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Mozart non ha venduto più dischi di Beyoncé

Ultimamente è circolata su diversi siti americani la notizia che quest’anno Mozart avrebbe venduto più dischi di Beyoncé, ripresa da alcune testate italiane (“Repubblica”). Data la recente ossessione per le cosiddette fake news, pure io nel mio piccolo vorrei “sbufalarne” una: in realtà il box set dedicato a Mozart per il 225° anniversario della morte ha venduto solo un duecentesimo rispetto a Beyoncé e compagnia cantante. L’illusione del “milione di copie” è data dal fatto che il cofanetto contiene 200 (!) dischi al prezzo di 500 dollari, quindi i circa seimila esemplari acquistati sulla carta sono diventati oltre un milione.

Non è del resto questa l’unica notizia falsa circolante sul compositore salisburghese: poco tempo fa su Facebook qualcuno si è inventato che Mozart fosse nero confondendolo con Joseph Boulogne, che in effetti è conosciuto come il “Mozart nero”, anche se il soprannome è stato inventato dai posteri. Un’altra bufala d’annata riguarda il famigerato Mozart Effect: non esiste infatti studio scientifico alcuno in grado di dimostrare che l’ascolto della Sonata K 448 faccia aumentare la “intelligenza “spazio-temporale” o favorisca la concentrazione durante lo studio.

Potremmo domandarci perché così entusiasmante la pseudo-notizia che un disco di classica ha venduto più di quello di una «cantante, ballerina, attrice e imprenditrice statunitense» (così “Wikipedia” su Beyoncé). Sicuramente una delle cause è la distanza tra il “classico” e il “moderno” che informa ancora l’immaginario collettivo. Credo tuttavia che la celebre battuta di Woody Allen («Io non posso ascoltare troppo Wagner, lo sai… già sento l’impulso a occupare la Polonia») si avvicini molto alla verità.

Sono noti i controversi rapporti tra l’opera wagneriana e Israele (chi vuole suonarlo da quelle parti lo fa a suo rischio e pericolo), ma ciò non viene comunque percepito come una forma di censura. Mentre, per fare l’esempio più recente, ha suscitato enorme clamore il fatto che la legge argentina proibisse formalmente ai Kraftwerk di esibirsi a Buenos Aires in base all’associazione tra uso dei sintetizzatori e  spaccio di stupefacenti (la polemica è poi rientrata).

Lasciando da parte il pregiudizio positivo nei confronti degli ebrei, sembra che anche proibire la musica classica sia un modo per riconoscerle una potenza particolare (una nota di Wagner potrebbe provocare un nuova Shoah?): il che dimostra indirettamente l’esistenza di un altro pregiudizio positivo, dipendente in parte dalla scarsa conoscenza generale di quella che definiamo “musica colta” (togliendo dai seimila che hanno comprato il cofanetto di Mozart per convenzione –incluse scuole e biblioteche–, quante potrebbero essere le persone che hanno effettivamente ascoltato i duecento dischi, se non qualche decina?), ma anche dall’idea che, se bisogna proprio fare una guerra mondiale, è sempre meglio avere come sottofondo Mozart piuttosto che Beyoncé.

È un concetto ben illustrato dalla Cavalcata delle Valchirie sparate a tutto volume in Apocalypse Now durante l’assalto dei soldati americani a un villaggio vietnamita (una scena verosimile, anche se per la guerra psicologica gli Stati Uniti preferirono utilizzare «eerie sounds and altered voices», facendo credere ai Vietcong di essere perseguitati dagli spiriti dei soldati non seppelliti).

Ancor più evidente tale collegamento in Arancia Meccanica di Kubrick, nel quale le note beethoveniane vengono riportate dall’empireo (dove le ha collocate la “Cultura”) alla terra (in cui invece le pone la storia), come è stato acutamente osservato da Giuseppe Rausa:

«Alex ama la musica colta, soprattutto Beethoven. Questo particolare propone un elemento di riflessione scettico-nichilista, perfettamente allineato alla visione umana disincantata di Kubrick: […] l’arte viene raffigurata come priva di quelle qualità morali tanto celebrate da una certa cultura idealista; al contrario essa appare un luogo ambiguo e polivalente, nel quale ciascuno può cogliere gli aspetti che gli sono più confacenti e simili. Così l’arte beethoveniana, animata da una volontà aggressiva e da una forza dirompente (aspetti peraltro ampiamente riflessi nella biografia stravagante e piena di ossessioni del compositore di Bonn), appaiono ad Alex la giusta colonna sonora delle proprie scorribande criminali; e ciò risulta ancor più ironico poiché il brano continuamente citato è proprio quel quarto movimento della Nona sinfonia sul testo An Die Freude di Schiller, che costituisce un importante e celebrato manifesto dell’ideologia della fratellanza massonica (lo fu fin dall’origine: la nona fu commissionata a Beethoven dalla massonica Philharmonic Society di Londra nel 1817 e completata dal musicista nel 1824).
Dunque l’incitamento all’amore universale di Beethoven/Schiller incentiva il suo opposto; Eros si trasforma in Thanatos o meglio la pura scrittura dei suoni beethoveniani contiene questa possibilità fin dall’inizio. Né appare casuale la presenza ancora di un frammento di tale quarto movimento (il celebre, “estatico” Alla marcia) quale commento al documentario sul nazismo imposto ad Alex all’interno della cura Ludovico: la musica sinfonica tedesca (quella di Beethoven in particolare) contiene quell’istinto aggressivo, quella volontà di potenza che si manifesterà nell’ascesa della nazione prussiana a partire appunto dagli anni beethoveniani (nel medesimo periodo esce il fondamentale trattato Sulla guerra [1831] del prussiano Von Clausewitz, vangelo di una certa concezione militare della realtà, insita nella cultura tedesca), ascesa che si realizza in un’espansione costantemente vittoriosa (gli anni di Bismarck, Sedan 1870, il secondo Reich) fino alla catastrofe del nazismo, […].
Kubrick sembra alludere a questa complessa (e finora insufficientemente indagata) problematica, smascherando la visione edulcorata di un preteso nobile sinfonismo, espressione di ideali di pacificazione universale: la musica tedesca racconta l’animo tedesco, il suo desiderio di supremazia […]. Questo è, coerentemente, ciò che “incanta” Alex allorché egli si immerge nell’universo sonoro beethoveniano. […] Peraltro anche la cura Ludovico porta il nome del compositore tedesco, poiché anch’essa esprime una volontà di potenza, quella dello Stato o, meglio di una compagine politica di destra (simboleggiata dall’autoritario ministro degli interni), decisa a tentare ogni possibile soluzione, per quanto azzardata e lesiva della dignità umana, al fine di vincere la propria battaglia contro la microcriminalità. Inutile ricordare che anche questa battaglia, combattuta in nome dell’ordine e della legalità, serve soprattutto ai suoi artefici intenti a consolidare il proprio potere politico contro le minacce della fazione opposta, esemplificata nello scrittore Alexander. Desiderio di dominio, crudele manipolazione dell’altro, illusione tecnocratica sono le componenti della cura Ludovico: l’ambiguo universo sonoro beethoveniano può dar voce perfino a queste pulsioni».
La morale pare sia proprio questa: la “musica giusta” dà l’illusione che l’estetica si trasformi in etica e che le azioni più orrende acquistino un senso, o addirittura una moralità. Tuttavia è solo la forbice del tempo che sembra guidare i diversi (pre)giudizi in campo musicale e generalmente artistico. Certo, se Mozart vendesse davvero più di Beyoncé allora tutti i discorsi sui cosiddetti “Illuminati” acquisterebbero immediatamente la rispettabilità culturale di cui ancora difettano, ma forse non ne saremmo più tanto entusiasti.
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