Il pitbullismo fase suprema dell’occidentalismo

Ho provato a fare una sorta di “inchiesta” tra i lettori sul tema pitbull ma non mi pare che gli inviti a partecipare abbiano riscosso grande successo (chi avesse comunque qualche parere/testimonianza può scrivermi in privato: bravomisterthot@gmail.com). Non vorrei che anche in Italia si fosse giunti alla “ideologizzazione” definitiva della questione, il che renderebbe inapproccabile sin dal principio una discussione di per sé complessa.

Partiamo dall’America, come al solito: i pitbull sono creature appartenenti a una “razza” (in realtà comprende molti tipi, va bene, non facciamo storie come al solito) creata appunto negli Stati Uniti (quindi emanazione del male come tutto quel che proviene da oltreoceano), i quali, dopo decenni o secoli di esaltazione come mascotte nazionali o addirittura “eroi di guerra” (perché gli yankee li hanno utilizzati nell’unico conflitto che hanno vinto, quello contro l’Europa), a partire dal nuovo millennio sono diventati una sorta di “bestia nera” (absit iniura verbis) per l’opinione pubblica, soprattutto a causa del numero di vittime (specialmente bambini) cadute sotto le loro ferocissime mandibole.

Attualmente, oltre a varie iniziative di “sensibilizzazione” (come il National Pit Bull Awareness Day), sono sorte anche decine di associazioni dedicate a dissuadere gli americani a portarsi in casa “mostri” del genere. La democrazia più importante del mondo ha, come al solito, impedito il sorgere di un dibattito pubblico improntato al buon senso, in specie nel momento in cui i piddini a stelle e strisce hanno fatto del possesso di pitbull una sorta di marchio d’identitario.

A dispetto infatti del pregiudizio che li vorrebbe “cani da guardia” di delinquenti, spacciatori ed energumeni assortiti, questa razza nel tempo è diventata simbolo di medio-progressismo, apertura mentale, accettazione dell’alterità, tolleranza per il diverso, simpatia per le minoranze ecc… Lo si evince, per esempio, dai numerosi account (ottimo Pitbulls Posting Their Ls su Twitter) che riportano le desolanti dichiarazioni social dei crociati del “pitbullismo”, i quali non hanno alcuna vergogna a ribattere a notizie di bambini maciullati o adulti sfigurati con le loro solite parole d’ordine: “Non è colpa del cane, ma dei proprietari”, “Io ho un cucciolo e finora non ha fatto nulla perché lo cresco con tanto amore” eccetera.

Come rappresentazione icastica di questo “salto di paradigma”, (s)consiglio la visione di Run Sweetheart Run, horror afro-lesbo-femminista artisticamente impresentabile ma molto pregno di “messaggi”. La trama in due parole: la protagonista, una mamma nera single il cui problema principale per tutta la durata del film è il ciclo (anche se nel doppiaggio assorbenti interni ed esterni diventano la stessa cosa), è perseguitata dal vampiro/licantropo maschio bianco etero Ethan Sacks (è un mistero il perché regista, sceneggiatori e produttori -tutti Jewish– abbiano scelto di dare al cattivo nome e cognome tipicamente ebraici), il quale è una entità che da millenni “elimina brutalmente interi matriarcati” e assicura che tutti i maschi (sempre bianchi, perché quelli neri nel film hanno ruoli positivi) esercitino in eterno il potere “tenendo le ragazze al loro posto”. L’eroina però riesce a sconfiggerlo con l’aiuto di un… pitbull femmina, che non solo azzanna il feroce patriarca ma corre in soccorso della povera vittima di colore.

Questo solo per fare l’esempio più cringe che mi sia venuto in mente. Da tale prospettiva, il problema non può che apparire più grave del previsto, poiché è inevitabile che anche in Italia verrà presto inserito il peccato di pitbullfobia nella lunga lista di crimini contro l’umanità (o la transumanità). Quindi, anche se avrete accettato il cambio di sesso di vostr* figl* a sei anni, l’eventualità che i cinque pitbull dei vostri vicini italo-qualcosa poliamorosi impegnati nel commercio degli insetti edibili l* sbranin* e voi dobbiate giustificarvi per aver provocato e traumatizzato le bestie, è sempre più prossima.

Al di là degli scherzi, basta una breve ricerca per accorgersi che anche in Italia stiamo velocemente raggiungendo la “media” americana di aggressioni:  non che voglia invocare l’ennesimo “stato di emergenza”, ma il mix ideologico-politico-sociale è deleterio e nella situazione attuale l’unica prospettiva sembra essere, come al solito, quella della “guerra civile”.

Chiudo con il commento di un anonimo americano trovato su Telegram, che mi trova sfortunatamente d’accordo, nella misura in cui tutti siamo a nostro modo costretti alla “americanizzazione”, ché in una società più sensata si potrebbe scongiurare con tutti i mezzi il possesso di razze pericolose senza ricorrere a divieti (che comunque non vengono mai fatti rispettare, sempre per il discorso dei “diritti umani” applicati alla categoria protetta del momento):

«Esiste un impegno congiunto per propagandare la storiella sulla responsabilità dei proprietari e non della razza in sé. Tutto questo perché ammettere che i pitbull siano geneticamente predisposti a comportamenti violenti significherebbe ammettere lo stesso anche per gli umani. Del resto, nell’America dei nostri giorni, ci sono individui che “adottano” un pitbull esclusivamente per “esibizionismo morale”, per mostrare che non sono “razzisti” e sono tolleranti con tutti (vedo continuamente adesivi per paraurti con ridicoli slogan pro-pitbull). Se però i vostri pitbull si avvicinano a me o alla mia famiglia, aggressivamente o meno, io ho sempre pronta una pallottola. Chiamate la polizia, non non me ne frega un ca**o».

Purtroppo ho il sospetto che alcuni lettori abbiano un pitbull e dunque si siano segretamente risentiti del mio tentativo di “inchiesta”. Va bene, fate quello che volete, ma poi non andate a fare i fenomeni sui social con i meme sulla dogpill.

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