Site icon totalitarismo.blog

Obama (2008-2016)

«[Obama] è uno di noi. Il leader di un grande movimento politico e civile che è il pensiero democratico»
(Walter Veltroni, Sì, Barack è uno dei nostri, “Repubblica”, 6 novembre 2008)

«La vittoria di Obama è la sconfitta della cultura del nostro premier [S.B.] che appartiene a un’altra epoca e finirà con la presidenza Bush»
(Massimo D’Alema, “Repubblica”, 6 novembre 2008)

«La netta vittoria di Obama è una splendida notizia che sigla la fine di un lungo e cupo ciclo politico negli Usa, nel mondo e anche qui in Italia. Ora sono finiti davvero sia il liberismo economico sia il reaganismo»
(Franco Giordano, “Repubblica”, 6 novembre 2008)

«I miei leader oggi sono tre: il presidente brasiliano Lula, quello boliviano Morales e Barack Obama»
(Piero Sansonetti, “Il Foglio”, 8 novembre 2008)

«[Obama] si definisce post partisan. Oltre le parti, oltre la destra, oltre la sinistra. Non basato sul passato, proiettato verso il futuro. Ed è giusto così. Non si può entrare nel XXI secolo con le categorie del XX secolo»
(Giulio Tremonti, Un uomo che supera destra e sinistra, “Corriere”, 9 novembre 2008)

«Con la vittoria di Barack Obama, nei rapporti tra Usa e Italia non cambia nulla. Abbiamo lavorato benissimo con Clinton, benissimo con Bush, lavoreremo benissimo con Obama»
(Silvio Berlusconi, intervista a Giornale Radio Rai, 6 novembre 2008)

«La vittoria di Obama apre una nuova era per il dialogo nelle relazioni internazionali e darà un nuovo impulso al multilateralismo economico e politico»
(Luis Rodriguez Zapatero, 6 novembre 2008)

«Obama came and said we will not fight Muslims and Islam. He is a sympathetic man, and says the United States will not fight Islam because Islam is a heavenly religion […] Obama wants to solve the issue (of the Palestinian-Israeli conflict) and wants to do something, but we must help him on how to solve it, and the Israelis must help him»
(Hosni Mubarak, 11 giugno 2009)

Obama, sinceramente, non l’ho mai capito. O, per meglio dire, comprendo perfettamente che un Presidente americano non possa prendere decisioni senza obbedire ai mandati di un numero abnorme di piccole e grandi oligarchie, ma la scaltrezza sta nel mascherare la volontà altrui come espressione della propria. Al contrario il “Primo Presidente Nero” ha preferito dare al mondo l’idea di trovarsi totalmente in balia degli eventi, sempre indeciso sul da farsi, perennemente in contraddizione sia con i propri ideali che con quelli del popolo americano.

Lo storico Akira Iriye, nell’ennesima Storia del mondo prodotta in ambito anglofono (tradotta da Einaudi a cominciare dall’ultimo volume), ha sostenuto che, allo stato dell’arte, «nessuno incarna meglio di Barack Obama le tendenze nonché le speranze transnazionali dell’umanità».

A dir la verità anche come anticristo soloveviano Obama ha fatto sempre un po’ pena: gli italiani se ne sono accorti quando quello presentato dai mass media come una sorta di “re filosofo” aggirandosi per il Colosseo ha esclamato come un coatto qualsiasi: «Perbacco, è più grande di uno stadio di baseball!».

Dal punto di vista culturale, infatti, Obama non esiste: a parte un’infarinatura da educando radical, non è pervenuto altro. A inizio del primo mandato qualcuno ha tentato di farne l’ultimo rappresentante del gioachimismo, affibbiandogli giudizi entusiastici sulla teologia dell’Abate da Fiore. Molti giornali italiani riportarono infatti la notizia che Obama avrebbe indicato Gioacchino come uno dei suoi “ispiratori” (vedi per esempio l’“Adnkronos”). Sembra che in realtà si trattasse di una fake news ante litteram, perché le cose andarono in maniera più prosaica. Come mi confermò ai tempi un rappresentante del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti (nella lettera che pubblico qui di seguito), uno dei loro collaboratori aveva fatto pervenire allo staff del presidente un dvd di un documentario dedicato a Gioacchino:

«Non siamo riusciti a sapere esattamente quando e dove Obama ha citato Gioacchino da Fiore. La cosa certa, che hanno riportato alcune agenzie americane e alcuni studiosi, è che Obama ha effettivamente citato l’Abate nel corso di un suo intervento, nel corso del quale parlava di un tempo nuovo, dell’età dello spirito. Idee che appartengono al pensiero gioachimita. Il Presidente americano ha  citato Gioacchino anche perché al suo staff è giunto il dvd di un documentario dedicato all’Abate. A farglielo avere un giovane medico di San Giovanni in Fiore che lavora e vive a Bologna e che era da sempre  in contatto con alcuni componenti dello staff dell’allora senatore  Obama».

Uno dei motivi per cui questa storia generò, come si dice, un “certo scalpore” (almeno dalle nostre parti), fu che tradizionalmente al gioachimismo (il quale in estrema sintesi annuncia il compimento della “Terza era dello Spirito”, l’età di pace universale che succederà a quella del Padre dell’Antico Testamento e del Figlio del Vangelo), è attribuito anche un lato oscuro, dal momento che tale dottrina presenta il “tempo del compimento” non come libera scelta degli uomini, ma come percorso obbligato, ispirato a una sorta di determinismo teologico o metafisico: l’Era dello Spirito diventa quindi un esito che non si può evitare.

Obama in effetti sembra esser stato, forse involontariamente, l’“esecutore” di talune ansie millenaristiche, contaminate con i classici impulsi apocalittici della “religione americana”,  che a un certo punto hanno portato a minacciare il delicato equilibrio mondiale proprio in nome della pace universale.

Ricordiamo, in primo luogo, l’illusione della guerra pulita, se non a “buon mercato”, da combattere pilotando droni a migliaia di chilometri di distanza, la quale non solo ha innescato nuovi conflitti in Medio Oriente e Africa, ma ha anche permesso la riabilitazione (persino in chiave “romantica”) del concetto di guerra giusta (con l’unica ricaduta positiva della sparizione dei pacifisti dalle strade delle capitali europee).

In secondo luogo, siamo costretti a chiamare in causa anche l’ideologia “arcobaleno” con cui il Nobel per la Pace ha provato a smorzare l’inossidabile machismo yankee, che si è rivelata in definitva un bluff colossale: Obama si è impossessato della “questione omosessuale” in maniera assolutamente strumentale (per giunta al primo mandato aveva esordito dicendo che la famiglia è solo quella tra uomo e donna). In tal modo è riuscito a trasformare un problema di politica interna nell’ideologia fondante di una nuova forma di imperialismo, riportando in auge il vocabolario della Guerra Fredda in versione gay friendly. Ricordiamo tutti con grande imbarazzo le sceneggiate per le Olimpiadi di Sochi, in cui sembrava che l’unico attrito con la Russia riguardasse le abitudini sessuali degli atleti: poi Putin si è preso la Crimea e i mass media sono stati costretti almeno per un istante a parlare di cose serie (una guerra civile ai confini dell’Europa, per dire).

Insomma, questa “Età dello Spirito” non è stata poi così stupefacente come era stato annunciato. Certo, una “dissoluzione” in salsa obamiana ha avuto ricadute positive, come gli accordi con Cuba e Iran, ma anche il tal caso c’è sempre stato un prologo da “Età del Padre” (anzi del patrigno), come dimostrano i tentativi americani di fomentare rivoluzioni colorate in entrambi i Paesi, andati avanti, almeno per quanto riguarda Cuba, fino al 2014 (una storia che tutti hanno voluto dimenticare, quella degli agenti sudamericani inviati sull’isola nelle vesti di assistenti sanitari che usavano la copertura di seminari sulla prevenzione dell’Aids per elargire lezioni di guerriglia urbana ai giovani cubani; cfr. US sent Latin youth undercover in anti-Cuba ploy, “Salon”, 4 agosto 2014).

Sappiamo quanto sia difficile per un americano resistere alla tentazione di mettere in ginocchio l’avversario per negoziare meglio gli accordi. In ogni caso questa è, nel bene e nel male, una delle poche cose per cui verrà ricordato il Primo Presidente Nero (non essendo pervenuti successi in politica interna); tuttavia, anche qualora il mondo si trasformasse per magia in una Repubblica Universale, i libri di storia difficilmente potranno parlare di Obama come “primo presidente transnazionalista”, poiché gli unici momenti in cui non ha agito come un americano sono stati quelli in cui l’incapacità di comandare ha prevalso sulle responsabilità che egli stesso si era assunto.
Sarebbe facile mascherarne gli insuccessi chiamando in causa la “dimensione umana” del Presidente: ma quale ritratto mediocre dell’umanità ne verrebbe fuori! Sarebbero parimenti da evitare tutti i tentativi già in atto di collegare l’evo obamiano al pontificato attuale: i due non si sono nemmeno incontrati a metà strada, come dimostra l’esito deludente del viaggio di Papa Francesco negli Stati Uniti (Obama ha respinto l’appello ad abolire alla pena di morte, per certi versi chiudendo il suo cursus honorum così come aveva cominciato, ovvero con il plauso all’esecuzione di Saddam Hussein ai tempi in cui era ancora un promettente senatore democratico).

Dunque, a posto così: grazie Barack, e a mai più rivederci…
Exit mobile version