Voglio riportare le condivisibili osservazioni espresse della professoressa Silvia Toscano in una lettera indirizzata al “Corriere” (24 giugno 2018):
«Intrufolandomi di tanto in tanto dove mio marito segue appassionatamente le partite del campionato del mondo di Russia, da professoressa della materia presso la Sapienza mi stupisco della assoluta mancanza di un qualsiasi riferimento culturale, geografico, d’ambiente, storico, intorno al luogo prescelto di volta in volta per uno spettacolo che da giorni ci rallegra. Stadi magnifici, inondati di sole da una metereologia fortunata, con spalti gremiti e coloratissimi (i nostri, mi dicono, sono una mestizia al confronto), un entusiasmo, una disciplina, una coreografia perfetta e seducente, insomma un rarissimo “contagio di qualità”. Di tutto questo, mai una parola dai cronisti tv, che almeno indugiano sulle date e il senso di un inno nazionale (cosa, questa, meritoria). Si è giocato a Kaliningrad, un tempo Königsberg, patria natia di Kant, a Volgograd, un tempo Stalingrado, a Kazan capitale tatara conquistata da Ivan il Terribile che volle la Cattedrale di San Basilio sulla Piazza Rossa… Qualche minuto prima, cosa costerebbero tre immagini della città scelta per la partita e due chiacchiere che illustrano quel che di notevole vi accadde e le sue bellezze più rimarchevoli? Le sanzioni, l’embargo, non giustificano questa noncuranza».
Anch’io ho cercato di darmi una spiegazione a tale sciattezza, ma alla fine mi sono convinto che la questione abbia davvero poco a che fare con le “sanzioni”: da un lato perché Mediaset è storicamente “amica” di Putin (addirittura una volta Rete 4 trasmise un documentario, Il Presidente, degno della migliore tradizione staliniano-zarista), dall’altra perché il network berlusconiano è appunto un’impresa dedicata alla valorizzazione dei contenuti commerciali di qualsiasi “prodotto”. Da tale prospettiva, potremmo quasi dire che a ridurre al minimo la cornice culturale di questi Mondiali in favore dell’intrattenimento e dello spettacolo sia stata anche l’imbarazzante “ritirata” della Rai, a mio parere assolutamente irrispettosa nei confronti dei contribuenti italiani.
E’ anche vero che i commentatori del servizio pubblico in questi anni ci hanno abituato a strafalcioni da antologia, come quando Marco Mazzocchi confuse il saluto a tre dita dei serbi con un avviso ai loro tifosi (“fate i bravi o perdiamo tre a zero a tavolino”!), oppure quando lo stesso (se non ricordo male) scambiò i fischi degli irlandesi a God save the Queen (inno del Nord dell’isola che fa parte del Regno Unito) come un oltraggio degli ultras italiani. Per non dire di Collovati che non perde occasione per chiamare i calciatori russi “sovietici” (chissà cosa avrebbe combinato adesso…).
Tuttavia, nonostante l’impreparazione di alcuni commentatori, è difficile credere che la Rai non sarebbe stato in grado di dedicare più attenzione alla “storia e geografia”, magari anche con un taglio noioso e documentaristico, ma comunque in linea con quanto si sarebbe aspettato il “pubblico pagante”. Al contrario, la “gratuità” di Mediaset, come abbiamo detto, le ha imposto di esaltare all’estremo gli elementi più antitetici a qualsiasi idea di “cultura” del “prodotto Mondiale”: anche questo però alla fine va più a discapito del Servizio Pubblico che del buon Sandro Piccinini.