Su “Informazione Corretta”, la giornalista italiana (naturalizzata israeliana) Deborah Fait chiede apertis verbis lo scioglimento dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani:
«… Ogni anno le squadracce rosse che hanno radici profonde nel nazismo, umiliano, minacciano gli ebrei, la medaglia d’oro della gloriosa Brigata Ebraica, gli italiani tutti, la memoria di chi è morto per la libertà e lo fanno grazie all’inettitudine dello stato e delle sue istituzioni.
Quest’anno il 25 aprile è stato il peggior disastro, il peggior insulto alla democrazia, i nazicomunisti sono stati lasciati liberi di urlare indemoniati nel silenzio complice e vigliacco di una società ostaggio di bande dell’estrema sinistra fiancheggiate dai sostenitori dei terroristi palestinisti.
…. Il 25 aprile ormai non ricorda più la Liberazione, è semplicemente diventata una manifestazione antisemita, un modo perché i palestinisti e i loro compari rossi, indemoniati come sempre, possano sfogare il loro odio contro gli ebrei, contro Israele che vorrebbero vedere distrutto.
… Con il cuore pieno di tenerezza e di orgoglio per quel mare di bandiere biancoazzurre che sventolavano nonostante tutto e al di sopra di tutti, con gratitudine per la solidarietà di tanti amici, chiedo due cose impossibili: Lo scioglimento dell’Anpi, ente ormai inutile per assenza di partigiani e per essere covo dei centri sociali antisemiti e, soprattutto, chiedo che le istituzioni e i rappresentanti del governo chiedano scusa per la loro indifferente e colpevole assenza mentre cittadini ebrei venivano violentemente insultati, derisi e minacciati»
(D. Fait, Chiedo lo scioglimento dell’Anpi, “Informazione Corretta”, 28 aprile 2018)
Devo ammettere che, nonostante sia contrario al vittimismo (non solo ebraico), la proposta mi trova d’accordo. Da quando Giampaolo Pansa ha smesso di far conferenze, sembra infatti che l’unico cavallo di battaglia rimasto all’Anpi sia l’islamofila. Ricordiamo due recenti episodi che suscitano più di una perplessità: il primo è la campagna d’odio contro il precedente presidente, che aveva semplicemente espresso qualche riserva sulla possibilità di conciliare islam e democrazia; il secondo riguarda una conferenza promossa dall’associazione pochi giorni fa (23 aprile) in cui uno studioso ha esaltato i goumier evidentemente anche allo scopo di accattivarsi le simpatie della comunità islamica locale.
Questa deriva è pericolosissima perché sembra replicare gli stessi errori commessi dalle associazioni antifasciste francesi, le quali a causa della loro doppia morale hanno contribuito allo scatenarsi di quella guerra civile a bassa intensità che attualmente contraddistingue la cronaca d’oltralpe. La dinamica, infatti, è quasi identica: con le prime ondate migratorie i gruppi di estrema sinistra hanno iniziato a distaccarsi dalle associazioni antirazziste di ispirazione ebraica (come la Licra), che contemporaneamente si sono “radicalizzate” nella loro ambigua identità di “sinistrorsi” nei confronti delle politiche francesi e “destrorsi” verso quelle israeliane, generando un conflitto all’apparenza ormai risolvibile solo col jihadismo da una parte e l’aliyah dall’altra.
La perdita di qualsiasi mediazione tra gli “stranieri in patria” ha portato, tra le altre cose, alla crisi del modello di integrazione francese e alla trasformazione della questione palestinese in un problema di politica interna invece che internazionale. Il “disadattamento” degli ebrei nella Francia odierna è paradossalmente più profondo di quello degli arabi, poiché essi non riescono in alcun modo a conciliare il “cuore” gauchiste con il “cervello” sioniste, e giungono al paradosso di continuare a difendere fino all’estremo politiche di sinistra (specialmente nell’ambito dell’immigrazione) lamentandosi contemporaneamente dell’antisemitismo che scaturisce da tali scelte.
È questa una sorta di schizofrenia che porta a conseguenze funeste dal punto di vista sociale: in Italia non siamo giunti a estremi del genere, ma quando anche da noi la “Palestina” non sarà più un ideale astratto da difendere, ma un pretesto per estendere la guerriglia da quartiere a quartiere, allora gli “opposti estremismi” sorgeranno nelle forme più inaspettate.
Per quanto riguarda la Francia, talvolta provo a descrivere il tragico cammino che ha portato dal politicamente corretto al terrorismo, ma è difficile rendere l’idea del cortocircuito innescatosi tra antifascismo “aborigeno”, gauche caviar ebraica e fondamentalismo islamico. Parliamo allora di cose concretissime, come la famigerata “integrazione” di cui tutti si riempiono la bocca: a Parigi e dintorni essa ha sortito risultati esattamente opposti a quelli prospettati. Gli esempio sono tanti, ma i primi che mi vengono in mente sono quelli dell’assaltatore di Charlie Hebdo che nel 2009 incontrò nientedimeno che Sarkozy per discutere di disoccupazione, oppure del “martellatore” di Notre Dame (un algerino che nell’estate del 2017 aggredì un poliziotto), premiato dall’Unione Europea per un suo articolo sui rifugiati. Se questa non è “integrazione”, allora francamente non so cosa significhi tale termine: quanti possono vantarsi di aver incontrato il Presidente della Repubblica o di aver ricevuto una onorificenza dall’UE? Queste vicende sono sintomatiche di un meccanismo che si è rotto, o che magari non è mai stato davvero efficace nella gestione di fenomeni di massa.
Ecco, in Italia percepisco le medesime avvisaglie di una situazione che potrebbe precipitare da un momento all’altro. La protesta del rabbino di Trieste alla Risiera di San Sabba (ricordata dalla Fait) rappresenta già un grave episodio di rottura dello spirito che dovrebbe contraddistinguere l’ultima “religione civile” che ci siamo dati.
Tuttavia, bisogna anche dire che dalle nostre parti siamo ancora a uno stadio pre-istorico del conflitto, in cui le militanze non sono poi così compromettenti: mi torna alla mente la vicenda che vide coinvolto un deputato piddino di origine marocchina, il quale partecipò al video di un rapper italo-egiziano che giustificava il terrorismo come reazione alla mancata approvazione dello ius soli, impresa che gli costò un esposto in procura e una citazione in un dossier del ministero della Difesa sul radicalismo islamico.
Nel “capolavoro” del rapper, accanto agli incitamenti alla violenza («Da Palermo a Torino scoppierà un casino… / una fiat uno col bazooka sul tettino / è la storia di un normale cittadino impazzito / era clandestino adesso è un assassino»), troviamo infatti versi che a un rapper francese suonerebbero come minimo anacronistici (penso al riferimento agli «amici laureati fermati da uno con la terza media umiliati e maltrattati»): emerge qui la convinzione che l’inquadramento dell’immigrato nella categoria di “normale cittadino” dissuada da qualsiasi tipo di “cattivo pensiero”, un’idea che dalla prospettiva della banlieue odierna è a dir poco risibile (ripensiamo a Coulibaly che stringe la mano a Sarkozy o al martellatore algerino che voleva fare il giornalista d’inchiesta).
Nelle periferie meticce e “multiculturali” (cioè islamizzate), il vittimismo stile La Haine è rimasto appunto confinato agli anni ’90, ormai ampiamente superato dalla completa identificazione tra gangsta e mujaheddin. Un esempio “grazioso” è questa sorta di inno al terrorista Mohammed Merah (tra le sue vittime tre bambini di 3, 6 e 8 anni), che dopo una sfilza di rime in verlan a base di sesso, violenza e quel che offre l’immaginario “trap”, culmina nel refrain: «Porsche Panamera / Cieco o no, chi vivrà vedrà / Porsche Panamera / Spariamo a tutti per una causa: Mohammed Merah!»
Nonostante il “successo” (un milione di visualizzazioni), a denunciare la “bravata” di tale Booba (di origine senegalese) fu solo un’associazione ebraica, non seguita da nessuno anche dopo la presa d’atto che la liricizzazione del jihadismo si stesse trasformando in un’emergenza sociale (ma era ancora il 2014…).
Per questo, se lo scioglimento dell’Anpi servisse di deviare solo di un millimetro da un destino che pare già scritto, sarebbe assolutamente auspicabile: ma anche la Fait è consapevole dell’impossibilità della sua richiesta. Del resto è altrettanto improbabile è che le comunità ebraiche smettano di rappresentare il peggio della gauche caviar anche in Italia; eppure non dico che debbano spostarsi a destra secondo la logica del “nemico del mio nemico”. Ma che almeno la smettano di votare PD…