Stavo cercando informazioni sull’incontro tra Theodor Herzl (il controverso teorizzatore del sionismo) e Pio X, nel quale il Papa Santo gli disse che avrebbe preferito che Gerusalemme restasse in mano ai turchi piuttosto che finire in quelle degli ebrei. Scopro invece che nel maggio 2014, durante il suo viaggio in Israele, l’attuale Pontefice (Bergoglio) è andato addirittura a rendere omaggio alla tomba di Herzl assieme a Benjamin Netanyahu.
Dell’udienza di Herzl con Pio X parla anche Sergio Romano nel suo ultimo libro, citando come fonte un saggio di Sergio Minerbi (Il Vaticano, la Terra Santa e il Sionismo, Bompiani, 1988):
«Il fondatore del movimento sionista, Theodor Herzl, credette possibile, alla fine del secolo scorso, di aggirare l’opposizione della Chiesa di Roma. Avrebbe chiesto udienza al papa e gli avrebbe detto: “Aiutateci contro l’antisemitismo e io guiderò un grande movimento per la libera e onorevole conversione degli ebrei al cristianesimo”. Immaginava la cerimonia nella cattedrale viennese di Santo Stefano “con una processione festosa, in un gran concerto di campane”. Quando riuscì a farsi ricevere da Pio X nel gennaio 1904, non parlò di conversione, ma assicurò il suo interlocutore che gli ebrei avrebbero garantito ai luoghi santi il privilegio della extraterritorialità. Si scontrò contro un non possumus. “La fede ebraica” gli disse il papa “è stata il fondamento della nostra, ma è stata sostituita dall’insegnamento di Cristo e noi non possiamo più riconoscerle alcuna esistenza”. Quando la conversazione cadde sullo status di Gerusalemme, il papa replicò, con disarmante franchezza: “So che è spiacevole vedere i nostri luoghi Santi in possesso dei turchi. Siamo costretti a tollerare. Ma favorire gli ebrei nel possesso dei luoghi Santi, questo proprio non possiamo farlo”».
Il racconto completo dell’udienza è anche nei diari di Theodor Herzl, pubblicati per la prima volta (in tedesco) negli anni ’20.
«Ieri ero con il Papa. Il percorso mi era già noto visto che avevo incontrato De Lippay [un conte che ha fatto da tramite tra Herzl e il Papa, ndr] più volte. Ho passato i lacchè svizzeri, che sembravano chierici, e religiosi che sembravano lacchè, i funzionari papali e i ciambellani.
Sono arrivato dieci minuti prima del tempo e non ho nemmeno avuto bisogno di aspettare. Sono stato condotto dal Pontefice attraverso numerose piccole sale di ricevimento.
Mi ha ricevuto in piedi e mi ha teso la mano, che io non ho baciato. Lippay mi aveva detto che dovevo farlo, ma non l’ho fatto. Credo di avergli causato un dispiacere, poiché tutti coloro che lo incontrano si inginocchiano e quanto meno gli baciano la mano.
[…] Si è seduto su una poltrona, usata per le udienze minori. Poi mi ha invitato a sedermi accanto a lui e mi ha sorriso amichevolmente
Ho esordito: “Ringrazio Vostra Santità per il favore d’avermi accordato questa udienza”.
“È un piacere”, ha risposto.
Mi sono scusato per il mio italiano misero, ma il Papa mi ha risposto: “No, invece lei parla molto bene, signor Commendatore”. Poichè avevo indossato per la prima volta, su consiglio di Lippay, la medaglia dell’Ordine di Mejīdiyye [onorificenza militare dell’Impero Ottomano], di conseguenza, il Papa si rivolgeva a me sempre come Commendatore.
Il Papa è un buon parroco di paese, grezzo, per il quale il cristianesimo è rimasto una cosa viva anche in Vaticano.
Gli ho presentato brevemente la mia proposta. Egli, tuttavia, forse infastidito dal mio rifiuto di baciargli la mano, ha risposto in tono severo e risoluto:
“Noi non possiamo favorire il vostro movimento. Non possiamo impedire agli ebrei di recarsi a Gerusalemme, ma non potremo mai favorirlo. La terra di Gerusalemme se non è stata sempre santa, è stata santificata per la vita di Gesù Cristo. Come capo della Chiesa non potrei dirle altro. Gli ebrei non hanno riconosciuto Nostro Signore, perciò noi non possiamo riconoscere il popolo ebraico”.
Quindi il conflitto tra Roma, rappresentata da lui, e Gerusalemme, rappresentata da me, è cominciato un’altra volta.
All’inizio, per sicurezza, ho cercato di essere conciliante. Ho parlato dei mie appunti sull’extra-territorialità, res sacrae extra commercium [le cose sacre stanno fuori dal commercio], ma non ho fatto una grande impressione. Gerusalemme, ha detto, non deve finire nelle mani degli ebrei.
“E la sua opinione sulla situazione attuale, Santo Padre?”
“Sono consapevole che non sia piacevole vedere i turchi in possesso dei luoghi santi. Dobbiamo semplicemente farcene una ragione. Aiutare tuttavia gli ebrei a impossessarsene, questo non possiamo assolutamente”.
Gli ho riferito che il nostro scopo era fermare la sofferenza degli ebrei e che volevamo evitare i problemi religiosi.
“Sì, ma noi, e io come Capo della Chiesa, non possiamo fare questo. Ci sono due possibilità. O gli ebrei si rivolgono alla loro fede e continuano ad attendere il Messia che, per noi, è già venuto, ma in questo caso essi non faranno che negare la divinità di Gesù e noi non li possiamo aiutare. Oppure potrebbero recarsi in Tera Santa senza alcuna fede, e allora potremo essere ancora meno favorevoli a questo. Perché la religione ebraica è il fondamento della nostra, ma gli insegnamenti di Cristo l’hanno superata, e non possiamo concederle ulteriore validità. Gli ebrei, che avrebbero dovuto essere i primi a riconoscere Gesù Cristo, non l’hanno fatto fino ad ora”.
Avevo sulla punta della lingua: “Questo è ciò che accade in ogni famiglia. Nessuno crede nei propri genitori”. Ma ho detto invece: “Terrore e persecuzione potrebbero non essere i mezzi giusti per aprire gli occhi agli ebrei”.
Il Papa ha replicato, questa volta impressionante nella sua semplicità:
“Il nostro Signore è venuto senza potere. Era povero. È venuto in pace. Non ha perseguitato nessuno. È stato perseguitato. È stato abbandonato anche dai suoi discepoli. Solo più tardi è diventato re. Ci sono voluti tre secoli alla Chiesa per evolvere. Gli ebrei hanno avuto quindi il tempo di riconoscere la sua divinità, senza alcuna pressione. Ma non l’hanno fatto fino a oggi”.
“Santo Padre, gli ebrei si trovano in una situazione terribile. Non so se Vostra Santità è informato della piena portata di questo. Abbiamo bisogno di una terra per queste persone perseguitate”.
“Deve per forza essere Gerusalemme?”
“Non stiamo chiedendo Gerusalemme, ma la Palestina, solo la terra laica”.
“Non possiamo essere a favore di ciò”.
“Vostra Santità conosce la situazione degli ebrei?”
“Sì, fin dai miei giorni a Mantova. Lì vivono degli ebrei e sono sempre stato in buoni rapporti con loro. Solo l’altra sera due ebrei sono venuti qui a trovarmi. Dopo tutto, ci sono altri legami rispetto a quelli religiosi: cortesia e filantropia. Non neghiamo queste cose agli ebrei. In effetti, preghiamo anche per loro: che le loro menti siano illuminate. Oggi stesso la Chiesa celebra la festa di un non credente che, sulla via di Damasco, si convertì miracolosamente alla vera fede. E così, se piazzate in Palestina la vostra gente, dovremo avere chiese e sacerdoti pronti a battezzarvi tutti”.
[…] Il Papa ha infine ripetuto quello che aveva già detto: Non possumus!».