Il figlio di Piasecki (Varsavia, 1957): un’indagine impossibile su un’indagine impossibile
Ripensavo qualche giorno fa a una ricerca svolta ormai quasi cinque anni fa: l’omicidio del figlio del politico polacco Bolesław Piasecki, rapito e ucciso a Varsavia nel 1957 in circostanze ancora misteriose.
Pensavo in primis che basterebbe tradurre tutto il materiale disponibile su internet, perlopiù inedito (anche in inglese), per trarne fuori un libello o almeno un romanzetto (ma chi lo leggerebbe? Peraltro sarebbe lievemente antisemita, cosa alquanto disdicevole).
Pensavo anche a quanto fosse triste avere se stessi come fonte, ma in effetti ormai sono piuttosto intristito.
Comunque, era tradizione non solo in terra polonica, ma in tutta la Slavia, risolvere i delitti irrisolti dando la colpa agli ebrei (la famigerata “accusa del sangue”, in polacco oszczerstwo krwi) e riappacificare la comunità con un classico pogrom.
Se si escludono però gli strascichi della Seconda guerra mondiale, si nota che l’usanza viene ad affievolirsi col caso di Menahem Mendel Beilis (1874-1934), raccontato dallo scrittore americano Bernard Malamud nel romanzo L’uomo di Kiev (1966).
Beilis, impiegato in una fabbrica di mattoni, viene accusato nel 1911 di aver rapito e ucciso un tredicenne all’uscita di scuola. Il processo si conclude nel 1913 con una inaspettata assoluzione, sia per il suo alibi confermato dai colleghi della fabbrica (era uno dei tanti ebrei non praticanti che lavoravano durante lo Shabbat) sia per il disastroso controinterrogatorio di uno degli esperti dell’accusa, il sacerdote cattolico (ma all’epoca già spretato) Justinas Pranaitis, noto per il suo trattato Christianus in Talmud Iudaeorum, il quale dimostrò di conoscere davvero molto poco in materia di talmudismo, nonostante fosse docente di lingua ebraica presso l’Accademia Imperiale di Teologia di San Pietroburgo (anche la biografia di questo Pranaitis, a dir poco avventurosa, è tutta da raccontare).
In ogni caso Beilis con l’assoluzione divenne una specie di celebrità per l’ebraismo internazionale e dopo aver trascorso qualche anno nella tenuta di un Rotschild in Palestina, si trasferì finalmente a New York dove pubblicò la sua autobiografia in yiddish e morì improvvisamente in un albergo nel 1934 (fu sepolto nello stesso cimitero di Leo Frank, accusato di aver violentato e ucciso una tredicenne e il cui linciaggio portò alla nascita della nota Anti-Defamation League).
Mi pare che questo caso, sul quale esiste pochissima documentazione in italiano (a parte il romanzo citato sopra, che comunque non è storicamente attendibile, tanto che l’autore è stato accusato dalla famiglia di Beilis di averlo dipinto come un burbero senza amici e pure becco), segni un punto di svolta, cioè la fine di quella reazione quasi istintiva di molti popoli slavi alla notizia di un bambino misteriosamente scomparso in città.
Dal momento che la Polonia comunista fu tutt’altro che immune da tentazioni antisemite, penso che se la triste vicenda del figlio di Piasecki non si sia conclusa con un pogrom ciò sia dovuto più alla risonanza del caso di Beilis che al famigerato “giudeo-bolscevismo”.
Per tornare ai nostri giorni, il caso più recente di “accusa del sangue” si è verificato nella cittadina russa di Krasnojarsk: cinque ragazzini tra i 9 e i 12 anni (Maxim Taumanov, Safar Alijev, Galash Mamedgasanov, Alexander Lavrenov e Dmitrj Makarov) scomparvero a metà di aprile del 2005 e i loro resti carbonizzati vennero ritrovati un mese di dopo nella discarica di uno stabilimento chimico, a circa 300 metri di distanza da dove abitavano. L’inchiesta è proseguita fino al 18 dicembre 2007, quando le autorità federali hanno sospeso le ricerche “per assenza di imputati”.
Sui corpi non vennero riscontrati segni di violenza, anche se un testimone del ritrovamento, un “ubriacone locale” [местный пьянчужка], che ha contributo al recupero dei corpi trovandosi sul posto, ha affermato di aver notato su di essi evidenti segni di strangolamento. La polizia aveva inoltre ricevuto diverse chiamate anonime che suggerivano di condurre ricerche proprio in quei luoghi.
L’ufficio del procuratore distrettuale ha inseguito avviato un un procedimento contro gli agenti di polizia per la negligenza con cui erano stati prelevati e ispezionati i resti dei bambini. Nell’ottobre 2006 il padre di Maxim Taumanov è stato aggredito da sconosciuti mentre si trovava in ospedale.
Il caso ha generato uno scontro istituzionale tra il vice procuratore generale della Federazione Russa Vladimir Kolesnikov, che ha ipotizzato i bambini fossero stati uccisi prima di essere bruciati, e il governatore del territorio di Krasnojarsk, Alexander Khloponin, il quale ha invece dichiarato che “l’inchiesta è più propensa a credere si sia trattato di un incidente piuttosto che un omicidio”.
Nel settembre 2006, i parenti delle vittime hanno iniziato uno sciopero della fame che gli ha permesso di sapere qualcosa di più sul procedimento delle indagini: secondo gli esperti li piccolo Makarov era morto a causa di avvelenamento da prodotti della combustione.
Il 25 maggio 2007, il rappresentante della Procura generale della Federazione Russa Tatjana Matjunina ha concluso che per il caso non vi fossero non sospetti: “Durante l’intera indagine sono stati auditi più di mille testimoni e condotti circa 40 esami”.
I media hanno suggerito che i bambini potrebbero esser stati vittime di pedofili o figure criminali nell’industria del porno, tuttavia quasi immediatamente l’accusa del sangue è tornata sulle prime pagine: il primo a rilanciare è stato lo scrittore (di orientamento conservatore e monarchico) Mikhail Nazarov, che ha ipotizzato il coinvolgimento di una “setta ebraica”, affermando che le autorità avevano insabbiato il fatto che i corpi fossero stati ritrovati privi di sangue.
Nel maggio 2005 Nazarov diede alle stampe il libello Vivi senza il timore di Giuda! allegato al quotidiano “Russkaja Linija”, collegando l’accaduto proprio al processo Beilis, accusandolo di appartenere alla stessa setta (Chabad-Lubavitch) del Rabbino Capo dela Russia Berel Lazar, colui che
“con la connivenza del presidente Putin cerca di estendere il suo predominio su tutte le comunità ebraiche, cosa che fece nel 2004 anche a Krasnojarsk col sostegno degli oligarchi locali, il rabbino Wagner e il governatore ebreo Alexander Khloponin, che piazza i suoi correligionari ovunque”.
Varie associazioni ebraiche e per i diritti umani hanno chiesto la condanna di Nazarov ai sensi dell’articolo 282 del codice penale russo sull’istigazione all’odio [возбуждение ненависти].
Uno dei deputati del parlamento di Krasnojarsk, Oleg Pashchenko, ha invece dichiarato che “il timore dell’omicidio rituale si è diffuso tra la popolazione e la gente ha paura di lasciar giocare i bambini per strada”
Il 5 luglio 2006, il giornale “Krasnojarsk Komsomolets” ha pubblicato l’articolo I bambini sono stati vittime di un omicidio rituale, in cui l’avvocato della famiglia di una delle giovani vittime afferma che “si sospetta il coinvolgimento di una setta chassidica che avrebbe commesso un omicidio rituale nei giorni precedenti la Pasqua per estrarre il sangue dai corpi dei bambini”.
Un secondo caso si verificò ancora Krasnojarsk, nel marzo del 2006, quando il corpo di un bambino di 9 anni, Sergej Malkov, venne trovato (sempre senza segni di aggressione) in un pozzo. Un altro caso, nel marzo 2007, vide coinvolta una bambina di 5 anni Polina Malkova (solo omonima della precedente vittima), il cui corpicino mutilato con segni di strangolamento e i genitali asportati fu rinvenuto in una cava nel quartiere Leninskj, a pochi chilometri da casa sua.
In occasione dei nuovi macabri episodi, Nazarov rilanciò la pista “rituale”: a suo parere, in Russia esisterebbe una “setta chassidica” i cui rappresentanti, prima delle festività pasquali, ucciderebbero i bambini per usarne sangue a scopi rituali. La storica associazione nazionalista Unione del Popolo Russo ha invocato nuove indagini nelle sinagoghe, nei forni e nelle abitazioni ebraiche.
Almeno nel caso della piccola Polina, le indagini hanno scoperto l’assassino: un 36enne (non ebreo) giudicato colpevole di stupro di due ragazze e dell’omicidio della bambina, è stato condannato all’ergastolo.
(Ricordiamo che nella stessa regione, nel 2009, tre adolescenti ubriachi “appartenenti alla sottocultura goth e affascinati dal satanismo” -così almeno li ha descritti la stampa russa– hanno ucciso un uomo a coltellate, incidendogli un pentacolo sulla schiena, e hanno tentato di far fuori anche un testimone che però è riuscito a fuggire).
Pensavo a tutto questo in correlazione con gli odierni casi di bambini ritrovati uccisi, sui quali aleggia sempre un’aura di “accusa collettiva” alla quale mi pare sottenda lo stesso meccanismo in atto: quanti innocenti sono stati perseguitati perché erano “l’uomo giusto al momento giusto”, cioè rappresentavano il simbolo di una comunità che punisce se stessa o, ancora meglio, di uno dei “nostri” che deve essere condannato per dimostrare quanto siano migliori gli “altri”, o l’Altro in assoluto? Naturalmente il discorso andrebbe approfondito in altra sede, però mi sembra che la forma mentis all’opera, come detto, sia la stessa.