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Mind Control: come il governo inglese pianifica il dopo-attentato

‘Mind control’: The secret UK government blueprints shaping post-terror planning
(Ian Cobain, “Middle East Eye”, 22 maggio 2019)

Il governo britannico, a fronte di contenere gli effetti degli attentati terroristici, ha pianificato delle campagne social facendole apparire come una risposta spontanea agli attacchi: questo è quanto appreso da indiscrezioni dalla nostra testata, il “Middle East Eye”.

Prima che si verifichi un attentato, vengono scrupolosamente “testati” gli hashtag più efficaci, selezionate le immagini di Instagram e stampati cartelloni e poster “improvvisati”. In questo tipo di operazioni, definite di “spontaneità controllata” [controlled spontaneity] anche le dichiarazioni dei politici, le marce e le manifestazioni interreligiose sono pianificate all’occorrenza.

Le campagne propagandistiche sono state messe in atto durante ogni attentato degli ultimi anni, compresi l’attacco del London Bridge del 2017 e l’attacco alla moschea di Finsbury Park. A poche ore da un attacco, numerose iniziative vengono rapidamente imbastite, con cartelloni all’insegna dell’amore e distribuzione di fiori sulla scena dell’attentato, in modo da simulare gesti spontanei di vicinanza e affetto.

Lo scopo delle operazioni, secondo alcuni individui coinvolti nella loro preparazione, è di manipolare la risposta dell’opinione pubblica, incoraggiando le persone a concentrarsi sull’empatia per le vittime e provare un sentimento di vicinanza con gli estranei, piuttosto che reagire con violenza o rabbia.

Sembra che molte di queste operazioni siano ispirate ai piani elaborati allo scopo di incanalare la rabbia qualora si fosse verificato un attentato alle Olimpiadi di Londra 2012. Altre invece vennero ideate l’anno precedente, quando i social media facilitavano le comunicazioni tra i manifestanti durante la primavera araba e una serie di tumulti scoppiarono anche in tutta l’Inghilterra. Una figura di alto livello coinvolta in questi “piani emergenziali” afferma che tali rivolte avevano “assolutamente terrorizzato” il governo britannico e che Theresa May, all’epoca Segretario di Stato, era rimasta particolarmente scossa.

Le misure elaborate prima delle Olimpiadi avevano lo scopo di “contenere il cordoglio stile Diana” che sarebbe emerso dopo ogni attacco di massa, un riferimento alla commozione di massa per la morte della Principessa in un incidente nel 1997. La fonte descrive candidamente queste misure come un tentativo di “controllo mentale”.

Sebbene non ci sia stato alcun attacco terroristico alle Olimpiadi, a quanto pare da quel momento tali strategie sono state adottate sulla scia di ogni attentato. Un contingency planner di lunga data afferma che il punto di non ritorno sono state proprio le Olimpiadi:

“Il piano segreto di gestione delle emergenze si è trasformato in una sorta di controllo sociale, sul quale avremmo dovuto ripiegare in qualsiasi occasione. Trovare l’hashtag giusto al momento giusto: da quel momento in poi questa è diventata la sfida. Il mio lavoro è cambiato di molto, dalla pianificazione delle reazioni della gente alle tragedie, alla manipolazione completa. Ora la domanda è: cosa dobbiamo escogitare per far reagire le persone in una certa maniera? Molte delle reazione pubbliche ovviamente sono spontanee, ma altrettante sono modellate. Il governo britannico non vuole la spontaneità: vuole una spontaneità controllata“.

I funzionari del Ministero dell’Interno, in particolare, sono rimasti colpiti dalle dimostrazioni di sostegno dei tifosi per un calciatore della Premier League, Fabrice Muamba, dopo che costui era stato colpito da un infarto in campo nel marzo 2012, quattro mesi prima dell’inizio del le Olimpiadi. Nelle partite successive, i fan delle altre squadre mostrarono cartelloni e striscioni a sostegno di Muamba.

Questo tipo di risposta ha ispirato la pianificazione delle reazioni dopo un possibile attentato alle Olimpiadi, in modo da poter consentire il loro proseguimento. “Questo è quello che volevamo”, afferma ancora l’anonimo funzionario: “se succede qualcosa alle Olimpiadi, tutti devono reagire così, tutti devono essere convinti che le Olimpiadi non possono fermarsi”.

I governi occidentali si sono scambiati informazioni su come utilizzare i social media nel tentativo di modellare la risposta dell’opinione pubblica dopo un attentato. Alcuni esempi di “spontaneità controllata” nel Regno Unito individuato dal “Middle East Eye” sono: la campagna mediatica rapidamente messa in piedi dopo che un numero di operatori umanitari britannici e americani sono stati decapitati dai militanti dello Stato islamico nel 2014; l’uso di hashtag, cartelloni e manifestazioni dopo gli attacchi del London Bridge del giugno 2017 in cui otto persone sono state uccise e quasi 50 ferite; una campagna attraverso Twitter, Facebook e i media mainstream dopo che un uomo ha investito con un furgone un gruppo di persone fuori da una moschea nel nord di Londra, uccidendone una e ferendone altre dieci.

Dopo che Alan Henning, un operatore umanitario britannico, è stato assassinato dallo Stato islamico nell’ottobre 2014, la Research, Information and Communications Unit (RICU), controversa unità di propaganda che fa parte dell’Ufficio di sicurezza e antiterrorismo del Ministero dell’Interno del Regno Unito, si è affidata a una suggestiva foto prodotta da uno dei loro contractor nel settore privato. L’immagine, creata da Breakthrough Media, una società di comunicazione con sede a Londra, ritrae il profilo di una donna con un hijab dei colori dell’Union Jack.

La foto era stata pensata, come attesta una comunicazione interna della Breakthrough (di cui il “Middle East Eye” è venuto a conoscenza), perché “le autorità britanniche volevano sfidare interpretazioni ultraconservatrici e misogine dell’islam – in particolare quelle riguardanti donne – e promuovere il vero volto dell’Islam tra le comunità britanniche”. Il documento afferma che l’obiettivo della Research, Information and Communications Unit era quello di “offrire un megafono alle donne musulmane britanniche allo scopo di sviluppare un’interpretazione alternativa dell’Islam e invitarle ad assumere un ruolo guida nel contrastare l’estremismo nelle loro comunità”.

Da tutto questo è scaturita la Making A Stand, “una nuova organizzazione di donne britanniche musulmane attive nelle loro comunità e con una visibilità sempre crescente nei media nazionali”. Pochi giorni dopo l’omicidio di Henning, il “Sun”, nota rivista scandalistica, concesse la sua prima pagina all’icona della Making A Stand, la donna con l’hijab “nazionalista”, e imbastì ad accompagnamento un servizio di sei pagine di dichiarazioni contro l’Isis da parte di politici e altri pezzi grossi.

Le e-mail divulgate in base al Freedom of Information Act mostrano che la Research, Information and Communications Unit ha monitorato le reazioni online alla prima pagina del “Sun” (riconosciuta dal suo personale come “una nostra creazione”). Lo staff della Breakthrough rimase talmente entusiasta del modo in cui la loro opera fosse stato divulgata al Sun che fece incorniciare una copia della prima pagina per la sede centrale di Londra.

L’hijab con l’Union Jack è solo uno dei progetti mediatici che Breakthrough ha pianificato per conto della Research, Information and Communications Unit come parte del controverso programma “Prevent” contro la radicalizzazione del Regno Unito. Rinominata da poco Zinc Network, la Breakthrough continua a firmare contratti con l’unità propagandistica dell’Ufficio di Sicurezza. La Zinc Network non ha comunque voluto rispondere alle nostre domande.

I documenti interni della Research, Information and Communications Unit che il “Middle East Eye” ha potuto visionare affermano che l’unità sta lavorando “su scala industriale” per sviluppare messaggi mirati ad “attuare cambiamenti attitudinali e comportamentali”, in particolare tra i musulmani. Il coinvolgimento del governo britannico è ammesso in maniera estremamente discreta.

Mentre i “messaggi subliminali” sviluppati come parte del programma Prevent sono dunque rivolti ai musulmani (in particolare ai giovani), i tentativi di pianificare una “spontaneità controllata” sulla scia di un attacco terroristico riguardano la popolazione generale.

Il giorno dopo gli attacchi del London Bridge, sulla scena degli omicidi giunse una squadra di uomini in un furgone senza targa. In quei frangenti era possibile osservarli dietro il cordone di polizia, ad affiggere sui muri poster con immagini di Londra e hashtag già circolanti su Twitter: #TurnToLove, #For London e #LoveWillWin. Questa pratica, nota nel Regno Unito come fly-posting, è un reato minore, ma la polizia non ha comunque preso alcun provvedimento contro la squadra di “attacchini”. Gli anonimi individui che hanno decorato i muri non hanno voluto dire ai giornalisti chi fossero né da dove venissero. Quando il cordone fu finalmente tolto e le persone poterono tornare sulla scena degli attacchi, si trovarono circondati da segni apparentemente spontanei di unità e resistenza.

Il giorno dopo, un funzionario del governo contattò il comune di Southwark, dell’area in cui sono avvenuti gli omicidi. A detta di un consigliere, costui avrebbe annunciato “l’arrivo di cento imam”. Effettivamente poco dopo un centinaio di leader delle comunità musulmane di tutto il Regno Unito giunsero sul ponte per condannare l’attacco. Poi, nel weekend successivo, un gruppo di musulmani venne a distribuire migliaia di rose rosse: secondo uno degli organizzatori “un gesto simbolico d’amore” per le persone colpite dall’attentato. Ciò che l’organizzatore dell’evento non disse è che lavorava per il Ministero degli Interni. Al “Middle East Eye” ha invece dichiarato che si trattava di una iniziativa spontanea senza assistenza governativa: “Ho agito come un membro della comunità, non ho cercato aiuto dai miei contatti nel governo”.

Una settimana dopo, nelle prime ore del lunedì mattina, un assalitore islamofobico solitario, Darren Osborne, ha investito col suo furgone un gruppo di persone davanti a una moschea di Finsbury Park, a nord di Londra. Alcuni giovani hanno fermato Osborne e lo hanno salvato dal linciaggio: poco dopo sul luogo è arrivato anche l’imam della moschea Mohammed Mahmoud. Il mattino seguente, l’hashtag #WeStandTogether era di tendenza su Twitter, dopo essere stato inizialmente divulgato da comandanti della polizia.

In tale occasione, alcuni giornalisti riuniti davanti il cordone della polizia vennero avvicinati da una donna che si presentò come Gabbie e disse di lavorare per l’azienda Horizon PR. Quello che “Gabbie” non disse è che “Horizon PR” è stata creata da Breakthrough Media e un’altra società di comunicazione, M&C Saatchi PR UK, allo scopo di promuovere i messaggi creati secondo i termini del suo contratto con la Research, Information and Communications Unit.

Alcuni giornalisti hanno dichiarato al “Middle East Eye” che “Gabbie” si è offerta di presentarli a un certo Shaukat Warraich dell’organizzazione chiamata Faith Associates. Tale Warraich al cospetto della stampa ha esaltato il ​​ruolo che l’imam della moschea aveva svolto nel proteggere Osborne fino all’arrivo della polizia. Questa dichiarazione ha riempito tutti i palinsesti dei notiziari nei giorni successivi all’attentato. Warraich non ha però detto nulla sui rapporti della sua organizzazione con Breakthrough e con l’unità di propaganda del governo britannico. Faith Associates, una società a responsabilità limitata, è stata per anni finanziata da contratti governativi, e i documenti interni visionati dal “Middle East Eye” mostrano che essa lavora per diffondere i messaggi voluti dal governo.

I resoconti dei media hanno causato alcuni malumori: i giovani uomini che hanno trattenuto e protetto l’attentatore prima che l’imam arrivasse sulla scena ritengono che il loro ruolo sia stato trascurato. “Erano orgogliosi di aver fatto la cosa giusta, ma poi è sembrato quasi che fossero loro a volerlo linciare”, ha detto un frequentatore della moschea. “Quei giovani ora vengono di meno a pregare”, ha aggiunto.

Alla domanda sul ruolo che lui e “Horizon PR” avevano svolto nell’esagerare il ruolo dell’imam con i giornalisti, Warraich ha risposto che aveva lavorato per promuovere la sicurezza della moschea per alcuni anni. L’imam si è invece rifiutato di commentare.

L’unione della tradizionale “pianificazione emergenziale” (forze dell’ordine, assistenza dei feriti ecc) con la propaganda post-attentati sembra ormai un connubio consolidato nel Regno Unito. Ai messaggi diffusi attraverso il programma “Prevent” si sono aggiunte le nuove opportunità offerte dai social media per la creazione di “spontaneità controllata”.

Nel 2016 Facebook ha riconosciuto che la sua influenza si sarebbe ulteriormente estesa se si fosse trasformata in una sorta di “istituzione” per la risposta immediata alle emergenze. I governi sono in effetti sempre più allarmati dal potere social media e alcuni in futuro tenteranno di oscurarli piuttosto che servirsene, come è accaduto in Sri Lanka dopo che nell’aprile scorso più di 250 persone sono state uccise in attentati kamikaze.

Nel Regno Unito, le autorità centrali e locali sono obbligate a prepararsi per le conseguenze di qualsiasi emergenza ai sensi del Civil Contingencies Act del 2004, una legge nata dalla vulnerabilità che il governo di Tony Blair dice di aver percepito durante una serie di crisi all’inizio del suo mandato. Verso la fine del 2000, le proteste per il costo del carburante hanno portato a carenze di benzina, corsa ai supermercati e timore di un collasso economico; l’anno successivo, un’epidemia di afta epizootica è costata al paese circa 8 miliardi di sterline tra bestiame macellato e aziende agricole messe in quarantena.

Una volta approvata la legge, è stato istituito un National Recovery Working Group all’interno del dipartimento centrale del governo britannico. Questo organismo ha stabilito protocolli di orientamento atti a favorire la recovery, fase distinta dopo un attacco terroristico o una calamità naturale. Il Consiglio dei ministri ha offerto la seguente definizione: “La recovery è un processo di ricostruzione, ripristino e riabilitazione della comunità a seguito di un’emergenza”.

La dottoressa Lucy Easthope, una figura di spicco dell’istituto per i piani emergenziali, ha scritto che la ricovery è diventata una “fase specifica del disastro che può essere pianificata in anticipo prima che le specificità dell’emergenza siano note (ciò sottende che questi dettagli siano un problema secondario, che possono essere appresi in seguito)”.

Per mantenere sotto controllo il processo di recovery, si dice che gli hashtag e i post di Facebook vengano accuratamente esaminati prima del loro utilizzo, per stabilire quali possano essere utilizzati senza provocare una reazione imprevista.

Dopo un attacco terroristico – o qualsiasi altra emergenza – i team del Cabinet Office collaborano immediatamente con la Croce Rossa e con i pianificatori emergenziali del posto, che di solito sono i primi a inviare messaggi sui social media. I pianificatori emergenziali consigliano anche il tipo di parole che i leader politici dovrebbero usare dopo un attacco e programmano veglie ed eventi interreligiosi. “Non vogliamo rivolte, vogliamo solo che vengano distribuiti fiori fuori dalle moschee”, conferma uno di questi pianificatori.

Un luogo in cui pare che le autorità locali abbiano respinto i suggerimenti dei pianificatori del governo centrale è Salisbury, la città nell’Inghilterra centrale dove agenti russi hanno usato il Novichok per avvelenare un doppio agente, Sergei Skripal, e sua figlia Yulia nel marzo 2018. Come afferma sempre l’anonimo funzionario al “Middle East Eye”,

“a Salisbury ci hanno detto che non volevano le magliette con la scritta della città e i cuoricini, volevano solo che venisse ripulita da zona da agenti nervini. In effetti possiamo giocare al giochino degli hashtag a Manchester, dove ci sono più giovani, ma una città come Salisbury è piena di ex militari e la gente sembra avere un po’ di sale in zucca, quindi è stato necessario utilizzare altre strategie”.

Alcuni funzionari coinvolti nella pianificazione della “spontaneità controllata” nutre ovviamente qualche perplessità sul modo in cui la pianificazione emergenziale si sia trasformata in un mezzo per influenzare l’opinione pubblica attraverso la propaganda.

La dottoressa Lucy Easthope – che ha elaborato i piani di gestione della recovery per oltre un decennio – ha espresso perplessità sulle manifestazioni inter-religiose organizzate prima degli attentati e i messaggi precompilati sui social network: recentemente ha infatti scritto sul “Guardian” che “la retorica resistenziale è sfuggita di mano” e che è uno sbaglio “insistere su una prima risposta stile Non ci divideranno, come se il nemico fosse già approdato sulle nostre spiagge”.

Alcuni pianificatori emergenziali sono anche preoccupati che la sofferenza delle famiglie in lutto passi in secondo piano quando si sviluppano piani per la “spontaneità controllata”. “L’hashtag comincia a perdere il suo senso quasi subito, e non penso che questo sia d’aiuto per le famiglie che hanno subito una perdita”, afferma uno di essi. “È soltanto un anestetico per la comunità, ma non può sostituire l’attenzione verso le persone più gravemente colpite”.

Né, secondo altri, il pubblico viene incoraggiato a impegnarsi in un dibattito sulle cause del terrorismo:

“Il governo vorrebbe controllare qualsiasi storm sui social network, ma ovviamente non può farlo: tuttavia può distrarre le persone con una bandierina francese o altro. Il dibattito è comunque interdetto perché passiamo il tempo a mettere cuoricini, a mettere la bandiera della Nuova Zelanda come immagine del profilo e a fare i balletti per le vittime. Quando non c’è nulla che le persone possano fare, l’unica cosa che gli rimane è cambiare l’immagine del profilo di Facebook. Così sentono di aver fatto qualcosa e possono tornare al lavoro senza impensierire i governanti. Non troveremo però mai una soluzione al terrorismo manipolando la reazione dell’opinione pubblica. Non stiamo affrontando un serio dibattito, ma è l’unica cosa che potrebbe portare a una vera consapevolezza: fermarci un attimo a pensare”.

Il Cabinet Office ha dichiarato che quasi tutte le informazioni sulla pianificazione di emergenza sono pubbliche, tranne alcune riservate solo a uso interno. Non ha commentato le critiche sulle sue attuali operazioni.

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