«Ricorda ancora l’ossessione, ammantata di allegria, prodotta da ogni ipotesi di devianza dalla norma di rapporti amorosi tra uomo e donna, presumibilmente ancorati alla loro forma più elementare, quella che un grande trasgressore con l’anima del moralista riassumeva nella formula: bouche sur bouche, sexe sur sexe, e di cui a casa sua nemmeno si faceva parola, visto il pudore che impediva di parlare, se non per allusioni scherzose, delle faccende sessuali.
L’ossessione era dunque quella dell’omosessualità, e Leo, ricordandone il peso, si stupiva di quanto, nel volgere di pochi anni, fosse cambiata la mentalità degli italiani: sembra quasi, a vedere esibiti a ogni angolo di strada atteggiamenti lontanissimi da un’ipotesi di virilità, che essi non aspettassero che il crollo delle barriere di moralità e convenienza per dare sfogo alla loro prorompente vocazione femminile.
A dire il vero, non si devono confondere omosessualità e femminilità: spesso, infatti, l’omosessualità è invece proprio una condizione di esasperato maschilismo, una venerazione idolatrica del membro maschile, pietra di paragone e omphalos di un universo di fantasia e desideri, ma questo Leone l’avrebbe imparato col tempo, quando incominciò a osservare più da vicino quel terreno misterioso e a segnalarne le regioni ciascuna con la sua specificità, distinguendo così le checche dai froci, e considerando una categoria a sé quella che nel suo ambiente familiare a quel tempo dava il nome all’intera specie: i pederasti.
Il nome era attribuito con una facilità e un’allegria esagerati. Leone ripensa al naufragio dell’amicizia di suo padre e di un suo giovane amico, ammiratore e quasi discepolo, che si sentì ferito un giorno dall’apprendere che il maestro tanto amato lo qualificava con gli altri del nome: pederasta.
[…] Ora, ripensando a quell’epoca e a come usasse classificare sotto l’etichetta di pederasta tutto quanto, uscendo dalla norma dei comportamenti accettati, fosse considerato pendere nel campo di una delicatezza donnesca tutta svenevolezze e moine, senza nerbo insomma e senza forza persuasiva, pensa agli esempi innumerevoli di un’omosessualità al contrario volta a una virilità eroica e muscolosa – quello di Michelangelo essendo il più famoso e alto; e pensa anche che l’epoca dei padri e della propria infanzia era ossessionata da un’idea di valore maschile, che occupava le menti dei più sempliciotti nelle sue versioni scalcinate e ovvie – una maschilità da caserma per tanti anni tenne il potere in Italia – ma che, nelle sue versioni più raffinate, non risparmiava nemmeno le intelligenze più sottili»
(Ruggero Savinio, Ombra portata, Anabasi, Milano, 1992, pp. 25-26).