L’obsolescenza programmata è una pratica commerciale scorretta

Un lettore mi riferisce che il suo Egofono [*] nelle ultime settimane insiste nel ricordargli che tra qualche mese una particolare applicazione smetterà di funzionare su quel dato dispositivo, invitandolo così implicitamente ad acquistare il modello successivo. Non pago di questa moral suasion, l’aggeggio lo istiga a installare nuovi aggiornamenti che, con la scusa della “sicurezza”, quasi sicuramente gli manderanno in vacca il cellulare costringendolo in ogni caso comprarne un altro.

Mi chiede dunque di scrivere due righe sulla questione. Sia chiaro, io non ne sono nulla e non capisco nemmeno cosa stiano combinando le persone normali alle prese con questi giocattoli: un contro sono i sinistrati turbo-liberisti che hanno fatto della Mela Morsicata un succedaneo dell’icona del Che, ma tutti gli altri hanno davvero così tanto tempo libero da sprecare per godersi le “prestazioni” di un telefono da mille euro?

La cosa che, in quanto appassionato di fotografia, mi demoralizza più di tante altre è la convinzione che la spesa stratosferica per uno di questi egofoni possa essere ammortizzata dalla rinuncia a una macchina fotografica professionale: come se non esistessero ovvi limiti “strutturali” per i quali una fotocamera a livello qualitativo e quantitativo non possa andare oltre i 16 megapixel.

A proposito dei sinistrati di cui sopra, ho sentito da loro le scuse più puerili a giustificazione del possesso di uno di questi egofoni: qualcuno mi ha persino rifilato la vecchia leggenda metropolitana dei “ricchi che buttano cose”, sostenendo di aver trovato un esemplare della nota marca di smartphone nei cassonetti davanti a una villa principesca e di essersi ormai assuefatto alla sua sopraffina qualità da non poter far altro che acquistarne un modello dopo l’altro. Una balla stratosferica, ma che anche fosse vera testimonierebbe comunque la schiavitù ideologica al brand e al design, le uniche vere “qualità” che il prodotto offre.

Ad ogni modo, anche il lettore succube di tali marchingegni da film distopico non può che pagar dazio comprando ulteriore merda. Sembrerà esagerato paragonare il “futuro” alla nota sostanza color marrone (che però cioccolato non è), tuttavia ogni volta che penso all’egofono mi tornano in mente la quantità di schermi infranti adocchiati sui mezzi pubblici, nei ristoranti o al lavoro: la fragilità di tali prodotti è proverbiale (unita all’impossibilità di riparazione, in un’epoca dove i profeti della Mela Mangiata parlano di ecologia, cura, recupero o, nella loro lingua, tiqqun) e perciò ancora mi domando perché le persone normali, quelle che devono uscire di casa per tirare a campare, si ostinino a utilizzare un gadget pensato e realizzato esclusivamente per ignaviae sectatores, sì insomma “fancazzisti”.

Veniamo infine alla richiesta del lettore: che io sappia, l’obsolescenza programmata non è più una virtù almeno da quando l’Antitrust nel 2018 ha sanzionato sia il Tempio della Mela Morsicata che i Direttori Naturali Sudcoreani (rispettivamente con 10 e 5 milioni di euro) per “pratiche commerciali scorrette”. L’accusa è stata proprio quella di aver richiesto insistentemente di installare aggiornamenti software con la consapevolezza che il “vecchio” modello non li avrebbe supportati (essendo appunto stati ideati per i nuovi sistemi operativi), senza informare in alcun modo gli utenti dei problemi che sarebbero potuto insorgere. Insomma, a questa gente state sul cazzo, quindi evitate di regalargli ancora soldi.

[*] Sono quasi sicuro che la paternità di questa formula per indicare il famoso “oggettone dei desideri” sia stata coniata anni prima che Michele Serra la utilizzasse in un suo romanzo, come in effetti dimostrerebbe ad esempio un post della nota pagina Facebook “Feudalesimo & Libertà“. Tuttavia sono convinto che esistano testimonianze ancora più “antiche”: in ogni caso sia messo agli atti che non sto citando Serra!

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