Perché Jim Morrison è più famoso di Schönberg?

Nel 1994 il polemista cattolico Michael E. Jones scrisse un intero libro, Dionysos Rising (appena “epurato” da Amazon assieme a tutta la bibliografia dell’Autore), per rispondere a una semplice domanda: perché Jim Morrison è più famoso di Schönberg? L’atonalismo e la dodecafonia portarono alle estreme conseguenze le teorie del Wagner di Arte e rivoluzione: abbandonare la tonalità voleva dire liberarsi dalle convenzioni e “scatenare tempeste di passione cromatica”.

Sfortunatamente il povero Schönberg ne fu travolto sia umanamente che artisticamente: provò a sublimare il tradimento della moglie con Verklärte Nacht (riportiamo in nota la poesia di Richard Dehmel che ispirò il compositore nella traduzione di M. T. Mandalari [*]), ma non riuscirà mai a riprendersi.

«Verklärte Nacht sostiene l’ideologia del libero amore, ideologia che esclude che il desiderio sessuale possa scaturire in tragedia. Il calore che “sfavilla da te entro me” [eine eigne Wärme flimmert | Von Dir in mich] d’ora in avanti conquisterà ogni gelosia, ogni convenzione sociale. La notte è al contempo trascesa ed esaltata nella sua essenza: da una prospettiva erotica, ciò significa che tutti abbiamo da “guadagnarci”, che possiamo soddisfare il desiderio impossibile al riparo dalle sue tragiche conseguenze […]. Questa era la speranza da molti condivisa agli inizi del secolo, […] il contraddittorio simbolo delle aspirazioni sessuali nella Vienna fin-de-siècle».

L’avanguardia musicale di Schönberg, snobbata dal grande pubblico, trovò comunque un qualche successo grazie alla promozione di Adorno, che tentò di “ideologizzare” il compositore (ormai in declino), identificandolo come il primo musicista ad aver accettato la “sfida” di Nietzsche. Ma al di là delle suggestioni del filosofo (che fantasticava di “demoni dilanianti la tonalità”), a prendere sul serio la dodecafonia fu soprattutto il governo tedesco del dopoguerra, facendone una vera e propria “arte di stato”:

«Durante l’era Adenauer la Repubblica Federale Tedesca si incaricò di promuovere la musica moderna d’élite, musica che in verità nessuno aveva voglia di ascoltare. Milioni di dollari furono investiti nell’impresa».

I pionieri del rock, invece di seguire il progetto di Schönberg e farne il loro padrino artistico, gettarono alle ortiche la dodecafonia insieme a tutto il patrimonio classico dell’occidente, e si rivolsero a un nuovo tipo di ordine musicale. Jim Morrison, per esempio, pur proclamandosi poeta del caos, non si avvicinò nemmeno all’atonalismo, anzi esorcizzò immediatamente i “demoni dilanianti” con un ritorno al ritmo:

«Neppure i Doors credettero nella dissonanza. Per rendere apprezzabile il loro messaggi anarchico ad un pubblico meno selezionato di quello dei saloni della Vienna fin-de-siècle, essi dovettero ricorrere nuovamente a quella struttura tonale che i loro padrini musicali avevano disprezzato. Man mano che declinava la sofisticatezza degli ascoltatori, la dissonanza divenne sempre meno adatta come mezzo per emancipare l’Occidente dalla ragione, dalla moralità e dall’ordine sociale. La tonalità tornò in forma semplificata come la serva del ritmo barbarico del rock. Si è trattato di un ritorno del represso, ovvero della tonalità riformulata e resa compatibile con il dionisismo […]. Tipico delle tradizioni sovversive, anche i Doors poterono veicolare il loro messaggio a patto di entrare in contraddizione con la propria “filosofia”».

La conclusione riporta alla mente un passaggio de Il campo dei santi di Jean Raspail sul quale non si è meditato abbastanza, ma che lascia intuire come anche a livello religioso, oltre che artistico e politico, le avanguardie (le “tradizioni sovversive”) si approprino sempre del linguaggio del “nemico” rifiutando puntualmente di fare i conti con tale “schizofrenia”:

«Era un periodo in cui la canzone si trasformava spesso in un piagnisteo di quattro note su se stessi, gli altri, il mondo e tutto il resto. Per stanchezza delle canzoni urlate, non restava che affogare nella dolce melassa dell’infelicità umana, trasposta in musica, molto spesso con gusto. Questo era il rifugio delle anime insoddisfatte, che altro non avevano imparato a fare. Nessuno pensava più a definire la nozione di infelicità in rapporto a se stessi o al passato. Quel mondo si reggeva in piedi solo iniettandosi nelle vene dosi massicce di infelicità, così come un drogato si sostiene con l’eroina. Trovare in sé l’infelicità-base qualche volta non era semplice, ma la cosa non aveva grande importanza; nulla, infatti, può fermare un drogato in crisi di astinenza e le sostanze intossicanti si contrabbandano con facilità. Non sono certo i trafficanti a mancare. Per giunta, in un recesso dello spirito si è sempre annidata la strana speranza di una distruzione totale, unico rimedio alla noia che consuma l’uomo moderno. La Bestia aveva liberato proprio questa speranza, esaltandola in una canzone. In quel momento, s’alzò una voce, purissima e ben modulata: era la voce di un giovane. Gli altri tacquero e ripresero semplicemente l’antifona in coro, come si faceva, un tempo, ai vespri o alla compièta. Notiamo, tra parentesi, che la distruzione del sacro e lo scempio dell’antica liturgia non erano avvenuti per caso. Non si deve credere che i preti avessero eliminato tutto ciò senza sapere che sarebbe risorto sotto un’altra forma. Lo sapevano bene e molti avevano esultato nel consegnare spontaneamente al nemico le loro armi migliori. Il sacro non aveva più bisogno di Dio, la liturgia celebrava soltanto l’essere umano sulla terra e i preti, sbarazzatisi finalmente del fardello divino, avevano potuto riprendere, come tutti gli altri, la condizioni di uomini ordinari».

[*]

Vanno per un boschetto spoglio due creature,
la luna le segue: esse vi affondano lo sguardo.
Va la luna sopra le alte querce,
non una nube offusca la luce celeste
fin dove nere le dentate cime appaiono.
Parla una voce femminile:

Io porto un figlio che non ti appartiene,
accanto a te peccatrice cammino.
Contro me stessa ho gravemente peccato.
Non più credevo alla felicità:
pure, con greve anelito bramavo
uno scopo, una meta nella vita; ed ecco
sfrontata mi son fatta, e ho lasciato
che un estraneo il mio trepido sesso
in un amplesso avvolgesse,
e me ne sono creduta benedetta.
Ora la vita ne ha fatto vendetta:
e te ho incontrato, ho incontrato te.

Ella cammina a passi vacillanti.
In alto guarda; la luna la segue.
Lo sguardo buio annega nella luce.
Parla una voce maschile:

il figlio che hai concepito
non sia di peso all’anima tua:
guarda com’è chiaro e lucente l’universo!
Ovunque intorno tutto è splendore,
tu meco avanzi sopra un mare freddo
ma un singolare calore sfavilla
da te entro me, da me entro te.
Il bimbo estraneo ne sarà trasfigurato
e tu a me da me lo partorirai;
sei tu che hai dato a me questo fulgore,
e me stesso in un bimbo hai trasformato.

Egli l’avvince intorno ai fianchi forti.
I respiri si congiungono nell’aere lucente.
Nell’alta notte chiara due creature vanno.

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