Siamo giunti a fine settimana e nemmeno mi sono accorto che in alcune regioni è stato introdotto un nuovo lockdown. Troppo impegnato a tentare di lavorare rispettando e facendo rispettare le direttive anti-covid, nonché a spulciare i peggio siti americani per comprendere come sta andando Trump. Dunque questa è la mia nuova vita: sgobbare sette giorni su sette e non poter nemmeno uscire a fare una passeggiata di sabato. Sarebbe lievemente più sopportabile se il covid fosse davvero micidiale come dicono, mentre sono quasi certo che non mi farà nulla (ma pregate di me, magari riesco ancora a morire in grazia di Dio – e non fate sceneggiate, ché avete centinaia di miei post in arretrato da leggere).
Comunque, tutto questo stillicidio sui brogli non mi convince affatto: i video e le notizie clamorose che si susseguono sui social sono chiaramente propaganda trumpiana o semplici bufale (come tutta la vicenda di QAnon che nasce su /pol/ come megatrollata). L’idea che il Presidente uscente dovesse stravincere col 99,9% dei voti è potuta balenare solo nella mente di chi approccia il politico dalla prospettiva del tifo (come sosteneva Svart Jugend, “gli italiani intervengono in una guerra facendo ciò che gli riesce meglio: il tifo”).
Da questo deriva anche il disdicevole fenomeno del “gentismo”, che presuppone una maggioranza di umanità tiranneggiata dall’1% attraverso il divide et impera. Un postulato che non trova alcun fondamento nella realtà, tanto meno in un sistema democratico dove al criterio della superiorità numerica fa fronte un frazionamento potenzialmente illimitato di interessi, fazioni e consorterie.
Un esempio particolarmente in tema riguarda il fatidico “voto bianco”, che ha lasciato perplessi molti -improvvisati- analisti di flussi elettorali: invece di avvantaggiare il candidato repubblicano, si è indirizzato quasi tutto verso Biden. Ancor più paradossale per gli osservatori disattenti che esso sia stato rimpiazzato dal consenso di afro-americani, asiatici e soprattutto latinos (clamoroso il caso della Florida meridionale, che tuttavia ha premiato Trump soprattutto per fobia anti-socialista e immortale odium verso Fidel Castro, nei confronti del quale Biden come vice di Obama fu protagonista di un fallimentare appeasement).
È singolare che il travaso abbia colto di sorpresa anche l’area sovranista italiana, che in una delle sue riviste (Il Primato Nazionale), il mese scorso scriveva che “anche il più radicale alt-righter deluso dal tycoon andrà a votare in suo sostegno”. L’America non funziona così: i terribili suprematisti bianchi, le frange più estrema dell’estrema, hanno votato compatti Democratici (e proprio uno dei leader dell’alt-right, Richard Spencer, ha orgogliosamente esibito sui social la sua scelta).
— Richard 🦁 Spencer (@RichardBSpencer) November 3, 2020
Sarà difficile leggere qualche articolo decente sul fenomeno, perché oltre a essere in sé imbarazzante, per un italiano è anche incomprensibile (a meno di non concentrare l’attenzione solo sui Southern Democrats, che dai tempi della guerra civile votano dem per odio verso Lincoln). Questa è però appunto una delle tante lunatic fringes che compongono il 99% della “gente” che dovrebbe compattarsi in nome di un supremo interesse collettivo, il quale poi coinciderebbe sulla lunga distranza con quello del singolo: una cosa che non è politica e che comunque non accadrà mai nemmeno nella più perfetta utopia o distopia egualitaria.
Spero che tali riflessioni aiutino a comprendere come, almeno in democrazia, non esiste realmente il candidato “giusto”: per certi versi, Donald è stato il più sbagliato di tutti. Anche senza il senno di poi, era chiaro che se non avesse avuto contro una come Hillary Clinton, avrebbe perso già nel 2016 (questo lo ha ammesso lui stesso tra le righe affermando di esser sceso in campo proprio perché “i politicanti come Biden hanno fallito”). Ad ogni modo, un commentatore imparziale dovrebbe riconoscere che in fondo Trump è sempre stato un Obama che ce l’ha fatta. Al di là dei meme, al di là delle battute e dei siparietti che ci hanno tanto entusiasmato, il Presidente “bianco” non ha fatto altro che portare a termine un percorso iniziato dal “nero”, a livello economico, politico e geopolitico.
Tutta la retorica globalisti vs nazionalisti ha senso solo da una prospettiva militante: per il resto, è scontato che gli Stati Uniti non siano disposti a sostenere una globalizzazione che non proceda perfettamente in parallelo con una americanizzazione. Indipendentemente dal senso che si vuole dare a tale esito quasi obbligato della politica internazionale: il protezionismo non è solo di destra (anzi), così come non lo sono il populismo e l’isolazionismo. Questo solo per dire che per noi “Morire per Trump” non ha meno senso che “Morire di Biden”.
Non è il solito discorso plebeo stile “Il Presidente americano mica ti paga le bollette!”. Il fatto è che ci si illude davvero troppo che un cambiamento a Washington possa stravolgere l’ordine internazionale. Per esempio, alcuni commentatori, anche amici, si sono convinti che con una vittoria di Trump il governo italiano non avrebbe imposto un nuovo lockdown (per tornare ab ovo): per quanto le sorti della politica nazionale possano essere condizionate da quelle dei vincitori dell’ultimo conflitto mondiale, non è comunque lecito illudersi che una successione al cuore dell’impero possa avere chissà quale influenza sulle colonie. Trump o non Trump, il lockdown ce lo dovremo sorbire lo stesso perché ormai è si è consolidato come metodo di governo.
L’unica concessione che posso fare ai sostenitori di Trump è a livello sovrastrutturale: Biden è così invischiato nella cosiddetta “cultura del piagnisteo” che gli sono state abbonate tutte le molestie (almeno secondo i criteri post #MeToo) di cui si è reso protagonista. In fondo per farsi perdonare qualsiasi cosa gli è bastato sostenere la liceità del cambio di sesso per un bambino di dieci anni in campagna elettorale. Quindi ci sarà un fastidiosissimo maquillage rosa-fucsia-verde-arcobaleno a coprire gli obblighi imperiali: con Trump sarebbe stato tutto molto più divertente, o forse no. Non bisogna sottovalutare infatti l’impellente “normalizzazione” a cui sarebbe stato sottoposto, considerando che le movenze da outsider gli stanno già strette da ora, quando per esempio lancia accuse di brogli senza accorgersi che il primo a cui eventualmente attribuire la responsabilità di non aver fatto nulla, di non aver “prosciugato la plaude”, è proprio lui: l’alibi delle mani legate non può durare in eterno.
Dunque qualora vincesse Biden, sarebbero quattro anni piuttosto grigi sul modello del secondo mandato Obama. Nulla di eclatante, se non appunto, questa faccenda del politicamente corretto che sulla breve distanza potrebbe in qualche modo avere un’influenza sulle vite dei colonizzati: finire in galera per qualche psicoreato (come sbagliare un pronome di genere) non è una prospettiva allettante, ma del resto dobbiamo prendere atto che molti americani “de destra” l’abbiano considerata un prezzo accettabile pur di manifestare il proprio dissenso nei confronti di Trump. Non siamo insomma ancora giunti al momento in cui votare per un “interesse superiore” abbia realmente un senso, e probabilmente quando ci arriveremo non ci sarà più possibilità di votare.