Un mio seguace ha deciso di riconvertire un suo profilo Twitter di riserva in una Mister Totalitarismo Appreciation Society. Per incoraggiare la sua iniziativa gli ho comprato diecimila follower falsi (ecco dove finiscono le vostre donazioni) [aggiornamento: Elon Musk ha giustamente fatto piazza pulita dei bot indù].
L’unica condizione è che si comporti come uno pseudo-bot, quindi zero follower (così nessuno può mandare messaggi privati) e zero conversazioni o tweet personali (chi vuole contattarmi può farlo alla solita email bravomisterthot@gmail.com); potrà tuttavia postare contenuti che qui sul blog non posso pubblicare per svariati motivi (mancanza di tempo o avvocati).
Personalmente spero che il mio ritorno su Twitter si limiti a questo, perché non intendo più iscrivermi ad alcun social network. Sono però anche un mastelliano doc e le scelte di compromesso mi ispirano sempre. Ad ogni modo, per evitare ogni snobismo o terrorismo psicologico, i motivi per cui non intendo perdere tempo con i social sono molto pragmatici: in primis è proprio per il fatto che mi manca il tempo, nel senso che ho accettato la traduzione di un nuovo libro (con la prospettiva di farne altri tre) e non posso accendere il computer e lavorare cinque minuti su un’ora perché devo scrollare e scrollare (non la minchia ma la timeline).
Dovete capirmi, l’unico lavoro serio che ho fatto in vita mia è stato l’insegnante statale e negli anni scorsi avevo una infinità di ore da buttar via, senza contare il fatto che per un breve periodo ho anche vissuto l’ebbrezza della scuola non digitalizzata, prima che, “grazie” al covis, anche quest’ambito venisse colonizzato dal tecno-giudaismo (o giudeo-tecnocrazia, devo ancora pensarci). Poi già l’anno scorso, prima ancora del Green Pass, mi ero rotto i coglioni di dover gestire le lezioni come se fossero un video di TikTok.
In pratica, riuscivo a usare i social semplicemente perché mi facevo le mie belle quattro ore “analogiche” da insegnante e poi il mio tempo libero era tutto dedicato allo shitposting. Sì, certo, tutti saranno lì a piangere sulla scuola antiquata con la lavagna e gessetti ma vi assicuro che i vostri figli (i vostri figli? ma che cazzo volete gattare di merda e simponi cinquantenni?!) imparavano molto di più senza le lucine colorate e le limme (le famigerate “Lavagne Interattive Multimediali” che in una scuola in cui lavoravo erano dei televisori comprati con la raccolta punti di un supermercato e montati dal cognato della Dirigente).
Secondo punto: i meme. Dal momento che la censura social mi colpisce regolarmente (vedere slide sotto), mi sarei anche stufato di perdere centinaia di meme fighissimi creati al momento e non salvati sul pc (per non dire dell’assoluta refrattarietà, da vero italiano, a ogni forma di back-up). Se non fosse stato per qualche fidato camerata che se li scaricava di nascosto, oggi non sarebbe sopravvissuto nulla di anni di intensa produzione icastica.
E infine c’è anche la questione della “bolla”: non dico di essere affamato di esperienze e vita reale (tutte cazzate), ma vivere su Twitter significa illudersi, per dire, che dei celibi possano fare una rivoluzione (nemmeno i neet hanno rifiutato il vaccino, zio caro!) o che il politico che vi followa una volta montato sul carro dei vincitori possa realizzare l’1% di quanto promesso (statalizzare i canili o imporre la white sharia).
Non ho alcuna soluzione (politica o meno) da proporvi e diventare un’icona mi imbarazza. Però voglio star lì come amletico spettro per ricordavi sempre di essere basati, non simpare mai e pregare per il Veltro che verrà a far morir con doglia la Meretrice di Babilonia.