Haaretz: l’omosessualità è alla base dell’ebraismo

Il 7 luglio 1971, Haaretz pubblicò un editoriale (in ebraico) intitolato Israele o Sodoma: la pubblica apologia delle perversioni sessuali è una questione seria. L’autore, Eliezer Livneh (nato Liebenstein), era un ex membro della Knesset dal Mapai (“Partito dei Lavoratori di Eretz Yisrael”, precursore dei laburisti) che divenne uno dei principali ideologi del “Movimento per il Grande Israele” (organizzazione che tra gli anni ’60 e i ’70 sostenne l’espansionismo dello Stato ebraico). Scrisse quell’editoriale in risposta agli appelli per l’abolizione della legge contro la sodomia (che alla fine fu cancellata nel 1988 da Shulamit Aloni, anch’essa politica di lungo corso del Mapai).

Livneh non era ultraortodosso e nemmeno ortodosso, piuttosto un nazionalista ebreo, che tuttavia considerava l’omosessualità come un qualcosa di estraneo al giudaismo, come un’influenza straniera della degenerata cultura occidentale. Nell’editoriale infatti affermava che per secoli gli ebrei della diaspora sono riusciti a preservare le loro comunità dalle “perversioni sessuali”:

«È assurdo aver sofferto per generazioni in cattività, per preservare con rigore, nutrendolo e raffinandolo, il principio eterosessuale, solo per tornare in Terra d’Israele e rinnovare qui l’abominio dei goyim».

In verità, sostiene oggi Haretz, è l’omofobia di Livneh (che molti ebrei convivono ancora) a rappresentare una “influenza straniera”. Per tutto il periodo moderno gli omofobi nazionalisti hanno affermato che l’omosessualità non è altro che un’influenza degenerata straniera sul popolo di Israele. Gli inglesi consideravano l’omosessualità una malattia “bulgara” o “francese”. Da parte loro, i francesi lo consideravano un fenomeno inglese: il primo presidente francese donna, Édith Cresson, in un’occasione affermò che l’omosessualità appartiene alla “tradizione anglosassone” ed è estranea alla cultura latina francese. Anche per Ezer Weizman, settimo Presidente d’Israele dal 1993 al 2000, l’omosessualità era un vizietto diffuso nell’esercito inglese ma non nel Palmach, la sezione paramilitare della Haganah nella Palestina britannica.

In molte nazioni europee gli atti omosessuali vennero definite “turcherie”, mentre pare che a loro volta i turchi definiscano i gay “persiani”. In generale, si ha la percezione che l’omosessualità sia un vizio originario dell’Oriente: ecco perché i nazisti accusarono Magnus Hirschfeld, sessuologo e attivista per i diritti dei gay, di aver “portato il vizio orientale in Germania” (in quanto ebreo). Ai nostri giorni, i sovranisti in Russia e in vari paesi dell’Africa affermano che l’omosessualità è un’influenza occidentale da combattere. Il nazionalismo e lo sciovinismo portano sempre l’odio dell’altro, sia esso ebreo, gay o straniero.

In ogni caso, la storia dimostra che Livneh e i suoi si sbagliavano di grosso. Gli ebrei non hanno custodito gelosamente “il principio eterosessuale”. Le relazioni intime tra uomini esistevano nelle comunità ebraiche e apparentemente erano anche comuni. Lo storico Yaron Ben-Naeh ha dimostrato che, nonostante l’esplicito divieto biblico, nelle comunità ebraiche dell’Impero Ottomano le relazioni omosessuali erano piuttosto comuni, come riportato da decine di fonti. Inoltre, fino all’era moderna, gli uomini adulti che insidiavano giovanetti non godevano di una reputazione negativa nella società ebraica.

Negli ultimi decenni, gli attivisti LGBT non ostili alla religione hanno proposto nuove interpretazioni della legge rabbinica che consentissero alle comunità ebraiche di vivere in pace con le persone LGBT e viceversa. I rabbini liberali americani per esempio osservano che il divieto di rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso non è più rigido del divieto di dissacrare il sabato. Perciò alcuni di loro chiudono un occhio sulle relazioni intime tra maschi e vietano solo la penetrazione completa, che è eufemisticamente chiamata “entrare come il pennello nel tubo” [entering like the brush into the tube].

Nell’ultimo secolo alcuni pensatori ebrei si posero un compito più ambizioso: dimostrare che l’omosessualità è parte integrante della tradizione ebraica. Uno di loro fu Hans-Joachim Schoeps, storico e teologo prussiano, leader della Gioventù ebraica tedesca (organizzazione che coltivava opinioni nazionaliste e reazionarie). Dopo la Seconda guerra mondiale ritornò in Germania da lealista monarchico. Negli anni ’70 divenne pioniere della depenalizzazione dell’omosessualità.

Poiché il divieto della sodomia si basava spesso sul Levitico, Schoeps si impegnò a contestualizzare la proibizione, sostenendo che nell’Israele biblico, come in altre culture semitiche, erano diffusi i prostituti sacri. Secondo lo studioso, tali prostituti “operavano” anche nel Tempio di Gerusalemme, come deduce da Deuteronomio 23,18: «Non vi sarà alcuna donna dedita alla prostituzione sacra tra le figlie d’Israele, né vi sarà alcun uomo dedito alla prostituzione sacra tra i figli d’Israele» (il termine utilizzato è qdush, “sodomita”, la cui forma femminile, qdusha, indica la prostituta sacra).

Solo nel periodo della riforma di Giosia, quando i culti degli dei stranieri furono sradicati, fu proibita la prostituzione sacra maschile. E poiché la pratica era così diffusa, fu necessario trasformarla in abominio. Tuttavia, Schoeps sottolinea che il divieto nel Deuteronomio si riferisce a un culto pagano di questo tipo, non all’atto sessuale in sé.

Una teoria altrettanto controversa è stata sviluppata dal poeta e cabalista Jiří Langer. Nato a Praga e conosciuto per esser stato l’insegnante di ebraico di Franz Kafka, Langer divenne uno studioso alla corte della dinastia di rabbini hassidici Belz, e morì a Tel Aviv nel 1943. Se la sua insolita teoria cabalistica non fosse stata messa ai margini, oggi sarebbe considerato una sorta di messia del vangelo omoerotico tra gli ebrei.

Nel suo libro Eros nella Cabbalà pubblicato nel 1923, Langer sostiene che “l’amore fraterno”, cioè l’amore di un uomo per un uomo, è in realtà il l’impulso più profondo e basilare del giudaismo, alla radice del comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso”. A suo avviso, nel primo giudaismo prevaleva il flusso erotico dell’amore tra uomini, ma nel corso delle generazioni po si impose l'”amore della donna”.

Come Schoeps, Langer concluse che la severa proibizione dei rapporti sessuali tra uomini costituisce la prova che la tendenza verso di essa fosse comune tra gli ebrei; sostenne inoltre che una relazione erotica, che non si attualizza sotto forma di rapporto sessuale, è ciò che unisce gli studenti della yeshiva tra di loro e con i rabbini.

L’ambizione di Langer era quella di risvegliare “l’amore dell’amico”, quell'”alta e sublime emozione umana che si spense nei cuori degli ebrei nel loro esilio amaro e pungente”. Se non fosse morto prima del tempo, sarebbe riuscito a diffondere in Israele l’idea che giudaismo e omosessualità non si escludono a vicenda, ma anzi sono uniti in modo complesso.

Purtroppo, nei decenni successivi alla sua morte, questo messaggio è stato completamente dimenticato. Il movimento di liberazione LGBT è apparso solo negli anni ’70, come movimento laico e liberale in stile americano. Non è necessario accettare le teorie proposte dai Langer o dagli Schoeps, ma i loro tentativi di creare un’omosessualità ebraica sono ora particolarmente preziosi. Di fronte alla violenza omicida che invoca le giustificazioni ebraiche, non c’è motivo di accontentarsi di una semplice tolleranza verso i gay. Si dovrebbe sostenere che la passione omosessuale e la sua realizzazione costituiscono una delle basi dello stesso giudaismo. Dopotutto, Sodoma si trova in Israele

Fonte: Ofri Ilany, Homosexuality Is Part of Jewish Tradition, Haaretz, 5 agosto 2015.

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