Un lettore mi segnala l’imbarazzante intervista rilasciata dalla venerata maestra Natalia Aspesi all’Huffington Post (“Comprate oro, prima che venga giù tutto…”, 16 giugno 2019). Tralasciamo gli insignificanti commenti sul governo attuale e gli inviti allo stragismo (provo una pena infinita per chi si diverte con questa roba) e veniamo al punto che ci interessa:
«Tutti questi fascistelli con la testa pelata sono diventati tali perché hanno perso il controllo sulle donne. Non riescono a perdonargli la libertà che hanno. Credono che il fascismo sia il modo per recuperare il dominio su di loro. […] Le donne, ormai, scappano dai ciabattoni e sono disponibili a molte avventure, inclusa quella di Tinder. L’uomo, invece, sogna ancora la donnina che gli prepara la minestra».
Anche se la Aspesi non è così esplicita come le sue “colleghe” dell’anglosfera, quello che in sostanza afferma è che il femminismo ha dato alle donne la possibilità di scopare con chi gli pare e piace. E quello che “pare e piace” alle donne lasciate libere di esplorare la propria sessualità abbiamo scoperto essere proprio il “fascista” (sempre inteso dalla desolante prospettiva dell’intervistata). La Aspesi stessa lo ammette sommessamente qualche riga dopo, senza però avere la grazia di citare Sylvia Plath («Ogni donna adora un fascista» – nel suo caso, Ted Hughes, lol):
«Anche Mussolini [come Salvini] era desiderato dalle donne italiane. Gli uomini mangioni, pancioni, ridenti e violenti sono da sempre nel sogno femminile. Poi, magari, nella vita vera le donne amano un gracilino delizioso. Però, nel sogno, c’è spesso l’uomo potente, che domina, o ha tutta l’aria di poterlo fare».
Come dicevo, sulla stampa anglofona le auto-proclamatesi “femministe” sbattono quotidianamente in faccia al lettore la propria “avventurosa” vita erotica, la quale consiste nell’accoppiarsi compulsivamente coi maschi più attraenti scovati sulle app di incontri. Anche se da queste parti si è già affrontato il tema, gli esempi non accenna a diminuire: l’ultimo, in ordine di tempo, è quello di una presentatrice australiana che rivendica le sue esaltanti dick dates come apice del female empowerment.
Ovviamente tutto ciò non verrà mai ammesso dalla Aspesi e dalla sua genia (soprattutto perché i giornalisti italiani sono molto conformisti), nonostante tra le sue sparate faccia capolino qualche “convitato di pietra”: in primis gli uomini che animerebbero le esperienze delle donne su Tinder, i quali evidentemente devono pur esistere, a meno di non trovarci al cospetto di un caso di lesbismo di massa (nota a margine: alcuni studi dimostrano che molte donne che si dichiarano “lesbiche” in realtà continuano ad avere regolarmente esperienze eterosessuali, ma lasciamo perdere); tuttavia già una frase dopo, questi maschi avventurosi (cioè “da una botta e via”) scompaiono per lasciare il posto ai “ciabattoni”, quelli che vogliono solo “la donnina che gli prepara la minestra” e che presumiamo siano i “fascistelli con la testa pelata”, i quali “sono diventati tali perché hanno perso il controllo sulle donne”.
Senza nemmeno rendersene conto, la Aspesi svela la consequenzialità tra il femminismo e il principio di Pareto applicato al rapporto tra sessi: in uno scenario in cui le donne sono “libere” (cioè hanno soltanto diritti e nessun dovere), l‘80% di esse finirà per concedersi al 20% dei maschi in base a criteri quali l’aspetto, il denaro, la posizione. Tale “evoluzione” della società comporta una massa sempre crescente di uomini lasciati ai margini, privati persino del “sogno di una minestra” che la grettezza stilistica, ideologica e sentimentale della Aspesi impedisce di elevare a dignità di metafora (per rigetto mi torna in mente Etty Hillesum ad Auschwitz: «Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini… così affamati, e da tanto tempo»).
Per un istante sembra che, traducendolo nei termini di un antifascismo annacquato e anacronistico, la Aspesi sia persino disposta a riconoscere l’esistenza di un problema: si dovrà pur far qualcosa con questi “ciabattoni”, prima che ci diventano naziskin. A quanto pare però l’unica soluzione che sembra indirettamente suggerire è di giustiziarli tutti con un kalashnikov, assieme a Di Maio e Salvini.
A parte gli scherzi, tali cortocircuiti non sono che il prodotto degli ultimi colpi di coda del femminismo, i fatidici “nodi che vengono al pettine”. La questione principale, in estrema sintesi, è rappresentata dall’intera cultura occidentale stessa, refrattaria ai cosiddetti “diritti delle donne” dal VI secolo a.C. agli anni ’70 del Novecento, con la quale nessuna femminista è riuscita a fare i conti senza gettarsi nel tritacarne hegeliano degli studies, illudendosi che per portare a termine l’impresa fosse sufficiente appunto Sputare su Hegel: e di tutti gli altri maschi alfa dominanti (da Platone a Kant) che ne facciamo? Per sputare su di loro non basterebbe tutta la saliva di Sasha Grey (che adesso è simpatizzate di “Lotta Continua” – avvisate l’Huffington per la prossima intervista).
Esiste poi un punto prettamente politico, seppur secondario: non si può consegnare il “maschio insicuro” al fascismo, sia perché è “la sinistra che scopa” a produrre i vari Breivik (non è una boutade), sia perché non è per nulla automatico il legame, per esempio, tra la condizione di celibe involontario (incel) e un orientamento destrorso. Poi i “femministi” possono pure far finta di non volere la “minestra” e plaudere alle compagnucce che li respingono per folleggiare su Tinder: anche questo nodo verrà al pettine. Quando accadrà, si auspica solo che la “sinistra” non accusi la “destra” di aver fatto proselitismo tra i “maschi insicuri”, poiché a spingere costoro nelle tenebre dell’estremismo politico, della reazione e del nichilismo è stata soltanto l’incoerenza della femminilità “liberata”, nonché la miseria di un istinto sessuale che davvero “non conosce ragioni”.
I maschi volevano solo una “minestra” e si sono invece ritrovati circondati da un’orda di creature genuflesse ai tiranni, ai bulli, ai femminicidi, per giunta in un’epoca di vittimismo universale dal quale però proprio la loro categoria non solo è esclusa, ma anzi è l’unica costretta ad accettare silenziosamente qualsiasi tipo di dileggio o insulto. Ci ridono in faccia, le Aspesi (fascistelli, ciabattoni, mangioni, pancioni, ridenti e violenti), fingendo di ignorare che sta nascendo una generazione di giovani maschi senza più alcuna ragione per vivere. Quando avranno raggiunto la “massa critica”, non ci sarà più molto da ridere.