Da qualche anno politici e media cercando di instillare nelle masse l’idea che gli insetti siano il “cibo del futuro”: è noto come la European Food Safety Authority stia gradualmente liberalizzando la commercializzazione di insetti d’allevamento (tarme, locuste), in accordo con il cosiddetto “Piano Europeo per la Sostenibilità” che identifica gli insetti edibili (o presunti tali) come fonte di proteine a basso impatto ambientale.
La stampa internazionale celebra ogni passo avanti su questo cammino come un successo, invitando l’opinione pubblica a “ribaltare il proprio modo di pensare”. Tuttavia, esattamente gli stessi giornali in questi giorni descrivono la carestia in Madagascar (definita dall’Onu la “prima carestia da cambiamento climatico”, naturalmente senza alcuna prova a sostegno) come particolarmente grave perché i poveri malgasci sarebbero… costretti a mangiare insetti.
Come esclama indignata Repubblica (citata prima per la celebrazione del “cibo del futuro”), nell’isola africana Ci si sfama con insetti e fiori di cactus! Ovvove! Giustamente il cibarsi di locuste in questo contesto non viene presentato come una virtù ma come un sintomo di decadenza e arretramento.
Tale doppio standard viene regolarmente messo in pratica dai media: da una parte elogiano apertis verbis l’aumento del consumo di carne nei Paesi in via di sviluppo, dall’altra stigmatizzano i “carnivori” occidentali perché responsabili del surriscaldamento globale.
Sempre, naturalmente, con alcune sfumature di colpevolezza: per esempio, come sostiene oggi il Guardian, i maschi (occidentali) con la loro dieta a base di -troppa- carne starebbero emettendo più emissioni che non le donne (occidentali). Questo solo per dire che, se il leitmotiv rimane lo stesso (“il consumo di carne nei paesi ricchi deve essere drasticamente ridotto per affrontare la crisi climatica”), ai padroni della voce è comunque garantita la possibilità di piazzarci nel mezzo qualche amenità sulla parità di genere.