Chi mi segue sa che di solito quando esce un nuovo romanzo di Houellebecq vado a leggermelo in originale prima che esca in italiano per spoilerare tutto su blog o social (in fondo sono solo uno stronzo): l’ho fatto sia con Sottomissione che con Serotonina, Tuttavia, essendo Anéantir giunto in contemporanea nelle librerie nostrane e in quelle d’oltralpe, e avendo di conseguenza perso la possibilità di trollare, mi sono concesso una decina di giorni per leggerlo…
Pur non riuscendo a urlare al capolavoro come la maggior parte dei commentatori “conservatori”, posso almeno ammettere che mi sia piaciuto più degli ultimi 2-3 libri sfornati dal Nostro: è un ritratto accettabile di un Paese europeo in totale disfatta nel quale tutto procede verso il cupio dissolvi, dalla politica ai rapporti personali, dalla società alla letteratura eccetera. Per abbozzare stancamente una recensione: Paul Raison, figlio di un agente dei servizi segreti francesi e consulente del super-ministro dell’economia Bruno Juge, si trova nel bel mezzo delle elezioni presidenziali del 2027 in uno scenario sconvolto dagli attacchi di un misterioso gruppo terroristico a container cinesi, banche del seme, barconi di immigrati e società del Big Tech, soverchiato da infiniti problemi famigliari e da una malattia terminale, la quale alla fine si impossessa dell’intera sua esistenza e della trama stessa del romanzo, dirottandola definitivamente in un diminuendo intimista e disperato.
L’annientamento a cui allude il titolo è dunque sia collettivo che individuale, in forme al contempo violente e melliflue, come un’anestesia che preclude a una devastante operazione chirurgica. Non so quante conclusioni politiche si possano trarre da tutto questo: alla fine è pur sempre un romanzo, non un pamphlet o un manifesto, e l’idea che da uno scrittore si debbano trarre indicazioni di voto altrimenti non vale la pena di leggerlo è davvero svilente del concetto di letteratura.
Non che voglia dare lezioncine, anche perché alla fin fine la colpa è tutta di Houellebecq, non di chi lo recensisce: infatti questo Autore è sin dagli inizi segnato dal peccato originale per uno scrittore francese, quello di non credere nella letteratura. Voglio dire: a parte forse La carta e il territorio, nelle sue opere H. non riesce mai ad appiattire il mondo nella compattezza di qualche centinaio di pagine e tende spesso a servirsi di espedienti extra-letterari per “chiudere il cerchio”. Tipo, per l’appunto, la politica, oppure, come in quest’ultimo, l’amore…
È un po’ la vecchia diatriba riguardo al “messaggio”, in un contesto in cui non c’è più alcun messaggio da comunicare e si potrebbe davvero puntare alla forma pura (pensare che riuscissero a farlo Hugo, Balzac e tutti gli altri in epoche in cui era impossibile non aver nulla da comunicare offre la misura del nostro decadimento). Anche un lettore disattento se ne può accorgere: si pensi solo, naturalmente per chi l’ha letto, allo squallidissimo episodio dello zio che si imbatte nella nipote in un bordello parigino… Ma che combina il nostro Michel? Magari è un po’ “spompato” solo perché… sta morendo di cancro?
Non vorrei spararla grossa, ma nei ringraziamento finali l’Autore parla dei “medici che consulto regolarmente”, e cita tale Alain Corré, che gli ha fatto da consulente principale per le lunghe dissertazioni sul tumore del protagonista; ebbene, a un certo punto Houellebecq afferma, rivolgendosi idealmente al dottore: “Tenuto conto della vita che ho condotto, non avrei certo rubato un cancro del cavo orofaringeo”.
Che cosa intende dire? La frase in italiano non ha senso perché è stata tradotta coi piedi come la maggior parte del volume (con tutto il rispetto, non si capisce perché sia stata chiamata una traduttrice che, per quanto eccelsa, fino al 2022 si è esclusivamente occupata di libri in inglese ed è evidente che non abbia le competenze per tradurre un romanzo in francese, come dimostra, per fare un esempio tra i tanti, il fatto che renda espressioni come tant quant con… “tanto quanto”).
Nell’originale il passaggio suona così:
Parmi les médecins que je consulte régulièrement, le docteur Alain Corré, ORL, est certainement celui qui a hérité des responsabilités les plus lourdes ; compte tenu de la vie que j’ai menée, je n’aurais certainement pas volé un cancer ORL.
Tradurre voler con “rubare” è una svista che, senza voler insinuare nulla, denota forse una dimestichezza più con Google Translator che con qualche software professionale o anche solo con un modestissimo dizionario Larousse. Infatti, in questo contesto voler si deve intendere come nell’espressione Ne pas l’avoir volé, cioè “aver ben meritato”. Houellebecq sta dunque dicendo: “Tenuto conto della vita che ho condotto, avrei certamente ben meritato un cancro del cavo orofaringeo”. Oppure, come nell’edizione tedesca (di Bernd Wilczek, che perlomeno è un francesista): Angesichts des Lebens, das ich geführt habe, wäre ich sicherlich dafür prädestiniert gewesen, an HNO-Krebs zu erkranken (“Tenuto conto della vita che ho condotto, sarei stato certamente predestinato a sviluppare un cancro del cavo orofaringeo”).
Solo il condizionale porta ad auspicare che Michel Houellebecq, come il suo Paul Raison, non sita morendo di cancro alla bocca perché ha rifiutato le cure, ma abbia semplicemente deciso di smettere di scrivere (“Sono giunto per fortuna a una conclusione positiva; è il momento di fermarmi”).
Lasciamo tuttavia perdere queste tristezze; Annientare è comunque finora l’unica cosa che val la pena di leggere nel 2022 (almeno per gennaio). Non come un oroscopo o come un immaginario inserto de “La Verità”, ma solo come un umile romanzo in cui il suo Autore talvolta riesce a incastonare un briciolo di realtà. La Grande Politica, intesa alla francese, tutto sommato c’è tutta, come la Grande Sociologia e cazzi vari. Non è questo ad affascinarmi, anche perché Houellebecq ha abituato i lettori a cose migliori; c’è però un elemento nuovo, nella sua ossessiva ricerca di miti fondativi, archetipi ridotti all’osso e costanti antropologiche: i meme.
Oltre al cancro, nessuno probabilmente si è accorto, nemmeno i redpillati, che il nuovo romanzo del Nostro, almeno nelle parti più vive, è una galleria di meme. Ci sono pagine sapidissime sui boomer, c’è un lol a pagina 399 (“Comme l’aurait dit un jeune, lol“: i francesi, come potete immaginare, usano un acronimo in francese: mdr, Mort De Rire…), in vari passaggi fa capolino Ted Kaczynski e tra le pagine più esilaranti compare il My wife’s son, il figlio mulatto della moglie dello sfigatissimo fratello del protagonista, che si è avvalsa della maternità surrogata in California scegliendo “un genitore di razza nera” che ora è un adolescente col “fisico da futuro rapper del Bronx”.
Perciò il libro va comunque letto, che diamine: non per chissà quali previsioni sulla post-democrazia, le citazioni di Savitri Devi o le dissertazioni sui “nuovi codici civili della borghesia colta” (tra i quali l’eutanasia), né per eventuali necessità di convincersi che il sesso anche per un malato terminale valga più della politica, della morfina o della religione; ma solo per i meme.
Il libro è poco più che una chiacchierata informe con l’autore davanti a un salame da cucinare e una bottiglia di vino (o al capezzale del morente), ma d’altronde non si capisce perché Houellebecq avrebbe dovuto cercare ancora l’edificio irremovibile e micidiale che ti si infrange contro e ti fracassa le ossa di “Estensione…” ma soprattutto le poesie in prosa di “Rester vivant” (che è il suo credo nella letteratura molto più che non il gouncourtato “La carta e il territorio”): in “Sottomissione” fa capire, e lo scrive anche, che l’urlo di sofferenza l’ha già racchiuso in uno struttura al limite delle sue capacità (o della sua volontà), adesso non gli resta che rendersi disponibile per una conversazione tra amici. E questo ultimo capitolo direi che chiuderebbe perfettamente la sua carriera (condizionale, speriamo sempre sia uno scherzo) in un percorso che va dal grido concentrato e implosivo delle prime opere al discorso calmo, piano, insignificante come solo può meritare una realitas disintegrata degli effetti speciali. Un libro difficile, ma bello.
Buon anno, Mister!
Condivido, auguri anche a te!
Non condivido, anche se non ho ancora letto il libro. Per me Houellebecq ha detto (bene) tutto quel (poco, e poco originale) aveva da dire con Estensione del dominio e Le particelle. Sottomissione è una cacata micidiale, dal punto di vista letterario. Dal punto di vista del messaggio, è un bel esempio e un bel compendio delle contraddizioni degli incel fascistoidi, che clamano mamma li turchi al tempo stesso evocano una società ottomana, con la riprovazione sociale delle zitelle, il delitto d’onore e peccato che santa romana chiesa non ammetta la poligamia…
Be’, l’ho letto. Noia mortale. Confermo al 100%: Houellebecq è da tempo uno scrittore finito e forse non è nemmeno un vero scrittore, ma un intellettuale di secondo piano che ricorre a quel po’ di talento che ha per dare un po’ di forza a quello che non è altro che un rozzo, prevedibile immaginario di una estrema destra retrograda e reazionaria. Che sia una galleria di meme (abbastanza vero) dice tutto della grandezza di questo “romanzo fluviale”. Ovviamente l’unico personaggio negativo è la femminista, quelle surprise! Persino i terroristi sono meglio. La copertina dell’indigeribile tomo è tutta rosea. Scelta azzeccata, Annientare sembra uscito dalla penna di una Liala con simpatie hitleriane.