Pochi italiani sono a conoscenza del fatto che la Svezia ha adottato ormai da quasi dieci anni una politica assurda nei confronti degli antichi cimeli vichinghi: gettarli letteralmente in discarica.
Il caso è scoppiato per la denuncia di Johan Runer, archeologo del Museo Provinciale di Stoccolma, che è stata poi ripresa da una parte dei media conservatori internazionali. Secondo Runer la Svezia, sbarazzandosi di manufatti millenari con motivazioni surreali, starebbe “distruggendo la propria storia”.
Lo studioso aveva lanciato l’allarme nel 2016 in un articolo per la rivista “Popular Archaeology”, accusando il Ministero della Cultura svedese di porre come primo criterio nella catalogazione dei reperti ritrovati dagli archeologi in occasione, per esempio, dei lavori stradali, la necessità di “sgombrare il campo”, cioè rimuovere nella maniera più rapida ed economica possibile tutto il materiale riesumato e dar così via libera alle macchine.
Lo stesso Runer ha lavorato in questo tipo di scavi e testimonia l’ambiente poco collaborativo in cui si è trovato a operare (chi cerca di salvare qualcosa viene tacciato di “fanatismo”): «L’archeologia viene gestita con logiche di mercato». In particolare, nel caso di scavi “minori”, esiste un’imposizione esplicita da parte delle autorità locali di effettuare il minor numero di scoperte possibile (in quanto un modo semplice per abbassare i costi della conservazione dei reperti è… ridurne il numero).
In verità questa è solo una faccia della medaglia: se il povero Runer si è limitato a denunciare la mentalità “affaristica” con cui viene umiliata la cultura, bisogna tuttavia ricordare che tale politica è dettata anche da motivi ideologici, eventualmente mascherati da falso pragmatismo.
Il personaggio chiave dietro a tale furia iconoclasta è infatti la signora Alice Bah Kuhnke, ex personalità televisiva di origine gambiana, che dal 2014 al 2019 ha assunto il ruolo di Ministro della Cultura in quota Verdi (mentre attualmente è europarlamentare).
È lei l’ispiratrice dei provvedimenti volti a “fare spazio” nei musei svedesi tramite la distruzione dei “reperti di scarso valore scientifico”, decisione che anche da una prospettiva “affaristica” -giusto per confutare la tesi di Runer- hanno comunque suscitato scandalo nella misura in cui vietano anche solo di organizzare aste per la vendita di tali reperti (più che ambiti da un target internazionale per tutta la mitologia legata all’immagine dei guerrieri norreni).
Nel suo articolo, Runer cita a titolo d’esempio uno studio archeologico, reso disponibile dall’Ufficio nazionale degli archivi, su un insediamento dell’età del bronzo e del ferro prima della ricostruzione dell’area Flädie sulla E6 presso Lund. Nel catalogo dei reperti, monete, coltelli, un ornamento di latta, un anello e una sfera dell’età vichinga o dell’alto medioevo sono stati inseriti nella colonna “Eliminati”.
Come ha affermato Lena Holmquist, archeologa dell’Università di Stoccolma: «Questi oggetti dovevano servire a una serie di studi, ancora in corso, incentrati su pesi e misure dell’era vichinga». Dunque il valore scientifico c’era, ma un pezzo del puzzle -magari essenziale- è andato distrutto per sempre. Dunque se in altri Paesi si fa di tutto per preservare il proprio patrimonio storico, la Svezia invece preferisce le discariche ai musei, come ha dichiarato apertamente l’archeologa.
In un altro scavo nel villaggio Molnby a Vallentuna, sono stati trovati diversi anelli-amuleto dell’età del ferro, oggetti rituali usati durante l’Era di Vendel. Bene, anche tali reperti sono stati “sfoltiti” da un incaricato del Ministero, Johan Anund, direttore regionale presso i musei storici statali, il quale ha giustificato la propria decisione affermando che gli archeologi devono sempre stabilire delle priorità per evitare di farsi sommergere dalla chincaglieria.
Sembra che una delle regole non scritte per la conservazione riguardi la fattura stessa dei materiali: le ceramiche, per dire, non richiedono eccessiva cura e perciò vengono solitamente risparmiate, mentre il ferro e il metallo devono essere come minimo trattati dopo mille anni di interramento. E qui si inserisce la polemica (comunque condivisibile) di Runer sulle “logiche di mercato”: se il personale riceve fondi per due oggetti di metallo ma ne trova dodici, deve scartarne dieci. E poi riciclarci in modo corretto, ovviamente.
La “cernita” avviene solitamente sul campo, da parte di un archeologo che deve decidere rapidamente: conservare o buttare? Di conseguenza, il criterio principale con cui gli oggetti vengono preservati è la loro “familiarità” allo studioso di turno. Per esempio, nel 2016 a Birka è stato rivenuto un piccolo drago che appena tratto fuori dalla terra sembrava solo un pezzo di ferraglia: l’unico motivo per cui non è finito al macero è stata la volontà degli archeologi di indagare sulla natura dell’oggetto per qualche giorno in più.
Insomma, questo desiderio invincibile di ridurre a ferraglia oggetti che avrebbero in ogni caso un altissimo valore commerciale (potrebbero comprarseli tutti Donald Trump o Elon Musk, giusto per buttarla in caciara) sembra avere motivazioni piuttosto (o)scure…
Non ricordo se era all’inizio di quest’estate o dell’estate scorsa (credo l’estate scorsa), tuttavia sul tuider echeggiò la notizia del ritrovamento di alcune anfore romane(o comunque grandi contenitori in ceramica) da parte di alcuni bagnanti in un affollato lido sardo (non ricordo di preciso quale, sono pigro e non ho voglia di andare a ricercare l’articolo). Ironia della sorte ,in quel momento era presente una qualche ispettrice ministeriale (non ricordo di preciso che titolo) che non perse tempo ad identificarsi e comunicare ai bagnati che quelle fossero patrimonio artistico che dovevano consegnare alle autorità competenti (che lei rappresentava). Ora la polemica si concentrò sull’odio verso l’autorità statale, anche al mare questa doveva mettersi a “lavorare” rompendo le scatole. Tuttavia qualche utente aggiunse che si trattasse soltanto di ceramiche di scarsissimo valore storico e per lo più erano rotte, inoltre aggiunse che in Italia ci sono talmente tanti reperti del genere che buona parte viene … distrutta per mancanza di spazio e di fondi (per questa ragione, continuò la polemica, la zelante direttrice poteva farsi gli affari suoi lasciando ai bagnanti il loro piccolo tesoro). Ciò per dire che tale tendenza ad applicare politiche qui chiamate “di mercato” nella conservazione di reperti archeologici potrebbe essere più diffusa e radicata di quello che pensiamo.