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Nazimao: gli adoratori della “Nuova Sparta” d’Oriente negli anni ’70

Non molti anni fa lo storico quotidiano Rinascita propose ai lettori un documentario in 10 dvd (!), Ci chiamavano Nazi-Mao: il titolo in verità era perlopiù una provocazione perché l’argomento (considerando la mole del materiale trattato) spaziava naturalmente in tutta la galassia “socialista nazionale” degli anni ’70.

Tuttavia il cosiddetto nazi-maoismo rappresentò a tutti gli effetti un corrente specifica dell’area, sorta nel momento in cui alcune componenti eretiche dell’estrema si infatuarono dello “stalinismo gerarchico” e della “nuova Sparta” cinese. La definizione, anche se nata in ambito giornalistico, risulta ancora efficace per dipingere la ridda di militanti dalla destra sociale, dal neofascismo e dalla sinistra extra-parlamentare che confluirono in questa “terza posizione”.

Un libro di quegli anni, scritto da due militanti della cosiddetta “Nuova Sinistra” dopo la strage di Piazza Fontana (La strage di Stato, 1970), ipotizza per i nazi-mao un ruolo di infiltrati al servizio della “strategia della tensione” (cap. “Infiltrazione e nazimaoismo”). Su Wikipedia, invece, una pagina poco enciclopedia dedicata al movimento (“Nazi-maoismo”), ribalta paradossalmente l’accusa sugli altri movimenti antagonisti:

«Si può intendere col senno di poi il nazi-maoismo come una corrente trasversale atta non tanto ad un’unità di fini e di mezzi tra estrema destra ed estrema sinistra, ma ad una contestazione intrinseca ad entrambe le aree in contrapposizione soprattutto al sentore di un’incipiente infiltrazione e strumentalizzazione dei classici e dei nuovi gruppi sia di destra che di sinistra da parte di forze allora oscure, ma che oggi sappiamo essere di riferimento dei servizi segreti volti a dare alle loro politiche un determinato incanalamento. Quindi in poche parole una concorrenza politica interna ai movimenti, nella quale il nazi-maoismo appare come un rifiuto dei militanti idealisti ad ubbidire alle manovre dei militanti “infiltrati” ed in quest’ottica si pongono le uniche finalità comuni tra destra e sinistra».

La stessa pagina riporta una testimonianza di Franco Freda del 1977 che giustifica la “terza posizione” del movimento e ripudia la definizione stessa come spauracchio creato ad arte da antagonisti “istituzionali” di estrema (cfr. G. Bessarione, Lambro/Hobbit. La cultura giovanile di destra, Roma, Arcana Editrice, 1979, pp. 99-100):

«La formula paradossale del “nazi-maoismo” -non del tutto falsa, ma anche non del tutto giustificata- permette di scindere i suoi elementi costitutivi, perché i comunisti mirano a rilevare l’aspetto “nazi” per terrorizzare i compagni e i neofascisti del MSI mirano ad evidenziare gli aspetti “maoisti” per impaurire i camerati».

Alla luce di quanto sostiene Freda ne La disintegrazione del sistema (1968), cioè che uno Stato può configurarsi come “popolare” ed esprimere “una forma di comunismo aristocratico di tipo spartano presupponente l’abolizione della proprietà privata”, nonché una “visione del mondo eroico-aristocratica” in grado di elevare gli elementi migliori “ai vertici dell’ordine piramidale ierocratico, formando così un’aristocrazia politica”, è ragionevole pensare che la formula “nazi-mao” sia infine stata creata per distinguere una improbabile “terza posizione” da una destra desiderosa di staccarsi dal logorante movimentismo.

La posta in gioco nello scontro tra ideologie emerge del resto da un semplice confronto tra il “manifesto” di Freda appena sintetizzato e una polemica “autodifesa” del dirigente missino Giulio Caradonna (1927–2009) risalente ai tempi della discesa di Berlusconi in campo (cfr. Corriere della Sera, 20 febbraio 1994):

«Sono stato io uno dei primi missini a difendere Israele… Sono andato a Tel Aviv per rendere omaggio al tempio dell’Olocausto. E per primo, nel ’74, ho difeso la libertà economica e proposto una serie di privatizzazioni. Ma ora che si accettano le mie idee, vengo estromesso dalle liste… È stato Rauti a pretendere che io fossi escluso: al posto mio ha fatto candidare il genero Giovanni Alemanno, quello che andava in giro con la kefiah e che tentò di aggredire il presidente Bush in visita a Roma… Io mi dissociai pubblicamente dall’atteggiamento del partito, che era tornato ad essere antiamericano e antisemita… Le sezioni del Fronte della gioventù sono piene di nazi-maoisti… Berlusconi non si rende conto di quali alleati si è scelto».

Questa tensione produsse duri contrasti non solo tra destra istituzionale e movimentista, ma anche nell’ambito dell’estrema. Secondo il controverso fondatore di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie (1936–2019):

«Per molto tempo siamo stati confusi con i nazimaoisti, con i quali invece non abbiamo avuto mai nulla da spartire. “Lotta di Popolo” aveva assunto un’immagine nazimaoista che noi non riuscivamo a comprendere […] Era un discorso molto emozionale, basta su suggestioni estetiche, non certo su una analisi delle ideologie e dei contenuti politici. […] Anche gli accostamenti tra noi e Freda sono sbagliati. Noi non abbiamo mai avuto nulla a che spartire né con lui né con le sue tesi» (cfr. N. Rao, La fiamma e la celtica, Milano, 2006, pp. 145-146).

Nonostante Freda abbia altresì sostenuto che Julius Evola fosse inizialmente d’accordo con la sua lettura nazi-maoista di Cavalcare la tigre, il barone nero aveva invece respinto in tempi non sospetti qualsiasi valutazione positiva del totalitarismo comunista. Infatti in pieno ’68 scrisse un articolo per “Il Borghese” (L’infatuazione Maoista, 18 luglio 1968) nel quale identificava l’ideologia cinese con un collettivismo giacobino “quasi da orda”, da contrastare con ogni mezzo, anche con «la nostra “guerra giusta”, che è quella ad oltranza contro la sovversione mondiale».

Il pezzo, oltre a dimostrare da parte di Evola una conoscenza approfondita -probabilmente dovuta a “fonti di prima mano”- dei punti fondamentali da cui muoverà la teorizzazione del nazi-maoismo (la rivoluzione culturale “positivamente nichilista”, l’antropocentrismo socialista contro la tecnocrazia sovietica e americana; l’antitesi tra campagna e città), conferma l’avventatezza di chi vorrebbe fare di tale pensatore un padrino del “sessantotto nero”, una sorta di Marcuse della destra. Le sue conclusioni sono al contrario dettate dal realismo politico più elementare: «Forse che Mao non tende ad industrializzare il suo Paese fino ad assicurarsi la bomba atomica e ad immagazzinare tutti i mezzi necessari per aiutare la sua “guerra giusta” nel mondo?».

Per concludere questo breve sommario, riportiamo un testo che riassume i tratti salienti di tale ideologia, nonché indirettamente il clima di un’epoca). È un libretto pubblicato dalle edizioni All’insegna del Veltro, Maoismo e Tradizione (1973, scritto in forma anonima da Claudio Mutti). Il quaderno riassume in sette punti le corrispondenze tra il sapere “tradizionale” (in senso evoliano, ovviamente) e le citazioni di Mao Tse-tung:

1) Derivazione taoista della teoria delle contraddizioni: «“La legge della contraddizione inerente alle cose, cioè la legge dell’unità degli opposti, è la legge fondamentale della natura e della società, e quindi anche del pensiero”. Mao ammette dunque, con Marx, che la contraddizione è il motore universale di ogni sviluppo. Ma il pensiero di Mao si diversifica da quello di Marx, nel momento in cui esso, ponendosi sulla scia della tradizione taoista, sottolinea il carattere complementare dei contrari: “Senza alto non c’è basso, senza basso non c’è alto”»

2) Aspetto solare del nuovo ordine maoista: «La caratteristica solare che così insistentemente viene attribuita al ruolo di Mao Tse-tung induce a pensare che il maoismo sia l’apparizione contemporanea della tradizione imperiale cinese».

3) Volontarismo: «Il maoismo ci dà una reinterpretazione delle forze agenti nella storia. Mao riafferma l’importanza delle idee nello sviluppo storico […]. Abbiamo in ciò l’immagine di un idealismo volontaristico, da cui rimane escluso ogni storicismo deterministico di marca laica o marxista. Il maoismo rimette l’uomo al suo giusto posto: soggetto della storia, non oggetto di una Storia superstiziosamente divinizzata».

4) Contadinato: «La concezione contadina di Mao e di Lin Piao conosce […] la contrapposizione fra il borghese, il “nuovo nomade” […] e l’antidemocratica figura del contadino, “principio e scaturigine inesauribile del sangue che nelle città crea la storia mondiale” (O. Spengler). […] A questa teoria della creazione di basi rivoluzionarie nelle zone rurali e sull’accerchiamento delle città dalle campagne Lin Piao attribuisce un valore universale […]. In questa “distanza aristocratica e lotta esistenziale contro il borghese di città” (F.G. Freda) risiede l’opposizione fra civiltà basata sulla fedeltà alla terra degli avi e civilizzazione cosmopolita, fra senso della razza e imbastardimento democratico».

5) Guerra: «“La guerra tempra i popoli e permette di accelerare la marcia della storia”. Questa frase di Lin Piao [riassume] l’etica spartana instaurata in Cina dal maoismo […]. L’eroismo rivoluzionario occupa un capitolo a sé nel Libretto Rosso: in esso vengono esaltate le virtù guerriere, il coraggio, il sacrificio, lo spirito di lotta […]. Il maoismo tributa dunque un preciso riconoscimento ai valori eroici e contrappone al pacifismo una concezione guerriera della vita […]. Di fronte alla civiltà del mercante che “esalta solo le ‘virtù civiche’ e identifica lo standard dei valori col benessere materiale, con la prosperità economica, con la vita sicura e conformistica” (J. Evola), il maoismo propone come alternativa un tipo di civiltà in cui ci sia posto per il guerriero e per l’eroe. Non bisogna però credere che il maoismo […] indulga a prevaricazioni di tipo militaristico. Mao afferma categoricamente: “Il nostro principio è che il partita comanda il fucile; è assolutamente inammissibile che il fucile comandi il partito”. L’elemento militare e, in genere, guerriero, rientra nella sfera dei mezzi, non in quella dei fini: nell’ordine maoista esso è dunque subordinato al principio politico, così come nello Stato platonico l’elemento volitivo e la casta guerriera sono subordinati all’elemento intellettivo e alla élite dei sapienti-iniziati».

6) Arte: «Contro le mistificanti teorie borghesi sull’arte, Mao afferma che “non esiste, in realtà, un’arte per l’arte, un’arte al di sopra delle classi, un’arte che si sviluppi al di fuori della politica o indipendentemente da essa”; perciò in Cina l’arte deve essere arte popolare. Platonicamente, Mao bandisce dunque ogni sorta di arte “libera” e fornisce, nel contempo, modelli nobilissimi di poesia tradizionale».

7) Medicina: «Anche nel campo della medicina, il maoismo presenta un’alternativa tradizionale alla pseudoscienza venuta a predominare col mondo moderno. La agopuntura fu praticata in Cina fin da tempi antichissimi, finché l’Occidente capitalista non tentò di sradicare questa pratica che contraddiceva i dogmi del “progresso” […]. La ripresa della scienza tradizionale propiziata dal maoismo pone dunque condizioni favorevoli alla realizzazione dell’aspetto iniziatico insito nelle arti e nelle professioni. Nel caso della medicina, l’agopuntura rivendicata dalla Rivoluzione maoista getta le basi ai fini della realizzazione del detto tradizionale: Cura te ipsum».

Anche senza il fatidico “senno di poi”, già all’epoca serviva parecchia fantasia per pensare che un programma del genere avrebbe potuto “sfondare”; tuttavia è utile guardare dalla nostra prospettiva a certi “laboratori” politici, poiché l’ascesa del Celeste Impero sta generando un qualche fermento anche a “destra” e sarà interessante osservare se prima o poi qualche sua componente non si sentirà invogliata a rispolverare il nazi-mao per esigenze geopolitiche.

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