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Non esiste alcun “terrorismo misogino”

Dato che me lo avete chiesto, rispondo a un articolo di Guido Olimpio apparso oggi sul Corriere (o ieri, tanto lo compro): Alek e gli altri “celibi involontari”: i killer che colpiscono in nome della misoginia estrema. È l’ultima volta che mi presto perché la stampa mainstream va boicottata punto e basta: ormai le uniche cose che gli restano da dire, da Damasco ad Atene e da Washington a Bruxelles, sono soltanto menzogne.

Ad ogni modo, non è la prima volta che costui tratta il tema: Olimpio si considera una sorta di “esperto” della manosphere, di quella “esperienza” che si misura perlopiù dal numero di articoli adocchiati sulla stampa americana (se diventano più di un paio, rappresentano il corrispettivo di un “Master a Chicago”, non so se ci capiamo). Circa un anno fa avevo già smentito alcune sue affermazioni, dunque non ci sarebbe nemmeno bisogno di commentare l’ennesimo articolo-fotocopia, se non fosse che repetita iuvant.

Ricominciamo allora da qualche dato di fatto: nessuno degli assassini nominati ha mai fatto parte di una comunità “incel”; il messaggio lasciato su Facebook da Alek Minassian, l’attentatore canadese di origine armena che con un camion a Toronto ha fatto dieci morti, è quasi certamente una “trollata” perché non ne è mai stata confermata la “paternità” (e Olimpio lo sa, tanto che a metà pezzo non può fare a meno di aggiungere che le dichiarazioni della cui autenticità è assolutamente convinto “devono essere verificate” [*]); Elliot Rodger aveva seri problemi mentali, non ha mai frequentato -come dicevamo- le comunità incel online (nonostante abbia lasciato qualche messaggio su altri forum maschili, dove veniva regolarmente preso in giro) ed è diventato un “simbolo” (ritratto come un santo oppure in pose da modello) esclusivamente per provocazione verso i giornalisti, la cui doppia morale in questi casi è talmente sfacciata da risultare incommentabile (se solo questo Rodger fosse stato di lontana origine araba o pakistana, quanto inchiostro si sarebbero risparmiati!).

Paradossalmente, l’unico attentatore che potrebbe essere definito a tutti gli effetti “incel” (nonostante, ripetiamo ancora, non abbia mai lasciato un solo messaggio nei forum online di tale comunità) è Scott Paul Beierle, uno dei quattro che compare nella foto a corredo del pezzo ma del quale Olimpio dimentica persino di fare il nome. Noi invece ne abbiamo parlato, perché il Washington Post pochi mesi fa gli ha dedicato un imbarazzante e inutile “approfondimento”: se l’articolista fosse stato mosso da qualcosa di più che non la pura e semplice sciatteria, avrebbe potuto appigliarsi almeno a questo. Invece, il nulla come al solito.

Senza tirarla troppo in lungo, sono piuttosto scontati gli obiettivi a cui mirano certi pezzi-fotocopia: condannare la violenza patriarcale, esaltare lo status di vittime perenni delle donne, nascondere il palese fallimento della rivoluzione sessuale, trovare un capro espiatorio per le fatidiche “contraddizioni del sistema” eccetera. Peraltro il “Corriere” è uno di quei giornaloni che, nonostante si “ispirino” (per usare un eufemismo) continuamente alla stampa britannica e americana, rifiutano sistematicamente di riportare notizie che potrebbero mettere in cattiva luce anche una sola donna al mondo. Se questo misero blog riesce a fare quasi duemila visite uniche al giorno è anche perché traduce quegli articoli della stampa mainstream anglofona (Telegraph, Guardian, Daily Mail, Washington Post, Wall Street Journal, New York Times) che il mainstream italiano “stranamente” tralascia.

Il “terrorismo incel”, per concludere, semplicemente non esiste, anche se la stampa sta cercando di creare tale categoria per fini opachi (come opachi sono i mandanti di tali operazioni psicologiche): un proposito intuibile potrebbe esser quello di addossare al “maschio solo” anche la responsabilità dello stragismo islamico, come dimostra l’utilizzo sbarazzino del termine per etichettare perfino i militanti dell’Isis.

(“Guardian”, 12 maggio 2018)

Ipotizzando tuttavia per assurdo che i giornali un giorno decidessero di affrontare la questione in modo serio, credo che dovrebbero fare un minimo sforzo intellettuale per risalire dai sintomi alle cause. La mentalità americana c’entra molto in tutto questo, è inutile negarlo: il “farsi giustizia da soli” a metà strada tra il Far West e l’Antico Testamento, un approccio perennemente “immediato” (si intende non-mediato) a qualsiasi questione, e poi le armi, gli psicofarmaci e la competitività estrema. Platitudes, banalità, direbbero loro, ma sempre meglio che parlare di un inesistente “suprematismo maschile“, le cui uniche testimonianze finora rintracciate sui forum incel possono forse ridursi a qualcosa del genere: appiccicare di nascosto una gomma da masticare tra i capelli di una ragazza. Sì, per certi versi questo è il vero terrorismo incel.

[*] Aggiornamento: manco a farlo apposta, non appena ho pubblicato questo post sulla stampa americana è comparso il video dell’interrogatorio a cui venne sottoposto Alek Minassian immediatamente dopo l’attentato. I riferimenti dell’assassino al lessico incel, ai meme e a 4chan confermano la sua frequentazione di qualche comunità online, anche se la “rivendicazione” accreditata da Olimpio non trova comunque riscontro nelle sue dichiarazione. Ciò non toglie che possa a tutti gli effetti essere considerato un “terrorista incel”, nella stessa misura in cui un “lupo solitario” di religione musulmana può essere considerato un “terrorista islamico”. L’utilizzo di un certo gergo internettiano e le allusioni evanescenti a quel tipo di sottocultura (Pepe the Frog come “mascotte di 4chan”…) sono in ogni caso indice di un qualche disordine mentale, per dirla in modo eufemistico. Nello slang a cui vorrebbe rifarsi Minassian si parlerebbe di cringe: venti minuti di cringe ininterrotto che obiettivamente sembrano avere più a che fare con il terrorismo “nichilista” à la Nečaev (nonché con evidenti disturbi psicologici) che con dei maschi che si lamentano per i loro insuccessi sentimentali. Persino quella stampa propensa a dar credito all’esistenza di un “terrorismo incel” con questo caso ci va coi piedi di piombo, dimostrandosi scettica all’idea che si possa identificare una ideologia da “celibe volontario” paragonabile a quella dell’Isis o dei gruppi paramilitari di estrema destra. Da tale prospettiva, anche per le ragioni che suggerivamo più sopra, tentare di mettere assieme tutto ciò in una dottrina coerente a scopo polemico potrebbe da un lato favorire paradossalmente la nascita di un “catechismo incel” e dall’altro togliere autorevolezza alle battaglie “femministe” nella misura in cui le si combatterebbe in maniera subdola e indiretta (confinando ad esempio in un girone unico i “celibi involontari” assieme a padri divorziati, mematori, “cuori solitari”, cattolici tradizionalisti, intellettuali conservatori e utenti di forum politicamente scorretti). Peraltro osserviamo -per quel che può valere- che questo tizio non è mai diventato una icona del “movimento” incel né la sua immagine è mai stata usata a scopo memetico o per puro e semplice épater le bourgeois. Il suo rapporto con le comunità di “maschi solitari” sembra alla fine lo stesso che uno come Brenton Tarrant (lo stragista australiano), mutatis mutandis, avrebbe potuto intrattenere con quel tipo di islamofobia mainstream che piace ai grandi giornali (Corriere in testa): non per questo sarebbe consentito parlare di “terrorismo neocon” o addirittura “fallaciano”. In conclusione, il problema rimane sempre quello dell’accusa collettiva: utilizzarla esclusivamente contro chi si percepisce come “nemico” è una strategia pericolosa che alla lunga tende a legittimare tale forma mentis nei confronti di chi invece è percepito come “amico”. Ovviamente queste non sono che parole al vento e nulla impedirà all’Olimpio di turno di tornare subito alla carica non appena qualche altro giornale americano pubblicherà il pezzo anti-incel. Per il momento ci accontentiamo solo di un simulacro di libertà d’opinione: una volta condannata qualsiasi forma di violenza, sarà almeno consentito poter discutere del fatto che le donne ci schifano comunque, oppure anche solo parlarne verrà automaticamente considerata una forma di terrorismo? Alla luce della furia censoria fomentata dalla grande stampa, la domanda risulta tutt’altro che provocatoria.

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