Mongoloid. La metafisica dei Devo

Mongoloid he was a mongoloid
happier than you and me
mongoloid he was a mongoloid
and it determined what he could see
Mongoloid he was a mongoloid
one chromosome too many
Mongoloid he was a mongoloid
and it determined what he could see
and he wore a hat
and he had a job
and he brought home the bacon
so that no one knew
Mongoloid he was a mongoloid
his friends were unaware
mongoloid he was a mongoloid
nobody even cared
Mongoloide era un mongoloide
più felice di te e di me
Mongoloide era un mongoloide
e decideva quello che voleva vedere
Mongoloide era un mongoloide
un cromosoma di troppo
Mongoloide era un mongoloide
e decideva quello che poteva vedere
e indossava un cappello
e aveva un lavoro
e portava a casa la pagnotta
in un modo che nessuno sapeva
Mongoloide era un mongoloide
i suoi amici ne erano a conoscenza
Mongoloide era un mongoloide
non importava niente a nessuno

Questa canzonetta del 1977 dei Devo (un gruppo di Akron, Ohio, divenuto popolare soprattutto per la cover di “Satisfaction”) sembrerebbe a primo avviso un inno all’integrazione dei “mongoloidi” (il termine è usato in modo neutrale, non offensivo): si parla di un uomo con un “cromosoma di troppo” che tuttavia riesce a vivere una vita normale (ha un lavoro, un casa e un “cappello sulla testa”).

Tuttavia una versione del 2004 da parte di un gruppo di naziskin, i Chaos 88 (“88” sta per HH, Heil Hitler), ascoltabile solo in formato mp3 perché censurata da tutte le piattaforme video (non per il pezzo in sé, che è appunto una cover dei Devo, ma per l’ideologia sostenuta dalla band) fa propendere per un’interpretazione alternativa.

 

Sorprende che questi skinhead non abbiano cambiato di una virgola il testo originale, come se il pezzo avesse un “messaggio” totalmente assimilabile al loro: resta dunque da capire quale sia il significato che dei naziskin danno a Mongoloid. Sul sito Songmeanings compaiono alcune osservazioni che fanno emergere interpretazioni più controverse della canzone:

«Ho sempre pensato che la canzone intendesse dire che il protagonista è un idiota assoluto e che l’autore [della canzone] si stupisse di come nessuno era riuscito a notare una cosa così evidente. Comunque, ho letto alcune teorie interessanti secondo le quali la canzone sarebbe un elogio di una persona mentalmente disabile capace di condurre una vita normale. Io preferisco però la mia teoria, è molto più cinica e Devo-like».

«“Mongoloid” è ora un termine politicamente scorretto per descrivere qualcuno affetto dalla sindrome di Down. In linea con la filosofia dei Devo [la de-evoluzione: nella società post-industriale l’uomo regredisce a livelli sub-umani] direi che questo è un modo cinico per descrivere come la devoluzione si insidia nella società, dove un “mongoloide” è in grado di assimilarsi senza che nessuno se ne accorga.
In altre parole: stiamo diventando tutti stupidi per mancanza di selezione naturale, e il “mongoloide” è ovviamente quello che non avrebbe dovuto essere selezionato».
«Non credo che il protagonista sia letteralmente affetto da sindrome di Down – a me sembra che la canzone si riferisca all’uomo medio che indossa un capello, che lavora e che porta a casa la pagnotta, cioè un membro vincente della società: un idiota insomma».

«È interessante notare come “Mongoloide” non era solo un termine utilizzato per descrivere la sindrome di Down, ma che secondo John Langdon Down (colui che diede il nome alla sindrome) esso si riferiva ad una sorta di de-evoluzione genetica, che causava l’emergere di caratteristiche “mongole” sulle persone bianche (era il XIX secolo, quindi penso che a quel tempo si credesse che gli asiatici erano meno evoluti dei bianchi/caucasici).
Credo che la canzone voglia dire che il protagonista (a causa di una condizione patologica o, più probabilmente, solo in senso metaforico) è così sottosviluppato da poter essere considerato mentalmente ritardato, ma nessuno se ne accorge, perché la società si è talmente de-evoluta che lui può adattarsi perfettamente ad essa.
Il punto è che non devi essere intelligente per essere utile alla società, bisogna solo essere in grado di adattarsi alla cultura del consumatore, la quale può essere seguita più facilmente da qualcuno con pochissima intelligenza. Quindi stiamo tutti de-evolvendo…»

«Se sei felice, sei un idiota. Questo è il mio parere sulla canzone. […] Così come noi sostituiamo la nostra umanità con la convenienza e la comodità, superando la selezione naturale, nello stesso modo lasciamo che sorgano nuovi problemi. […] Tornando al brano, secondo me esso contiene un ulteriore significato: e se la “ricerca della felicità” fosse solo il precetto di un idiota? Se si dimentica il mondo attorno a sé, o lo si guarda da una prospettiva limitata, come in acquario, allora si può essere felice come un idiota? Ignorare le evidenti “carenze di umanità” significa accettare che tu e il “mongoloide” siete sullo stesso piano?
Essere un vero uomo significa lottare continuamente per capire cosa significa “essere un vero uomo”, altrimenti che cosa ti rende differente da un “mongoloide”?»

«Ho pensato a questa canzone come una critica sarcastica sul tipico atteggiamento “politicamente corretto”, che ci obbliga a non giudicare coloro che valgono meno di noi, o che i popoli “disabili”, cioè primitivi, siano in realtà più felici dei popoli più “illuminati” o “evoluti”. Il verso “Happier than you and me” si riferisce proprio a questo.
Penso a quegli antropologi i quali sostengono che le persone sono più felici nelle società primitive, perché ignorano beatamente le preoccupazione del mondo post-industriale e hanno meno da pensare, perché vivono alla giornata.
Il verso “Determined what he can see” si riferisce al fatto che il mongoloide ha un limitato punto di vista che lo rende felice. Il pensiero che le persone “semplici” siano anche le più felici è sbagliato perché, nonostante la loro felicità, la semplicità resta un difetto – almeno dal nostro punto di vista.
Mongoloidi e popoli primitivi hanno una aspettativa di vita più breve e sono meno preparati a fronteggiare la miseria.
Si potrebbe anche interpretare questa canzone molto più semplicemente, e dire che è solo una dichiarazione che l’ignoranza è una benedizione, e se tutti sono ignoranti, nessuno saprà che lo siete anche voi, ecc…»

Quante cose possono saltar fuori da un motivetto: all’ombra della “ricerca della felicità” promessa dalla costituzione americana si nasconde una certa “filosofia di vita” basata sul darwinismo sociale, l’antropologia negativa, l’eugenetica e il razzismo. È probabile che i Chaos 88 abbiano pensato a tutto questo, nel momento in cui hanno deciso di reinterpretare Mongoloid?

Tuttavia, conoscendo la storia dei Devo, la chiave di lettura risulta improponibile: nonostante anch’essi furono tacciati di fascismo (per l’album Duty now for the future, un critico li accusò di aver “assunto il fascismo come bersaglio satirico senza aver manifestato apertamente la propria disapprovazione”), la loro ispirazione in realtà non è politica ma, potremmo dire, quasi teologica (o, ancora meglio, a-teologica).

La filosofia devoluzionistica è infatti ispirata a un pamphlet religioso scoperto dai fondatori del gruppo, Mark Mothersbaugh e Jerry Casale, ai tempi dell’università. Il libello si intitola Jocko-Homo Heavenbound (1924) e ne è autore un militante dell’Esercito della Salvezza, B.H. Shadduck (1869–1950). È un volumetto creazionista, non privo d’ironia, che smentisce le “favole evoluzionistiche” non solo tramite una lettura letteralista delle Sacre Scritture, ma preoccupandosi anche delle implicazioni morali e sociali del darwinismo.

Secondo Shadduck, l’evoluzionismo è una ideologia nata per giustificare il peccato, ovvero: «Lasciare che i deboli muoiano di fame, odiare e uccidere il tuo nemico, praticare la poligamia e incoraggiare le persone anziane a morire». “Evoluzione” non è altro che il cammino disperato dell’umanità che, dal peccato originale in poi, ha deciso di allontanarsi definitivamente dalla Parola di Dio.

Nel libretto appare un suggestivo disegno satirico, dove il diavolo (che sul petto ha scritto “D-evolution”), se la ride dell’evoluzione umana:

Oltre a citazioni letterali dal testo, tutto ciò si riflette nelle canzoni dei Devo in una sorta di interpretazione surrealista del messaggio di Shadduck. Jerry Casale sostiene che non si può accettare l’evoluzionismo, in quanto anch’esso offre la stampella del “senso” alla vita, cioè a una cosa che di senso non ne ha nessuno. Se non esiste né scopo né fine, tutto quello che chiamiamo “evoluzione” è soltanto una lunga marcia verso il nulla. Le teorie evoluzionistiche vengono non a caso motteggiate proprio nel lato B del singolo Mongoloid, dove compare un altro classico del gruppo, Jocko Homo:

They tell us that
we lost our tails
evolving up
from little snails
I say it’s all
just wind in sails
Dicono che
abbiamo perso le code
evolvendoci
da piccole lumache
io dico che
son tutte chiacchiere.

Il video-clip che accompagna il pezzo illustra con compiacimento come l’Homo sapiens sapiens può “de-evolvere” a Jocko.

Tornando a Mongoloid, invece, questa visione disperata dell’umanità non si trasforma automaticamente in misantropia. Anche in questo caso i Devo si sono ispirati a un altro passaggio di B.H. Shadduck:

«Handicap is everywhere in evidence», afferma il creazionista. E aggiunge: «Se l’evoluzione esistesse, solo un continuo miracolo potrebbe impedirle di auto-distruggersi».

Dunque il testo di Mongoloid è tutto fuorché un elogio della selezione naturale. Ciò che probabilmente i Devo intendevano dire è che la massificazione nella pursuit of happiness riesce ad appianare qualunque diversità. Per la cultura statunitense, questo è un bene, è il destino manifesto, l’American Dream. Per Mothersbaugh e Casale invece, «non c’è nessuna prova che l’uomo sia il risultato di un progresso lineare e che tutte le cose vadano per il meglio». La loro visione coincide dunque con quella di un pessimismo metafisico impazzito, espresso in chiave dadaista e tradotto musicalmente con i suoni delle avanguardie degli anni ’70 e ’80.

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