Da qualche anno (o decennio) a questa parte la Nevicata dell’85 viene celebrata, con toni tanto enfatici quanto imbarazzanti, come un evento che avrebbe in qualche modo cambiato i destini d’Italia e dell’universo intero. Per fare l’esempio più recente, la rivista de Il Mulino (che pure dovrebbe mantenere un qualche contegno), parla di “storica pagina” (della meteorologia), “quasi come una leggenda, un racconto fantastico che narra di un mondo che non esiste più”, “giorni straordinari”.
Ricapitoliamo i fatti: nel gennaio del 1985 in alcune parti dell’Italia centro-settentrionale ha nevicato per qualche giorno. Non penso ci sia altro da aggiungere. Al contrario, c’è forse anche troppo da dire su tutto quello che gira attorno all’evento meteorologico. Liquidiamo immediatamente la questione “macropolitica” (se così si può chiamare) del cambiamento climatico: la rivista de “Il Mulino” fa la solita propaganda, dimenticando di aggiungere che all’epoca la scienzah parlava di “nuova era glaciale” e di “raffreddamento globale” da una ventina d’anni.
Più precisamente almeno a partire da 1963, quando la comunità degli scienziologi assistendo a una gelata del Lago di Costanza si convinse dell’imminente avvento di una New Ice Age e tra le proposte avanzate per contrastarla snocciolò quelle di sparare polvere di metallo nell’atmosfera, lanciare nello spazio specchi enormi da usare come “surrogati” del sole oppure -geniale!- aumentare le emissioni di CO2 per acuire l’effetto serra. Oggi il 99,9% degli scienzisti crede invece si debba ridurre le emissioni tramite l’istituzione di una “tessera del buon cittadino” e la promozione dell’omosessualità e del transessualismo tra le masse, ma lasciamo correre.
Veniamo al problema principale, metapolitico (se così si può chiamare): i boomer. La loro insistenza a snocciolare aneddoti assolutamente insignificanti sotto qualsiasi punto di vista (personale, storico, morale, esistenziale) ha portato la Nevicata dell’85 a diventare protagonista memetico dello scontro generazionale in atto che le “agenzie culturali” non riescono a comprendere nemmeno nei classici toni turgeneviani, ma sono comunque intenzionate a strumentalizzare allo scopo di portare avanti istanze che nulla hanno a che fare con esso (come il transessualismo di cui sopra).
Per non ridurre però un tema così complesso, che intreccia infiniti punti, bisognerebbero provare a dare una spiegazione, al di là dei meme, sul perché la cosiddetta generazione del baby boom sia quasi compulsivamente portata a esprimersi attraverso l’irrilevanza persino da una prospettiva puramente evenemenziale. Il primo fattore a mio parere riguarda senza dubbio l’imposizione di una forma mentis da “fine della storia” che ha obbligato le generazioni del dopoguerra a rifuggere in maniera pressoché sistematica ogni narrazione che potesse in qualche modo conferire un significato a quanto accaduto nell’ultimo conflitto mondiale (per esempio, ricordando agli italiani di appartenere a una nazione sconfitta).
Ecco perché anche episodi della storia recente, che potrebbero superare gli angusti confini della cronaca, vengono comunque declinati in senso grettamente autobiografico e/o individualistico (come qualsiasi ricapitolazione del rapimento di Aldo Moro, che parte dal “cosa facevo quel giorno” e giunge a formulare ipotesi tratte sempre dalle proprie esperienze personali persino in veste di “storici dilettanti”).
La convinzione di appartenere a una generazione che ha visto la “fine della storia” (anche quando essa è andata avanti lasciandola indietro) ha poi inevitabilmente generato quel sentimento di superiorità nei confronti di tutte le altre, che a sua volta ha condotto i nati dopo il boom (ma anche quelli nati prima) a considerare i boomer degli “eterni ragazzi”, immaturi ed edonisti, incapaci di comprendere che non in solo pane vivit homo e che l’esistenza non si può ridurre agli aneddoti sui gettoni del telefono o su qualche canzone anglo-americana degli anni ’70-’80.
Tutto ciò si riflette nella desolazione delle ricostruzioni della Nevicata offerte dai boomeroni, sia sui social che irl: solitamente sono storie così disarmanti, privi di qualsiasi colore e originalità (e quando lo sono risultano forse ancor più irritanti), che si fa fatica a restare seri al loro cospetto. Certo, si potrebbe anche chiamare in causa la “sostanza” dell’evento, che è pressocché insignificante pure per climatologi e meteorologi, però è innegabile che un minimo di senso lo si possa attribuire persino agli accadimenti più irrilevanti. Voglio dire, quando nella prima metà del XII secolo il Danubio andò in secca tanto che le persone poterono attraversarlo a piedi, le autorità colsero l’occasione per costruire lo Steinerne Brücke, il Ponte di Pietra, che ha obiettivamente influito sugli eventi degli ultimi nove secoli non solo dalla prospettiva ingegneristica. Non è più interessante questa storia che non “Ho trovato una cinquecento lire sotto il gatto del vicino morto di freddo”?
Forse per comprendere meglio cosa intendo bisogna risalire a meno addietro. Prendiamo allora le gelate della laguna veneziana, fenomeno che si è verificato in modo sparuto ma regolare nel corso degli ultimi secoli: per dire, nell’inverno del 1491 la Serenissima ne approfittò per organizzare un torneo cavalleresco, mentre tra il XVII e il XVIII secolo la presenza del ghiaccio fu sfruttata per trasportare merci pesanti. Nello scorso secolo la gelata è avvenuta nel 1929 e nel 1956 ma i racconti di chi ha potuto assistervi hanno decisamente un gusto meno aspro e sgradevole di quelli dei boomer, e non solo per la distanza temporale: in essi si sente la miseria del passato e la gloria del futuro, non l’asfissiante cappa dell’eterno presente di chi ha voluto porsi al di fuori della storia.
Ad ogni modo, per concludere in bellezza questa sequela di cattiverie gratuite da parte di un cazzone che ha rischiato quasi di non nascere per la mitica Nevicata dell’85 (me lo sentivo spesso rinfacciare da mamma e papà), forse la tesi più perfida che potrei avanzare è che tutte le misure adottate nei confronti della pandemia di covid intrattengono un qualche rapporto con l’allarmismo da “fine della storia” che contraddistinse la reazione alla Nevicata. Propongo qui di seguito una breve rassegna stampa dell’epoca per dare l’idea dei toni utilizzati per descrivere un evento sicuramente inconsueto, ma che ha segnato la storia del XX secolo in maniera infinitamente minore rispetto a due guerre mondiali perse e due scudetti del Napoli. Per il resto, OK Zoomer.
Martedì 8 Gennaio 1985
- Repubblica: «L’intera azienda si è mobilitata per un allarme rosso di proporzioni inconsuete, sparpagliando in giro per la città le oltre 150 squadre».
- l’Unità: «Le prime avvisaglie sono arrivate all’Aem domenica nel primo pomeriggio, quando le cinque linee a disposizione delle chiamate hanno cominciato a intasarsi».
Mercoledì 9 gennaio 1985
- l’Unità: «Tutto il personale Aem, non solo quello del settore gas, che può essere momentaneamente distolto dal proprio lavoro, è concentrato per far fronte all’emergenza».
- Repubblica: «Tutto è in emergenza. Ovunque si tengono vertici e si studiano strategie. A fronteggiare l’avanzata del nemico sono state mandate sul campo le truppe dell’Aem».
- La Notte: «La volante è composta di due tecnici che in coppia formano una squadra: per un totale di 160 squadre. Altri 110 commandos antigelo sono stati messi di rinforzo».
Giovedì 10 gennaio 1985
- il Giornale: «L’Aem richiamerà “alle armi” per alcuni giorni le ultime due classi di pensionati. In tutto i tecnici impiegati sono ora 460. Con i pensionati si arriverà a 540 circa».
- l’Unità: «L’Aem sta facendo fronte all’emergenza con una mobilitazione che ha investito tutti i settori aziendali, elettricità compreso. Le quasi 200 squadre che operano all’esterno per scongelare le tubature sono in buona parte squadre miste: l’operaio del gas, esperto nel lavoro da fare, è coadiuvato da operai dell’elettricità».
Venerdì 11 gennaio 1985
- Il Giorno: «Alla morsa di gelo che attanaglia la città, l’Azienda energetica municipale risponde con una mobilitazione che non trova precedente nei suoi 75 anni di attività. Il piano di emergenza, se c’era bisogno di sottolinearlo, ha trovato una prontissima risposta di tutti i dipendenti Aem».
- Repubblica: «L’emergenza antigelo si è infine arricchita di una nota quasi deamicisiana: l’Aem ha richiamato in servizio i pensionati; canuti tecnici specializzati strappati alla briscola o alla Gazzetta dello Sport. Sono quelli che affrontano con maggiore serenità l’incombenza dell’ora difficile, ché di ore solenni e assai più che memorabili ne hanno già passate, dal Quaranta in poi».
Sabato 12 gennaio 1985
- Repubblica: «I tecnici dell’Aem, sotto pressione da una settimana, ora sono col fiato sospeso: domani, seconda domenica di gennaio e tradizionale giornata da record dei consumi energetici, la rete del gas potrebbe essere sottoposta a una richiesta eccezionale, insopportabile. Per fronteggiare il freddo si è messa in piedi una organizzazione quasi militare. In campo, sulle strade, le truppe dei gasisti, a squadre di due o tre persone. Nelle retrovie, un centralino allestito nella palazzina bassa dell’Officina Orobia».
Domenica 13 gennaio 1985
- Repubblica: «Siamo al D-Day del gelo, la giornata più temuta dall’Aem (che da dieci giorni è impegnata ad assicurare la normale erogazione del gas). Se i milanesi non seguiranno i consigli dei tecnici comunali, stamattina potrebbe verificarsi il black-out del servizio del gas».
- l’Unità: «All’Azienda municipalizzata si confida nel senso di responsabilità, nella collaborazione della gente, peraltro ampiamente manifestata in questa durissima settimana».
Lunedì 14 gennaio 1985
- Il Giorno: «Dall’appello è anche scaturito un nuovo dialogo fra cittadini e Aem: finalmente i primi sentivano la “voce” del gran carrozzone, ed era una voce che annunciava interventi e preziosi arrivi di stufette e fornelli sostitutivi, che si mostrava preoccupata, ma nello stesso tempo rassicurava e chiedeva collaborazione».
- il Giornale: «Ieri è stata una giornata alla Hitchcock. La disponibilità di gas era di 818.000 metri cubi, a mezzogiorno. Sarebbero bastati? La suspense è durata qualche ora, poi c’è stato il lieto fine: i consumi si sono fermati a 760.000 metri cubi».
- Corriere della Sera: «Nel pomeriggio le squadre hanno potuto di nuovo dedicarsi all’opera di scongelamento delle tubature, anche se si è registrata una caduta delle telefonate da parte dei cittadini, pari al 50%. Ciò è dovuto in parte alla comprensione che i milanesi hanno avuto nei confronti dell’azienda che ha prodotto il massimo sforzo in una situazione che a memoria d’uomo non ha riscontri nel passato».
In effetti coi padri (lato sensu) che abbiamo è strano che un flagiello una traggedia un laco di sancue come la grande pandemia globale non ci abbia colpiti prima… Tuttavia non è umano legare nella memoria i propri fatterelli ai grandi eventi vissuti, seppure come spettatori?