Ovunque andiamo noi l’è pien de negher

Da quando Donald Trump ha promulgato l’editto France is no longer France («Un mio amico m’ha detto: “Io in Francia non ci andrei, perché la Francia non è più la Francia”»), si moltiplicano su YouTube video di turisti indignati dalla decadenza e perversione di Edom (oggi “Eurabia”), la terre gaste dove gli euro-marocchini praticano ancora la tratta delle bianche.

Per esempio, questo tizio inglese ricorda sconvolto la sua esperienza durante i giorni della strage di Charlie Hebdo, riportando come episodio più irritante il momento in cui, a un giorno dall’attentato (quindi in una Parigi completamente militarizzata), venne accerchiato da un gruppo di giovani africani che lo costrinsero a pagare venti euro per un braccialetto (è un vecchio trucco molto praticato nelle maggiori città italiane, in particolare Milano). Quest’altro irlandese, confrontando Francia, Danimarca e Polonia, si dice scioccato dalle scene a cui ha dovuto assistere nella Ville Lumière: vecchi arabi che pisciano in mezzo alla strada e giovani africani che bivaccano nelle stazioni; eccetera, eccetera

Tale indignazione, seppure un poco artefatta (e sintomo probabilmente di una syndrome de Paris collettiva), non mi pare però del tutto ingiustificata. Lasciando per un momento da parte la Francia (e anche l’Italia), dobbiamo constatare che i Paesi la cui economia si basa esclusivamente sul turismo, oltre a essere in genere piuttosto omogenei dal punto di vista etnico, religioso e culturale, tendono verso politiche di “tolleranza zero” che spesso comportano numerose violazioni dei diritti umani (pensiamo alle Maldive, a Singapore o alla Thailandia). Questo già basta a smentire l’idea che la trasformazione di una nazione in un “villaggio turistico mondiale” la renderebbe automaticamente più aperta, libera e progressista (o perlomeno ispirerebbe tali sentimenti in chi la visita, secondo il puerile motto che “il razzismo si cura viaggiando”): anzi, spesso è vero il contrario, come dimostra Michel Houellebecq nel suo crudelissimo romanzo Piattaforma (per l’appunto ambientato in Thailandia).

Perciò non è del tutto disprezzabile il fatto che le economie di molti Paesi europei siano ancora varie e articolate, consentendo loro di non doversi ridurre a colossali “villaggi” etnocentrici e dittatoriali. In particolare, se la nostra povera Italia negletta (con la “l”) e sconsolata, assecondando i desideri di certi illuminati tecnocrati, ritornasse fondale da Grand Tour come ai bei tempi dei ducati, delle contee e dei marchesati, è chiaro che non potremmo più permetterci la società “multitutto” di cui andiamo vagheggiando. Sembra infatti che i turisti, specialmente quelli coinvolti nelle feroce dinamiche di massa, ambiscano sopra ogni cosa non solo al pittoresco e al folkloristico, ma anche all’ordine, alla pulizia e ai famigerati “treni in orario”.

Saranno considerazioni ciniche, ma ultimamente ammetto di averle formulate spesso, soprattutto in veste di turista italiano in Italia. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la presenza di uno di quei “centri d’accoglienza” (in realtà un ex-residence fatiscente) proprio davanti all’albergo che avevo prenotato in una ridente località della costa romagnola. L’irritazione è andata ad aggiungersi a quella già covata per la moltiplicazione di questi “centri” a ridosso della zona in cui vivo (purtroppo non è Capalbio). È lì che mi è tornato in mente il ritornello di un pezzo di Concato (How are you my baby?): Ovunque andiamo noi l’è pien de negher… Una trovata buffa e surreale che però si è trasformata in profezia: questo fior di gioventù centro-africana è ormai dappertutto, perlopiù impegnata in attività legate al disturbo della quiete pubblica et alia (riguardo alla ridente cittadina di cui sopra, la cronaca locale registra che una cifra consistente dei 10 miliardi spesi in questi anni per il vitto e alloggio dei nostri fratelli migranti è stata investita nel procacciamento di “signorine”).

Mi sembra ingenuo illudersi che una situazione del genere non possa alla lunga danneggiare il settore. Credo che alla fine il dilemma andrebbe posto nei termini seguenti: o il turismo di massa o l’immigrazione di massa. Tertium non datur. E badate bene che non è il sottoscritto a proporre tale dicotomia, ma nientedimeno che l’attuale Presidente della Camera (opinione peraltro condivisa dal Papa e dagli squatter catalani), la quale trova “contraddittorio” e “insopportabile” offrire “servizi di lusso” a turisti paganti, poiché a suo dire sottrarrebbero risorse alle “politiche d’accoglienza” verso “gli ospiti meno fortunati”. A mio parere si tratta di un aut aut: una “politica dell’accoglienza” non può convivere con l’altra, indipendentemente da come la si pensi. Quindi o ci teniamo le nostre industrie residue brutte sporche e cattive (e chi ci deve lavorare), oppure diventiamo un sultanato del low cost, una Città-Stato dei piatti tipici, un Arcipelago Agriturismo.

Scegliete voi, a me non importa. Tanto la colonna sonora ormai rimane la stessa: speriam che non s’arrabbiano mai i negher

Camminiamo insieme sulla neve io e te
sotto un giubbottino che più piccoli non ce n’è:
how are you my baby?
forti questi States
non fosse per il tempo che mi sta rompendo il…
e poi c’è un freddo boia e il nostro hotel dov’è
hai visto quanti negri e più vai avanti e più ce n’è.

Camminiamo insieme sotto un sole da paura,
le tue ciabattine non le metto: ho un’unghia scura
how are you my baby?
è forte l’Africa
non fosse per il caldo non sarebbe male qua
però si mangia male e poi il Cuscus cus’è
hai visto quanti negri e più vai avanti e più ce n’è:
ovunque andiamo noi l’è pien de negher.

Camminiamo insieme nella nebbia io e te
stavo già cascando nel Tamigi e tu con me
how are you my baby?
London is ok
non fosse per la pioggia sai che forse ci vivrei
però la gente è fredda e il cuore lì dov’è
hai visto quanti negri e più vai avanti più ce n’è:
ovunque andiamo noi l’è pien de negher.

Camminiamo insieme per le vie della città
come si sta bene a casa propria lo si sa
how are you my baby?
Milan l’è un gran Milan
in mezzo a tutta questa gente con il coeur in man
però sono tanti i negri: son qui davanti a noi
ci menano di brutto e siamo neri come voi
ovunque andiamo noi l’è pien de negher:
speriam che non s’arrabbiano mai i negher.