Perché Di Maio e Salvini non sono ancora morti

Sono reduce dalla lettura de L’esperimento di Jacopo Iacoboni, un libello-inchiesta sul Movimento 5 Stelle che nei primi capitoli promette bene (quando delinea i contatti tra Casaleggio e ambienti inglesi e ricostruisce i percorsi opachi da cui si è formata il partito-azienda per la “gestione del consenso e del dissenso”), ma che poi si perde in improbabili tirate su meme, troll e Russiagate.

Non so francamente se consigliarne la lettura, perché risente anche troppo della campagna elettorale, peraltro conclusasi con la deflagrazione del renzismo (cioè della versione sfigata del blairismo, che è stato sconfitto prima dalla storia che dai meme). Probabilmente se fosse stato scritto in circostanze diverse (magari “a palle ferme”, absit iniura verbis), alcuni spunti molto produttivi avanzati dall’Autore non sarebbero passati in secondo piano rispetto alla necessità di scongiurare un trionfo del Movimento.

Penso soprattutto al convitato di pietra rappresentato da Adriano Olivetti, che nel volume compare di sfuggita e come ispiratore “minore” della creatura di Casaleggio, quando invece l’olivettismo andrebbe ristudiato completamente, in primis come ideologia e solo in un secondo momento come semplice “crematistica”.

Detto questo, veniamo al punto: il Movimento 5 Stelle è un progetto oscuro, impenetrabile, che in nessun momento ha rappresentato qualcosa di “spontaneo” o dal “basso”. Per certi versi, è una versione “tecnicizzata” del dipietrismo (del quale sono noti i contatti iniziali con Casaleggio), ma che conserva la continuità con quell’esperienza di “golpe postmoderno” che fu Mani Pulite.

Un discorso simile, mutatis mutandis, dovrebbe esser fatto per la Lega: anch’essa rappresenta una delle forze che si imposero sulle rovine della Prima Repubblica, a sua volta causate dal grande rivolgimento geopolitico scaturito dalla fine dell’Unione Sovietica. Furono anni davvero singolari, dal punto di vista della “magia politica”, quelli che precedettero e seguirono il 1989: pure il partito dei “padani” perciò muove dallo stesso Zeitgeist che tiene enigmaticamente unite le “rivoluzioni colorate” ante litteram e i secessionismi che in pochi anni incendiarono l’Europa (dai quali scaturirono anche le guerre balcaniche).

In sostanza, sia i Cinque Stelle che i leghisti condividono un medesimo peccato originale, che impedirebbe agli uni di diventare “partito di governo” (in quanto creato per demonizzare i politici “corrotti” e costringere così a una gestione controllata dello Stato spartita tra magistrati e tecnocrati), e agli altri di presentarsi come “partito della nazione” (a meno di non negare le proprie stesse origini).

A mio parere è proprio questo il motivo per cui Di Maio e Salvini non sono ancora morti: s’intende, ovviamente, solo in senso metaforico, come “morirono” i loro predecessori Di Pietro e Bossi quando nel 2011 si rifiutarono di partecipare alla grande orgia montiana. Si comprende che i loro avversari, a Bruxelles come a Roma (e a Londra, Berlino, Washington), stanno in posizione attendista ma fiduciosi che in poco tempo le contraddizioni appena accennate emergeranno in modo drammatico, impedendo qualsiasi possibilità di accordo tra le due forze.

Tuttavia, esiste sempre l’eterogenesi dei fini: da un lato, infatti, notiamo che la natura del M5S è quello di essere un organismo parassitario (o, per usare un’espressione meno offensiva, “mimetico”) rispetto al potere, capace di farsi continuamente “concavo coi convessi e convesso coi concavi” allo scopo di massimizzare il consenso in ogni circostanza (Jacoboni lo nota, per esempio nelle imbarazzanti virate dalle Pussy Riot a Putin).

D’altra parte, la Lega nonostante il “vizio d’origine” è ad ogni modo riuscita a imporsi nuovamente come avanguardia rispetto al panorama politico che va delineandosi, tanto da essere ormai assimilabile, più che agli insignificanti movimenti regionalisti/indipendentisti, ai blocchi ultranazionalistici che sorgono a Est e a Ovest dell’Unione.

Il che significa, per concludere, che da due debolezze potrebbe nascere, per qualche miracolo, un’unica forza, nella quale confluirebbero da una parte l’ossessione pentastellata per la forma (che già da ora li porta a recuperare –ironia della sorte– espressioni e concetti della Prima Repubblica), e dall’altra la tendenza leghista a valorizzare la sostanza e a magnetizzare le masse su provvedimenti di immediata efficacia (immigrazione, tasse, sicurezza, giustizia).

Forse solo in tal caso sarà infine necessario “uccidere” i due leader emergenti, ma non è detto che ci sarà ancora il tempo per farlo in modo sicuro e indiretto (a meno di non riportare sulle scene una diversa azione sovversiva).

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