del filosofo: “Quasi 700 di noi vennero arrestati, i nostri leader accusati di aver minato la sicurezza dello Stato e torturati con manganelli scosse elettriche ai genitali, stupri…” (anche lui si fece 8 anni di carcere).

Un altro capo delle proteste, Essayed Mazouz, ricorda come Foucault fosse tutt’altro che d’accordo con loro, anzi talvolta rivolgeva asprissime critiche alle loro posizioni, ma continuava a sostenerli “contro un potere sempre più repressivo”, e a offrire la sua dimora a Sidi Bou Said per incontri clandestini (di stampo politico s’intende). Ahmed Othmani, forse tra i protestatari quello ad aver avuto la carriera da post-sessantottino più brillante (e che il filosofo nascose quando venne ricercato), sostiene addirittura che Foucault cominciò ad avvicinarsi a trotskismo e al movimentismo stile Pantere Nere (che gli storici fanno risalire all’amicizia con Jean Genet) proprio grazie al tramite dei “prospettivisti”.

L’allievo e amico Fathi Triki (poi professore di filosofia all’Università di Tunisi) aggiunge che “Foucault ci offriva una macchina da scrivere non inventariata dalla polizia per il nostro giornale”. Tutte queste iniziative lo portarono a diventare “sorvegliato speciale” degli uomini di Habib Bourghiba, che cominciarono ad ascoltare le sue conversazioni telefoniche e a ispezionare le sue lettere. Contando proprio sulle sue abitudini sessuali, i servizi gli misero persino alle calcagna un informatore ventenne tramite il quale gli organizzarono un agguato per riempirlo di botte. Secondo il sociologo Daniel Defert (suo ultimo “compagno”), se ci fosse stato il minimo sospetto di pedofilia su Foucault, lo avrebbe utilizzato come minimo per sbatterlo in galera. L’attivismo del filosofo risultò peraltro irritante anche alle autorità del suo Paese: Jean Sauvagnargues, diplomatico francese, lo convocò per una lavata di capo alla quale si sentì ribattere “Signor ambasciatore, il suo compito è tacere, il mio è parlare!”.

Per Zeïneb Ben Saïd Cherni, “prospettivista” allieva di Foucault e ora professoressa di filosofia all’Università di Tunisi, gli attacchi di Sorman “sono il segno di una rinascita preoccupante del pensiero conservatore”, attraverso una “guerra ideologica contro la filosofia, la sinistra e il socialismo, mentre siamo alle prese con gravi problemi socio-economici, un aumento del fanatismo e del populismo”. Le accuse infine si riducono a un pretesto per attaccare ideologicamente la parte avversaria: da un lato la messa alla berlina dei post-sessantottini schierati a difesa dei loro “mostri sacri” (anche quando le accuse si rivelano campate in aria, o almeno non verificabili in alcun modo); dall’altro le paranoie su un complotto “neoliberista” atto a mettere in discredito una filosofia la cui incidenza sulla società attuale non va oltre la stanca ripetizione dei rituali contestatari.

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