Paying Taxes: A Jewish perspective
(Erica Brown, Atlanta Jewish Times, 8 maggio 2013)
Lo studioso talmudico Rabbah bar Nachmani (IV secolo d.C.) scrisse che “il governo taglia alberi e costruisce ponti, e noi li attraversiamo”. In quella dichiarazione, Rabbah presenta l’obbligo delle tasse, in ultima istanza, come “egoistico”. Se attraversiamo i ponti, dobbiamo pagarli. Il pagamento delle tasse è un modo in cui ci conformiamo a un altro principio talmudico, “le leggi di una nazione sono le nostre leggi”.
Sfortunatamente, ci sono alcuni ebrei che fanno distinzioni tra legge ebraica e legge dello Stato e talvolta “dimenticano” di pagare le tasse, oppure aggirano apertamente la legge senza troppi rimorsi nel caso riescano a farla franca. Il rabbino Asher Meir, che ha un dottorato di ricerca in economia presso il Massachusetts Institute of Technology, osserva che occorre fare distinzioni tra esenzioni ed evasioni. “Va bene ridurre al minimo le tasse approfittando delle disposizioni legittime della legge fiscale o anche assumendo una posizione di buon senso su una questione controversa”, afferma. “Ma questo non può portare a oltrepassare il confine e scadere nella pura e semplice evasione fiscale, che è un crimine”.
Nel corso della nostra storia, sono state spesso imposte tasse speciali agli ebrei per la loro “protezione”, e ci sono persino studi sul ruolo dell’esattore delle imposte nella letteratura yiddish. Le tasse sono del resto menzionate in diversi passaggi della Bibbia. Il numero di marzo 2013 della rivista Sh’ma contiene un’eccellente raccolta di articoli su ebrei e tasse, inclusa una discussione sulle detrazioni fiscali per beneficenza, una possibilità offerta dal fisco americano che in altri Paesi non è valida. La beneficenza in effetti dovrebbe essere beneficenza e basta.
L’unico passo nella Bibbia che difende le tasse è il libro di Ester. Quando Ester fu prescelta da Assuero come sposa, il re diminuì i tributi affinché il popolo godesse della sua gioia: “Poi, per tutti i suoi prìncipi e i suoi servitori, il re fece un gran convito in onore di Ester; concesse uno sgravio alle provincie, e fece doni con munificenza regale” (Ester 2,18). Il primo “pacchetto di stimolo” dell’antichità, per così dire.
Gli ebrei sotto Assuero erano chiaramente dei contribuenti perché quando Amna (visir del re persiano) propose di sterminarli, dovette compensare con 10.000 talenti d’argento le entrate mancate dai loro versamenti. Quando però gli ebrei trionfarono su Aman e Mardocheo divenne visir, il re ripristinò le tasse. “Il re Assuero impose un tributo al paese e alle isole del mare”, e poiché le tasse compaiono nell’ultimo capitolo di Ester, uno studioso del Talmud conclude che il re fosse “malvagio dall’inizio alla fine”. Alcuni hanno l’abitudine di fischiare in sinagoga quando questo verso viene letto, per lo stesso motivo per cui tradizionalmente si fa rumore quando viene menzionato il nome di Aman. Altri commentatori collegano l’ascesa di Mardocheo al ripristino delle tasse, nel senso che un ebreo ha aiutato la sua stessa gente stabilizzando al contempo l’economia.
Robert Half, fondatore della nota agenzia internazionale di lavoro, pensava così delle tasse: “Le persone cercano di vivere con quello che guadagnano in modo da potersi permettere di pagare le tasse a un governo che non può vivere con quel che guadagna”. Assuero ha vissuto una vita di eccessi: sontuose feste lunghe mesi e “concorsi di bellezza” della durata di un anno. Qualcuno ha dovuto pagare per tutto questo. Ma ciò è diverso da quando sostiene Rabbah bar Nachmani sulle tasse nel Talmud, che afferma che paghiamo per i servizi di cui abbiamo bisogno. Noi ebrei dovremmo pensa alle tasse da questa prospettiva, e appunto immaginare un mondo senza nettezza urbana, riparazioni stradali, istruzione pubblica, vigili del fuoco o agenti di polizia – per citare solo alcuni dei servizi di cui abbiamo bisogno.