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Negli Stati Uniti voglio vaccinare anche le “persone incinte”

Negli Stati Uniti è iniziata la propaganda per invitare al vaccino anche le donne incinte, ma nel clima di politicamente corretto ispirato dalla nuova amministrazione ora le autorità sanitarie e i media si astengono dall’usare l’espressione “donne”, preferendo riferirsi inclusivamente a “individui incinti” [pregnant individuals].

La questione ha naturalmente diviso i campi politici, tuttavia anche volendo accettare il linguisticamente corretto ci si domanda se sia davvero necessario sottoporre a un farmaco sperimentale anche gli “individui incinti”, considerando, giusto per dire, che persino i famigerati fact-checkers ammettono l’esistenza di numerosi casi di aborti spontanei in seguito all’assunzione del vaccino.

Il New Yorker lo presenta come un “dilemma”, ammettendo che assumere un vaccino in gravidanza è come giocare alla roulette russa. Riporta le testimonianze di una quarantenne che sta cercando disperatamente di avere un figlio tramite fecondazione assistita: “Sono costretta a fare una scelta impossibile: fare un vaccino che non è stato testato su donne incinta e rischiare di danneggiare una potenziale gravidanza, o rifiutare il vaccino e la protezione che offre?” (The coronavirus vaccine presents a dilemma for pregnant women, 1 febbraio 2021).

“Le persone in gravidanza (sic), che allattano o vogliono rimanere incinte, devono fare i conti con la mancanza di dati sugli effetti di questi vaccini su loro, sul feto in via di sviluppo o su un bambino che viene allattato. Sebbene le donne in età riproduttiva rappresentino una quota sostanziale della forza lavoro sanitaria americana, i protocolli per gli studi sul vaccino contro il coronavirus escludono specificamente le donne in gravidanza e in allattamento, anzi talvolta esigono che le donne partecipanti utilizzino contraccettivi”.

La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha dissuaso dalla vaccinazione delle donne incinte, a meno che vi sia un alto rischio in seguito all’esposizione al virus (presenza di comorbidità, ad esempio).

Fino a gennaio 2019, le norme che regolavano la ricerca medica su soggetti umani menzionavano esplicitamente le donne incinte come “popolazione vulnerabile”, insieme a bambini, carcerati e disabili. L’etichetta di “vulnerabilità” per le donne incinte è stata rimossa (le altre rimangono) su raccomandazione di una task force istituita dal 21st Century Cures Act, firmata dal presidente Barack Obama durante gli ultimi giorni della sua amministrazione. La mossa riflette il passaggio dalla “protezione dalla ricerca” alla “protezione attraverso la ricerca”, secondo l’opinione di esperti di bioetica e attivisti che si sono battuti per una maggiore inclusione delle donne incinte negli studi clinici.

“Tuttavia per le aziende farmaceutiche la ricerca sull’effetto di farmaci o vaccini sulle persone incinte (sic) presenta molti rischi e pone potenziali problemi di responsabilità; inoltre, sebbene circa la metà della popolazione possa rimanere incinta, queste persone probabilmente trascorreranno solo pochi anni della loro vita in stato di gravidanza o allattamento. La riluttanza a includere le donne incinte negli studi di ricerca clinica indica un conflitto più profondo su come la comunità medica affronta la relazione unica tra una donna e il feto e su come si pesano i rischi e i benefici per entrambi nel corso della ricerca”.

A cavallo degli anni Sessanta, il disastro del talidomide, il sedativo prescritto alle donne incinte in Europa, Australia e Canada per curare la nausea mattutina e che ha causato gravi deformazioni alla nascita in decine di migliaia di bambini, ha posto ulteriore distanza tra le “persone incinte” e la ricerca.

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