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Milano orgoglio italiano

In civitatum quoque dispositione ac rei publicae conservatione antiquorum adhuc Romanorum imitantur sollertiam. Denique libertatem tantopere affectant, ut potestatis insolentiam fugiendo consulum potius quam imperantium regantur arbitrio. Cumque tres inter eos ordines, id est capitaneorum, vavassorum, plebis, esse noscantur, ad reprimendam superbiam non de uno, sed de singulis predicti consules eliguntur, neve ad dominandi libidinem prorumpant, singulis pene annis variantur. Ex quo fit, ut, tota illa terra inter civitates ferme divisa, singulae ad commanendum secum diocesanos compulerint, vixque aliquis nobilis vel vir magnus tam magno ambitu inveniri queat, qui civitatis suae non sequatur imperium.
[…] Ut etiam ad comprimendos vicinos materia non careant, inferioris conditionis iuvenes vel quoslibet contemptibilium etiam mechanicarum artium opifices, quos caeterae gentes ab honestioribus et liberioribus studiis tamquam pestem propellunt, ad miliciae cingulum vel dignitatum gradus assumere non dedignantur. Ex quo factum est, ut caeteris orbis civitatibus divitiis et potentia [longe] premineant. Iuvantur ad hoc non solum, ut dictum est, morum suorum industria, sed et principum in Transalpinis manere assuetorum absentia. In hoc tamen antiquae nobilitatis immemores barbaricae fecis retinent vestigia, quod, cum legibus se vivere glorientur, legibus non obsecuntur. Nam principem, cui voluntariam exhibere deberent subiectionis reverentiam, vix aut numquam reverenter suscipiunt vel ea quae secundum legum integritatem sancciverit obedienter excipiunt, nisi eius multi militis astipulatione coacti sentiant auctoritatem.
[…] Inter caeteras eiusdem gentis civitates Mediolanum primatum nunc optinet. […] Haec ergo non solum ex sui magnitudine virorumve fortium copia, verum etiam ex hoc, quod duas vicinas civitates in eodem sinu positas, id est Cumam et Laudam, ditioni suae adiecit, aliis, ut dictum est, civitatibus celebrior habetur. Porro, ut in rebus caducis ex arridentis fortunae blandimento fieri solet, rebus secundis elata in tantam elationis extumuit audatiam, ut non solum vicinos quosque infestare non refugiat, sed et ipsius principis maiestatem non reformidando eius ausa fuerit incurrere recenter offensam.

«Gli abitanti d’Italia ancora imitano l’accortezza degli antichi Romani nell’assetto delle città e nel reggimento della cosa pubblica. Tanto anzi amano la libertà che per sfuggire la prepotenza dell’autorità si reggono piuttosto sotto il governo di consoli che di sovrani. Poiché sanno che vi sono tra loro tre ceti sociali, cioè quello dei capitani [grandi feudatari], dei valvassori e della plebe, per reprimere la superbia scelgono cotesti consoli non da uno solo, ma da ciascuno dei tre ceti sociali, e perché non si lascino trasportare dalla brama di dominare, li cambiano quasi anno per anno. Da ciò viene che, essendo quella terra quasi per intero divisa fra le città, ciascuna di queste ultime ha costretto gli abitanti della diocesi a rimanere seco lei ed a mala pena si può trovare qualche nobile o qualche uomo illustre di così grande potenza da non obbedire all’Impero della sua città. […]
E per non mancare di mezzi con cui comprimere i propri vicini non sdegnano elevare alla condizione di cavaliere o agli onori delle dignità giovani di bassa condizione e perfino taluni artefici anche delle spregevoli arti meccaniche, che gli altri popoli tengono lontani dagli studi più onorati e liberali, come la peste. Perciò avviene che essi siano di gran lunga superiori a tutte le altre popolazioni del mondo per ricchezza e per potenza. In ciò si giovano non soltanto, come si è già detto, della loro laboriosità, ma anche della lontananza dei sovrani abituati a rimanere di là dalle Alpi. In questo però, immemori della nobiltà antica, ritengono tuttavia le tracce della rozzezza barbarica, poiché benché si vantino di vivere secondo le leggi, non obbediscono alle leggi. Perché o mai o quasi mai accolgono rispettosamente il sovrano a cui dovrebbero mostrare volontario rispetto di sudditanza, a meno che non ne sentano l’autorità, costretti dalla forza di molti soldati imperiali.
[…] Fra le città di tale nazione Milano adesso tiene il primo luogo […]. Questa è stimata la città più illustre non solo per la sua grandezza e la qualità di forti uomini, ma anche per questa ragione, cioè perché ha sottomesso al suo dominio due città situate nella stessa provincia, Como e Lodi. Quindi come suole accadere nelle cose caduche e secondo le carezze della fortuna, superba per la sua prosperità, si è gonfiata in tanta audace alterigia che non solo non teme di molestare i suoi vicini, ma non temendo neppure la maestà del sovrano, ha osato recentemente incorrere nel suo sdegno».

(Ottone di Frisinga, Gesta Friderici imperatoris, II, 13-14, 1152-1156)

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