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Morire per la Catalogna?

Urna per il referendum catalano
(rigorosamente Made in China)

Si racconta che Carles Puigdemont, dopo aver proclamato l’indipendenza della Catalogna ed essersela rimangiata nel giro di pochi secondi, sia poi uscito a festeggiare coi sostenitori, i quali portandolo in trionfo si sono però sentiti ammonire “Guardate che m’avete preso per un coglione!” “Ma no, sei un eroe!” “No! Mi avete preso per un coglione!” “Ma no, sei un eroe!” “Mi avete preso per un coglione sotto la mano, mi fa male!”.

Spetterà in effetti ai posteri stabilire se Puigdemont passerà alla storia come eroe o come coglione. Personalmente, mi sento in dovere di spendere qualche parola a suo favore: è difficile non riconoscere che il governo Rajoy abbia compiuto più di un passo falso, anche se la responsabilità andrebbe allargata a tutta la destra spagnola, che ha voluto trasformare il proprio Paese in un testimonial del “miracolo europeo”, avvallando nella pratica gli atti più iniqui dell’eurocrazia in campo politico ed economico (altro che Zapatero) e negando così qualsiasi possibilità di un “fronte comune” a sud del continente.

Il conto presentato dall’europeismo oltranzista è, in ultima analisi, la dissoluzione dello Stato-nazione così come lo abbiamo conosciuto dal 1648 a oggi; perciò chi ha “successo” in Europa, a meno di non essere la potenza egemone, deve tenere a mente il motto evangelico: Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà.

Entrare in una super-nazione comporta un rivolgimento dell’immaginario collettivo, dei simboli e delle identità consolidate. Non bisogna pretendere troppo dagli uomini: a un certo punto ritorna sempre il bisogno delle marcette, dei gagliardetti, dei dialetti. L’Europa-Nazione non riesce a suscitare alcun sentimento d’appartenenza e dunque si comporta come un parassita, letteralmente “campa di rendita” su concetti che ha assorbito da ogni ideologia ma che non riesce a far propri, in quanto ostile a qualsiasi riflessione sulle proprie radici. E allora, come si possono forgiare nuovi valori unificanti, se ci si rifiuta anche solo di pensarli?

La confusione regna sovrana nello stesso dibattito sull’essenza di questa Unione Europea: per esempio, la filosofa Donatella Di Cesare ha sostenuto sul “Corriere” che gli Stati-nazione sono una “vecchia e deleteria finzione”, mentre l’Europa rappresenterebbe “una nuova forma politica post-nazionale”. Ma la post-nazione può essere qualcosa di diverso da una nazione? La tesi della Di Cesare convince ancor meno se pensiamo che, in altro luogo, uno dei “modelli post-nazionali” da lei indicati è nientedimeno che… Israele (avesse detto la Svizzera!).

Il governo catalano sta semplicemente approfittando del disordine creato da ventotto ventisette Paesi che agiscono come i socialisti secondo Churchill: partono senza sapere dove vanno, quando arrivano non sanno dove sono, e tutto questo con i soldi di altri.

Quindi mentre un’intera collettività si è lasciata convincere che i confini nazionali producono solo guerre, genocidi e carestie, il fatidico “vento della storia” negli ultimi decenni è spirato da tutt’altra parte: solo dal 1990 a oggi sono nate oltre trenta nuove nazioni –la maggior parte, come è noto, dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, altro esperimento di ingegneria sociale poco riuscito–.

Questo probabilmente sarà uno dei prezzi da pagare per aver posto le utopie (o i “sogni”, o le favole) al di sopra della realtà e aver negato l’importanza culturale, storica e politica della “forma nazione”, a quanto pare riconosciuta ancora come positiva (o almeno funzionale ai propri interessi) da molti popoli al mondo, se persino i “buoni” (catalani, baschi, curdi, palestinesi, armeni, irlandesi) ne voglio una.

Poi possiamo continuare a raccontarci che esistono le nazioni-nazioni e le “post-nazioni”, e che la Catalogna libera e socialista sarà appunto una di queste: ma se i modelli della post-nazione sono Israele (o il Kurdistan) allora c’è poco da discutere. Gli ingenui crederanno di aver inventato l’uovo di Colombo (ancora Churchill!), cioè aver trovato la formula perfetta per una “Spagna federale in un’Europa federale”, ma sarà semplicemente lo Stato-nazione che torna a imporre le proprie necessità e rivendicare il proprio spazio.

Non vorrei giungere ad affermare che, qualora gli indipendentisti dovessero andare fino in fondo (eventualità peraltro poco probabile), la futura Catalogna potrebbe rappresentare una sorta di astuzia della Ragione; tuttavia, nel bene o nel male, essa costringerebbe, ancor più della Brexit, a domandarsi cosa sia davvero questa Unione in cui ci siamo cacciati.

Per il resto, nonostante le premesse del nuovo Stato catalano siano improntante alla più imbarazzante izquierda caviar, credo che esso dovrà seguire un percorso obbligato e conformarsi non dico a un Israele, ma almeno alla Svizzera in ambito militare, alla Thailandia nel settore turistico e a Singapore in quello finanziario. Insomma, ci vorrà poco prima che i sostenitori attuali della Catalogna incitino al boicottaggio della stessa, perché chi è nemico di qualsiasi patria a livello ideale, non può esser amico di nessuna a livello reale: paradossalmente, anche qualora nascessero i famigerati “Stati Uniti del Mondo”, i mondialisti non riuscirebbero a esser fedeli nemmeno alla loro “patria universale”; ma questa è un altra storia ancora…

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