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Perché i curdi sono carne da cannone

La stampa internazionale riferisce di una “tregua” (o addirittura “alleanza”) tra le milizie dell’YPG e l’esercito regolare siriano, allo scopo di frenare l’avanzata turca nel nord del Paese: non so se la notizia sia attendibile, ma di certo era prevedibile che per l’ennesima volta i curdi finissero per fare da carne da cannone.

Se finora sono stati perlopiù gli americani ad approfittare del loro fanatismo, ora sembra che anche Assad voglia sfruttarne il loro “potenziale” (per così dire), cogliendo sia l’occasione di arruolare mercenari senza sborsare un soldo sia di scaricare sulla Turchia le responsabilità del proprio clan verso i curdi siriani (trattati da sempre come subumani).

Bisognerebbe indagare sui motivi dietro questa infinita disponibilità da parte dei curdi di combattere per chiunque gli prometta un posticino al sole, senza mai aver sentore dell’imminente e inevitabile “tradimento”: è molto probabile che essi risiedano nella mitologia in cui vengono allevati , un argomento che proveremo in breve a trattare, pur con la consapevolezza che sta diventando sempre più rischioso parlare di certi temi in un Occidente dove la curdomania ormai dilaga su tutti i canali (forse la “moda rivoluzionaria” più imbarazzante dal sessantotto a oggi – e ce ne vuole, tra maoisti, Mau-Mau, Katanga e Vietcong!).

In verità, per fare qualsiasi discorso sui “curdi” dovremmo in primis mettere il nome tra virgolette, perché fondamentalmente ci troviamo di fronte a un qualcosa che non ha alcuna corrispondenza nel mondo reale, se non volendo prendere sul serio tutta quella mitologia politica (ed etnica e religiosa) che riscuote un successo incredibile tra le stesse persone che a sentir parlare di “padani” storcerebbero il nasino.

Il problema principale è proprio questo, che –letteralmente– nessuno sa nulla di niente: innanzitutto i nostri connazionali, che sono partiti a combattere nel “Kurdistan” senza nemmeno sapere quale lingua parlassero i loro paladini, e perciò impossibilitati a comprendere fino in fondo quale fosse il senso della guerra santa curda. Peraltro, non per fare il cinico, ma mi sorprende che finora non si sia alzata una sola voce contro questi foreign fighters (perché tali sono), come se fosse assolutamente normale andare a sparacchiare dall’altra parte del mondo dopo aver letto un paio di articoli strappalacrime. Però, va bene, ci può stare: se non altro ci sarà una vetrina spaccata in più nel “Kurdistan” e una in meno in Brianza.

A parte le battute, tutta la faccenda implica alcune conseguenze deleterie sulle quali non è possibile sorvolare. La prima è che il popolo palestinese è stato totalmente dimenticato dai cosiddetti “antagonisti”, i quali negli ultimi anni hanno sostituito i vessilli panarabi con quelli dei curdi siriani: per quanto può essere divertente veder gli antagonisti sfilare per un secondo Israele in Medio Oriente, il fatto che questi figli di papà ogni tanto mostrassero qualche bandierina palestinese durante le loro “sfilate” costringeva la grande stampa (per l’appunto gestita dai loro papà) a ricordarsi fuggevolmente dei poveri cristi massacrati dagli israeliani. È noto che la gauche caviar intrattiene da sempre un rapporto quasi “filiale” con gli squatter, fornendo regolarmente uno straccio di giustificazione ideologica per le loro periodiche devastazioni: ora che però il “palestinismo” è scomparso da un giorno all’altro dal loro armamentario, ecco che anche la questione è stata archiviata. In un clima del genere ormai siamo a un passo da un genocidio silenzioso, una nakba definitiva che può tranquillamente svolgersi mentre l’opinione pubblica di tutta Europa è impegnata ad assistere alle gloriose imprese curde.

La seconda conseguenza, alla quale abbiamo già accennato, è l’involontaria “importazione” di una abominevole mitologia politica –la “santa causa curda”– che le mosche cocchiere dei centri sociali vorrebbero farci mandar giù a forza, per giunta senza nemmeno aver letto una riga su di essa. Basterebbe solo che questi “ragazzi” (e i loro papà) si informassero meglio per far sbollire un po’ i loro eroici furori: perlomeno avrebbero la consapevolezza che ciò che stanno difendendo è un’ideologia al cui cospetto quella di chi chiamano “fascista” è una forma di progressismo moderato; e quel punto magari comprenderebbero addirittura che cavillare sulle differenze tra Peshmerga, PKK e YPG non è che un meschino stratagemma per occultare la comune radice ideologica sulla quale prospera il “mito curdo”.

È un dato di fatto che ogni curdo deciso a intraprendere un percorso di militanza (si parla soprattutto di quelli siriani, iracheni e iraniani, perché la Turchia nonostante tutto è stata la potenza più “tollerante” nei loro confronti), indipendentemente da come voglia interpretare il proprio impegno politico (in chiave nazionalistica, socialista, ecologista ecc…) alimenta la propria convinzione grazie a un patrimonio di leggende comuni, che si possono sintetizzare in questo modo: il giardino dell’Eden era nel Kurdistan e Adamo, il primo uomo, era curdo; i curdi hanno quindi inventato l’agricoltura, la pastorizia, l’irrigazione, la medicina, l’apicoltura, l’arte del giardino (i giardini pensili di Babilonia furono creati da un curdo), il vino, il pastore tedesco (in realtà il “pastore curdo”) e il cavallo arabo (il “cavallo curdo”, ça va sans dire); tutti i patriarchi biblici erano curdi e lo stesso Noè parcheggiò l’arca sul Monte Judi (in Anatolia, cioè in Kurdistan), tuttavia il popolo curdo moderno è stato creato dagli angeli inviati da Salomone in Oriente per prendersi qualche vergine (ma invece di portargliele, dato che era morto, hanno preferito accoppiarsi in loco creando involontariamente una razza di semi-dei); i curdi infine, attraverso Zoroastro e Mani, hanno inventato anche tutte le ideologie politiche moderne, dal socialismo al femminismo.

Sì, sto un po’ cazzeggiando presentandole così, ma non si creda che queste favole non abbiano ripercussioni, talvolta tragiche, nel mondo reale: il fatto che i curdi si creano discendenti di Adamo o degli angeli, impone che dove arrivino loro tutta la toponomastica venga stravolta, in modo da creare dal nulla una tradizione millenaria a scopi di egemonia territoriale. Un esempio classico è quello dell’etimologia del nome di Kirkuk (la capitale del Kurdistan iracheno), storicamente di origine aramaica ma manipolato decine di volte fino a quando non furono scoperti i giacimenti di petrolio, che imposero il significato definitivo di “città del petrolio”, in riferimento alla leggenda (riportata anche da Marco Polo) che i re Magi –ovviamente tutti curdi– furono i primi a trovare il petrolio gettando una pietra donatagli da Gesù bambino nel pozzo. Ed ecco come i curdi democratici ed egualitari si garantiscono il monopolio assoluto sulle riserve dell’Iraq settentrionale

(Per la cronaca, uno dei pochi curdi storicamente degni di esser ricordati è il Saladino, che però i curdi moderni fanno finta di non conoscere, perché considerato un traditore della santa causa dei discendenti di Adamo).

Spero ciò basti a comprendere perché chiunque può servirsi dei curdi perinde ac cadaver e perché anche questa volta il Grande Kurdistan non sorgerà da nessuna parte, ma rimarrà nel mondo dei sogni, come un immortale paradiso terrestre proiettato nel passato. A pensarci bene, che fosse proprio questa la “fantasia al potere” tanto invocata dai sessantottini di ieri e di oggi?

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